Scafisti e immigrazione clandestina: quando può dirsi giurisdizione italiana

In tema di immigrazione clandestina e, più precisamente, in relazione al fenomeno dei c.d. scafisti”, la Cassazione ha qui l’occasione di ribadire l’assunto per cui la giurisdizione nazionale sussiste anche

nell’ipotesi in cui venga accertato, successivamente al trasporto dei migranti a bordo di un’imbarcazione priva di bandiera in acque extraterritoriali, l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari sul territorio nazionale, grazie all’intervento dei soccorritori. Lo chiarisce con sentenza n. 36837/17 depositata il 25 luglio. Il caso. La Corte d’Appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale per i minorenni con cui l’imputato, quale cittadino senegalese, veniva dichiarato colpevole per avere concorso con un altro scafista maggiorenne all’immigrazione clandestina di ben 107 persone di diversa di nazionalità diversa, trasportandole a bordo di un gommone ed esponendole al pericolo per la loro vita e per la loro incolumità. L’imputato ricorre per cassazione lamentando, fra l’altro, violazione di legge per carenza della giurisdizione italiana. Giurisdizione italiana. A tal proposito, la Corte ha già avuto modo di affermare che la giurisdizione nazionale sussiste anche nell’ipotesi in cui il trasporto dei migranti, avvenuto a bordo di un’imbarcazione priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati, quale eventi del reato, l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l’intervento dei soccorritori, quale esito causalmente collegato all’azione e previsto in considerazione delle condizione natante . Tale assunto è perfettamente compatibile con la fattispecie in esame laddove l’imputato ha consentito, come rilevato dallo svolgimento fatti, l’ingresso nel territorio dello Stato, in particolare nel catanese, a più di 5 persone. La Cassazione rigetta il ricorso e, in virtù della minore età dell’imputato al momento della commissione del reato, non lo condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 aprile – 25 luglio 2017, n. 36837 Presidente Di Tomassi – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, resa il 20 - 26 maggio 2016, la Corte di appello di Catania, Sezione per i minorenni, ha confermato la sentenza emessa il 22 febbraio - 8 marzo 2016 dal Tribunale per i minorenni di Catania. Questa decisione aveva dichiarato F.I. , cittadino senegalese, imputato del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 12, comma 3, lett. a e b , d. Igs. n. 286 del 1998, aggravato ex art. 12, comma 3-bis, dello stesso d. Igs. - per avere, in concorso con il maggiorenne C.D. , al fine di trarne profitto, alternandosi alla guida di un gommone di colore bianco partito dalla Libia, compiuto atti diretti a procurare l’ingresso illegale nello Stato di 107 persone di diversa nazionalità, esponendole per le modalità e la durata del trasporto a pericolo per la loro vita e la loro incolumità, con l’aggravante di avere commesso il fatto per consentire l’ingresso nel territorio dello Stato a più di cinque persone, fatto accertato in Catania, il 16 luglio 2015 - colpevole del delitto a lui ascritto e, riconosciute la diminuente per la minore età e le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, nonché operata la riduzione per il rito prescelto, lo aveva condannato alla pena di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione ed Euro 476.000,00 di multa. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore del F. chiedendone l’annullamento ed affidando l’impugnazione a cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge per carenza della giurisdizione italiana. La fattispecie contestata, delle due previste dalla disposizione, puniva già gli atti diretti all’illegale ingresso dei migranti in Italia. Si trattava di una fattispecie a consumazione anticipata, rispetto a cui il reato si era consumato, con il completamento della condotta, nelle acque internazionali. In effetti, secondo il ricorrente, il fine ultimo degli scafisti non era far arrivare i migranti in Italia, bensì era soltanto quello di intascare il danaro che i disperati versavano loro prima del viaggio e poi di abbandonarli in mare che i migranti venissero o meno soccorsi e recuperati dalle navi della Marina Militare era per gli scafisti del tutto irrilevante, sicché, contrariamente a quanto era stato sostenuto anche dalla sentenza impugnata, l’arrivo in Italia non era affatto da considerarsi come un fatto programmato. Anche il ricorso alla teoria dell’autore mediato, coltivato dalla giurisprudenza, costituiva la riprova che il fatto era in realtà commesso in acque internazionali. Né era dato condividere l’applicazione dell’art. 54 cod. pen. per inquadrare l’intervento, doveroso, della Marina Militare, avendo agito - gli appartenenti alla stessa - in adempimento del dovere, con l’applicazione dell’art. 51 cod. pen., norma che egualmente esimeva i soccorritori da qualsivoglia responsabilità, ma senza consentire la sussunzione della fattispecie sotto il modello dell’autore mediato. 2.2. Con il secondo motivo, a corollario del precedente, si prospetta la violazione di legge, in relazione dell’art. 10 cod. pen., il quale, nello stabilire le necessarie condizioni affinché possa ritenersi punibile in Italia lo straniero che abbia commesso all’estero un delitto comune, esige che lo stesso sia sul territorio dello Stato e che si abbia la formulazione della previa richiesta di procedere da parte del Ministro della Giustizia nel caso in esame era mancata quest’ultima condizione di procedibilità. 