Cocaina e grossa somma di denaro: condannata per spaccio

Una donna, di origini marocchine, è stata beccata dalle forze dell’ordine. A inchiodarla non solo la droga, ma anche i soldi in suo possesso, soldi non compatibili con la sua attività lavorativa.

Beccata in possesso di oltre 50 grammi di cocaina, e condannata per il reato di spaccio di stupefacenti. A inchiodarla anche la disponibilità di una grossa somma di denaro, non compatibile col suo lavoro Cassazione, sentenza n. 39359, sezione VI Penale, depositata il 23 agosto 2017 . Modalità. A finire sul banco degli imputati è una donna, originaria del Marocco. Nei suoi confronti l’accusa è di detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio , con riferimento specifico a due involucri in suo possesso e contenenti cocaina per un peso complessivo di 51,25 grammi . E la condanna decisa prima in Tribunale e poi in Appello viene resa ora definitiva dalla Cassazione. Per i magistrati del ‘Palazzaccio’, difatti, va esclusa l’ipotesi, fatta balenare dal difensore della donna, del fatto di lieve entità . Su questo fronte vengono richiamati, innanzitutto, il dato quantitativo e qualitativo della droga e le modalità professionali dello spaccio . Per chiudere il cerchio, infine, i giudici richiamano anche la rilevante somma in contanti sequestrata alla donna, somma incompatibile con la sua pretesa attività di domestica .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 maggio – 23 agosto 2017, n. 39359 Presidente Ippolito – Relatore Mogini Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Ed. Da. Na. ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Firenze ha confermato quella di primo grado che l'ha condannato per il reato di cui all'art. 73, comma 1, D.P.R. 309/90 in relazione alla detenzione a fini di spaccio di due involucri contenenti cocaina per un peso complessivo pari a 51,25 grammi. 2. La ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo A vizi di motivazione in ordine all'omessa qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, nonostante la sostanza sequestrata presenti una concentrazione di principio attivo pari a soli 40 grammi circa, corrispondenti a 267,2 dosi singole medie, e l'azione sia connotata da modesta professionalità e da scarsa organizzazione, tali da escludere un radicato inserimento della ricorrente nel circuito di spaccio di stupefacenti, che la Corte territoriale deduce unicamente dai precedenti penali del compagno della stessa ricorrente, coimputato per il medesimo delitto, per il quale è stato peraltro assolto B mancanza di motivazione in relazione al diniego dell'applicazione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione. 3. Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo di ricorso è reiterativo di doglianza di merito alla quale la sentenza impugnata ha offerto risposta adeguatamente giustificata e immune da vizi logici e giuridici, escludendo la configurabilità della fattispecie di cui al comma 5 dell'art. 73 D.P.R. 309/90 con riferimento al dato quantitativo e qualitativo della sostanza oggetto di spaccio e alle modalità professionali della condotta pp. 2-3 . Il secondo motivo di ricorso è generico, poiché non indica gli elementi che avrebbero dovuto indurre all'applicazione delle concesse attenuanti generiche nella loro massima estensione, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che sul punto appare puntuale e congrua, in relazione alla rilevante somma in contanti sequestrata alla ricorrente nell'immediatezza del fatto, somma incompatibile con la pretesa attività di domestica, e al ritenuto carattere continuativo e organizzato dell'attività di spaccio esercitata dalla medesima ricorrente. All'inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all'art. 616 cod. proc. pen., determinate come in dispositivo in ragione della natura delle questioni proposte. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.