Furto in un capannone abbandonato, forzata la porta: riconosciuta la violenza sulle cose

Condanna definitiva per tre ladri. Evidente la loro colpevolezza. Respinta la tesi difensiva centrata sul fatto che il deposito fosse in disuso.

Colpo a metà. I ladri sono stati fermati mentre portavano via materiale edile da un capannone. Consequenziale la condanna per tentato furto. Riconosciuta anche l’aggravante della violenza sulle cose, concretizzatasi nel danneggiamento della porta di ferro sul retro della struttura. Irrilevante il fatto che il magazzino fosse abbandonato Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza n. 39934/17, depositata il 21 agosto . Porta. Sotto accusa tre uomini, ritenuti colpevoli, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, del reato di tentato furto . Essi sono stati beccati a portar via materiale edilizio da un capannone a cui avevano avuto accesso dopo avere forzato la porta sul retro. A confermare la condanna provvedono ora i giudici della Cassazione, respingendo, in particolare, l’obiezione difensiva relativa alla aggravante della violenza sulle cose . Su questo punto i magistrati sottolineano che il fatto che si trattasse di immobile apparentemente abbandonato non cancella il fatto che la porta fosse chiusa con un catenaccio . Anzi quest’ultimo particolare è decisivo, poiché rende evidente che l’immobile, da cui avrebbero dovuto essere asportati i beni, era chiuso e per entrare risulta essere stata necessaria l’effrazione della porta in ferro . Respinta poi anche l’ipotesi del danno di minima entità . Per i giudici, difatti, è scontata la commerciabilità dei beni prelevati dal capannone, poiché ci si trova di fronte a porte, infissi, controtelai e ante, materiale edilizio che risulta avere un proprio valore economico e una propria potenziale utilizzabilità .

