Inseguito e fermato con la refurtiva in mano: è senza dubbio furto consumato

Si realizza l’ipotesi di furto consumato anche nel caso in cui l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione a causa dell’intervento dell’avente diritto o della forza pubblica.

Lo afferma la Corte di Cassazione con sentenza n. 37216/17 depositata il 26 luglio. Il caso. La Corte d’Appello di Torino, rideterminando il trattamento sanzionatorio inflitto all’imputato, confermava nel resto le statuizioni del Tribunale circa la sua condanna per il furto consumato dell’autoradio installata a bordo di autocarro parcheggiato. L’imputato ricorre per cassazione deducendo la violazione dell’art. 56 c.p. in relazione al fatto che, essendo egli stato sorpreso dalla persona offesa mentre era in corso l’azione di impossessamento, la soglia di consumazione del delitto contestato non poteva ritenersi raggiunta. Furto consumato. La S.C. ribadisce che ai fini della distinzione tra reato di furto consumato e furto tentato, non hanno rilevanza né il criterio spaziale né il criterio temporale, ma è sufficiente, ai fini della consumazione, la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore e il correlativo impossessamento di essa da parte dell’agente anche per un breve lasso di tempo . È furto consumato, dunque, anche l’ipotesi in cui l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione a causa dell’intervento dell’avente diritto o della forza pubblica. Nella fattispecie, l’imputato aveva conseguito la signoria sull’autoradio e l’aveva poi persa per effetto dell’intervento della persona offesa che vedendolo uscire dal proprio autocarro lo aveva inseguito consentendone la cattura. La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 aprile – 26 luglio 2017, n. 37216 Presidente Lapalorcia – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La Corte di appello di Torino ha, con la sentenza impugnata, parzialmente riformato quella emessa - all’esito di giudizio abbreviato - dal locale Tribunale, che aveva riconosciuto colpevole M.L. per il furto consumato del frontalino di un’autoradio installata a bordo di un autocarro lasciato in sosta sulla pubblica via, rideterminando il trattamento sanzionatorio inflitto all’imputato nella misura ritenuta di giustizia e confermando le ulteriori statuizioni. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato per violazione di legge in relazione all’art. 56 cod. pen Deduce, per il tramite del difensore, Avv. Enrico Bucci, che il fatto che il ricorrente sia stato sorpreso dalla persona offesa mentre era in corso l’azione di impossessamento del bene e che da questa sia stato inseguito, mentre aveva in dosso il bene sottratto, fino alla sua cattura, non consente di ritenere raggiunta la soglia di consumazione del delitto contestato, essendosi lo stesso arrestato al tentativo per non avere ottenuto l’imputato un possesso autonomo sulla cosa altrui. 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Come spiegato dal Collegio del gravame l’imputato fu scorto nell’atto di uscire dall’autocarro della persona offesa, la quale lo inseguì nel mentre portava con sé il frontalino dell’autoradio. Sicché egli ebbe, seppure per un tempo molto limitato, la piena disponibilità del maltolto, essendo la sottrazione avvenuta non sotto l’occhio del titolare ma in una fase immediatamente precedente al suo sopraggiungere ed essendosi l’impossessamento consolidato nella successiva fase dell’inseguimento ciò valendo a connotare il furto come consumato e non come tentato. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale sono corrette perché rendono applicazione del principio di diritto a mente del quale, ai fini della distinzione tra il reato di furto consumato e quello tentato, non hanno rilevanza né il criterio spaziale né il criterio temporale, di talché è sufficiente, ai fini della consumazione, la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore e il correlativo impossessamento di essa da parte dell’agente anche per breve lasso di tempo si realizza, pertanto, l’ipotesi di furto consumato anche se l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione a causa del pronto intervento dell’avente diritto o della forza pubblica. Solo se l’intervento di costoro, all’insaputa dell’agente, sia intervenuto, sotto forma di vigilanza, nel corso dell’azione delittuosa per modo che vi sarebbe stata la possibilità di intervenire in qualsiasi momento per bloccarne l’attività, il furto non potrebbe considerarsi consumato ciò anche se l’agente si fosse impossessato della cosa giacché non si sarebbe mai potuto realizzare in tali circostanze un autonomo effettivo impossessamento della refurtiva, rimasta sempre nella sfera diretta di controllo e vigilanza dell’offeso Sez. 5, n. 837 del 03/11/1992 - dep. 01/02/1993, Zizzo, Rv. 19348601 . A diversi approdi non consente di giungere la pronuncia delle Sezioni Unite, evocata nella sentenza impugnata Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014 - dep. 16/12/2014, Prevete e altro, Rv. 261186 , la quale ha affermato - in una ipotesi di furto in supermercato - che la consumazione è esclusa dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo , in quanto l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente . Nella specie, infatti, M. aveva conseguito proprio quella signoria sul bene - che è assunta, dalla Suprema Corte, a criterio distintivo tra consumazione e tentativo -, poi persa per effetto dell’intervento della persona offesa che, vistolo uscire dal proprio autocarro, l’aveva inseguito consentendone la cattura. 4. Le superiori considerazioni conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.