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 17 - 21 agosto 2017, n. 39334 Presidente Petruzzellis – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in questa sede impugnato, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza 25 febbraio 2010 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di condanna dell'odierno ricorrente per una fattispecie di tentato furto in concorso commesso il 17 febbraio 2010 aggravato dall'essere stato commesso con violenza sulle cose consistente nel danneggiare la porta in ferro posta sul retro del capannone dove si sono svolti i fatti. 2. Propongono ricorso per cassazione gli imputati CA. Gi., NA. An. e MO. Vi., articolando i seguenti motivi. 2.1. Manifesta illogicità della motivazione in punto dichiarazione di penale responsabilità. Affermano i ricorrenti la mancanza dei requisiti di gravità precisione e concordanza degli indizi posti a base della condanna anche in relazione al fatto che altri beni sono stati trovati trovata a bordo del veicolo di un altro soggetto separatamente arrestato. I ricorrenti affermano in sostanza che i beni asseritamente oggetto del tentato furto aggravato potrebbero essere stati precedentemente preparati per un successivo trasporto ad opera di costui. 2.2. Violazione di legge in relazione all'articolo 625 cod. pen Affermano i ricorrenti che i beni di cui alla contestazione e i locali dove sono stati trovati gli imputati risultavano incustoditi ed abbandonati e che da tali circostanze dovrebbe desumersi l'insussistenza dell'aggravante della violenza sulle cose per come contestata con conseguente improcedibilità dell'azione penale. 2.3. Violazione di legge in relazione all'articolo 62 numero 4 cod. pen. Affermano i ricorrenti che i beni oggetto della condotta contestata risulterebbero non commerciabili e quindi di valore trascurabile con conseguente applicabilità della fattispecie attenuata. 2.4. Violazione di legge con riferimento agli articoli 177-192-533 cod. proc. pen. Affermano i ricorrenti che la Corte d'appello avrebbe valorizzato - ai fini della condanna - mere congetture senza valutare con congrua motivazione gli elementi forniti dalla difesa che avrebbero introdotto una serie di ragionevoli dubbi di cui si doveva tener conto. Considerato in diritto 1. Quanto al primo e al quanto motivo di ricorso, con cui si contesta la sussistenza di indizi gravi precisi e concordanti a carico degli odierni indagati e si afferma la violazione delle norme in materia di valutazione delle prove e del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, deve rilevarsi che la sentenza impugnata - da valutarsi unitamente alla sentenza di primo grado -valorizza una considerazione unitaria e completa degli accertamenti e delle operazioni di appostamento e controllo svolti dagli operanti alla luce delle circostanze riferite dai testi di polizia giudiziaria da cui si desume una serie di elementi qualificanti la presenza in loco degli imputati già in momento precedente ai fatti, le dichiarazioni decettive degli stessi prima dei fatti, la contiguità temporale tra le condotte degli imputati e del soggetto che già stava portando via altro materiale, l'irruzione sul luogo dei fatti e la presenza degli imputati evidentemente intenti alla asportazione di altro materiale la presenza nel luogo medesimo di attrezzi che, in concreto, evidenziavano che l'asportazione ulteriore era in atto la precipitosa fuga degli stessi imputati alla vista degli operanti. In sostanza, l'iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi, fondandosi esso su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l'attribuzione a detti elementi del requisito della univocità, in quanto conducenti alla certa affermazione di responsabilità. Il ricorso, articolato in fatto, non incide sulla logicità, congruenza o coerenza intrinseca o estrinseca della motivazione, limitandosi a proporre una interpretazione alternativa delle emergenze processuali anche sganciata dagli elementi in atti. Al proposito, va ricordato che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti Cass. pen., sez. 6, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lo., rv. 234559 sez. 6, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Mi., rv. 253099 ., la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 . Per altro verso, deve rilevarsi come l'articolazione dei motivi prenda in considerazione del tutto separatamente i singoli atti senza considerarne la logica complessiva. Al proposito, va ricordato come questa Corte ha costantemente affermato che il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto, insussistente sulla base di una valutazione separata ed atomistica dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall'art. 273 cod. proc. pen., atteso che essi, in considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente. Sez. 2, Sentenza n. 9269 del 05/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 254871 . Peraltro, il ragionevole dubbio ritenuto sussistente dal ricorrente risulta frutto essenzialmente di una prospettazione alternativa che non trova riscontro negli atti processuali e che in parte risulta con questi contrastante. 2. Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo all'affermata insussistenza dell'aggravante della violenza sulle cose, deve rilevarsi che il fatto che si trattasse di immobile apparentemente abbandonato non elide il fatto - evidente nella ricostruzione del giudice di primo grado e apparentemente nemmeno contestata in sede di appello - che la porta di ingresso fosse chiusa con un catenaccio. Va al proposito ricordato che l'aggravante della violenza sulle cose risulta configurabile tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l'opera dell'uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione sia necessaria un'attività di ripristino Sez. 5, Sentenza n. 7267 del 08/10/2014 - dep. 18/02/2015 Rv. 262547 . Nel caso di specie, l'immobile da cui avrebbero dovuto essere asportati i beni era chiuso e per entrare risulta essere stata necessaria l'effrazione di una porta in ferro che impediva l'accesso carrabile al luogo ove era avvenuto il furto con conseguente sussistenza degli elementi costitutivi di tale aggravante. 3. Quanto alla doglianza con cui si contesta la mancata concessione dell'attenuante del danno di minima entità, deve rilevarsi che tale motivo risulta essere generico e comunque manifestamente infondato. La dedotta incommerciabilità dei beni risulta essere indimostrata e non trova alcun riscontro o conferma in atti. I beni oggetto del tentato furto contestato risultano essere porte, infissi, controtelai e ante materiale edilizio che risulta - sulla base degli atti - avere un proprio valore economico e una propria potenziale utilizzabilità. Il numero di beni in contestazione non permette di ritenere evidente che questi avessero un valore trascurabile. Il ricorrente nulla articola sul punto. Nemmeno viene indicata alcuna deduzione non considerata dalla Corte di merito. Va allora ricordato che, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi il ricorrente ha non soltanto l'onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall'art. 581, comma 1, lett. c c.p.p. in quanto non indica effettivi elementi che possano ritenersi alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato. 4. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro duemila alla cassa delle ammende. Sentenza a motivazione semplificata.