2.3. Con il terzo motivo si riprende il tema della censura coltivata nel primo motivo in ordine alla violazione di legge integrata dalla Corte territoriale per aver ritenuto il reato perfezionato in territorio italiano configurando la strumentale precostituzione dello stato di necessità, laddove era patente che, invece, gli scafisti abbandonavano i migranti in mare senza alcuna altra attività da loro presupposta e ovviamente senza alcun accordo con concorrenti ignoti che, oltretutto, in questo caso, avrebbero dovuto individuarsi nei militari della Marina tedesca. Artificiosa appariva dunque la costruzione che indicava come provocato dagli scafisti l’intervento dei soccorritori. Il ricorrente ha rimarcato che nell’attuale versione la condotta sanzionata dall’art. 12 non è più il favoreggiamento, ma è quella del procurare l’ingresso illegale, condotta che avrebbe richiesto il riscontro di un rapporto materiale che si estrinsecasse in un fare per conto di altri e non poteva dirsi che abbandonare in mare i migranti trasportati bastasse per integrare l’elemento oggettivo del reato. 2.4. Con il quarto motivo si prospettano erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione nell’aver ritenuto provato l’elemento soggettivo del reato ex art. 12 cit Al riguardo, la sentenza impugnata aveva omesso di considerare sia le dichiarazioni rese dall’imputato, sia quelle dei testimoni, fra cui C.G. , sul fatto che, se era vero che il F. era stato visto mentre pilotava il gommone, era anche vero che circa il suo comportamento era emerso l’assoggettamento alle disposizioni dei suoi controllori sul natante il F. aveva spiegato di essere stato a sua volta rapito dai libici che disprezzavano e schiavizzavano i senegalesi e da loro costretto a svolgere lavori forzati, di avere poi aiutato a gonfiare il gommone e di averlo guidato in mare, costretto a farlo anche quando si era stancato e avrebbe voluto fermarsi. Ed era noto che coloro che controllavano questi traffici sempre più spesso costringevano ragazzi come l’imputato a pilotare i natanti, magari con la promessa di non fargli pagare il viaggio. In particolare, la testimonianza di C.G. aveva confermato che l’imputato era controllato e costretto a guidare il gommone. Era poi comprensibile che il F. aveva detto di averlo pilotato per aiutare i suoi connazionali egli nutriva l’evidente timore che, se avesse detto tutto ciò che era accaduto, sarebbero scattate rappresaglie ai suoi danni. Se, pertanto, la volontà dell’imputato minorenne era stata coartata, la relativa coercizione faceva perdere valore all’assunto accusatorio in punto di evenienza dell’elemento soggettivo. 2.5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per carenza e contraddittorietà della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio. Nell’appello era stato evidenziato che l’applicazione della pena, per l’ipotesi semplice e con le attenuanti riconosciute in regime di prevalenza, non risultava congrua per essersi collocata al livello del massimo edittale previsto per l’ipotesi semplice. La sentenza impugnata aveva qualificato l’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 12 come fattispecie autonoma, con l’impossibilità di operare il giudizio di prevalenza. E su tale approdo si esprimeva accordo. Non si comprendeva, però, la ragione per la quale la pena base era stata individuata in quella sproporzionata di anni cinque di reclusione soprattutto se la si connetteva al vissuto peculiare del giovane imputato ed alla considerazione della situazione in cui era stato posto il F. dai cinici organizzatori del viaggio. 3. Il Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, per essere i motivi posti a suo sostegno infondati, siccome, nella parte in cui erano ammissibili, essi erano senz’altro resistiti dagli esiti delle prove acquisite. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene l’impugnazione non fondata e, come tale, da rigettarsi. 2. Quanto alla questione di giurisdizione, la Corte specializzata di secondo grado ha osservato che, ai sensi dell’art. 6 cod. pen., il reato era commesso nel territorio dello Stato anche quando si era ivi verificato l’evento costituito dalla conseguenza dell’azione od omissione e, nella fattispecie illecita avvenuta il 16 luglio 2015, l’ingresso illegale nel territorio dello Stato per il tramite della nave tedesca che aveva soccorso i migranti in acque internazionali era stato l’effetto immediato e diretto dell’azione consistita nell’imbarcare 107 persone su un gommone privo di dispositivi di sicurezza ed in precarie condizioni di stabilità, certamente non in grado di assicurare la sicurezza dei passeggeri per una simile traversata ed era chiaro che i trafficanti avevano creato quella situazione di necessità in presenza della quale i soccorsi non potevano non essere apprestati e, con essi, erano seguiti il prosieguo della condotta necessita e l’evento ingresso illegale in Italia dei trasportati. In tale evenienza l’esito conclusivo non poteva non essere ricondotto all’azione dei trafficanti che lo avevano determinato, sicché esso si legava in diretta derivazione causale al primo segmento della condotta commessa in acque extraterritoriali. L’analisi compiuta nella sentenza impugnata resiste alla critica mossa dall’appellante. Deve, specificandosi quanto emerge dall’analisi stessa, ribadirsi l’assunto già in altre occasioni puntualizzato la giurisdizione nazionale sussiste anche nell’ipotesi in cui il trasporto dei migranti - avvenuto in violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 286 del 1998 a bordo di una imbarcazione priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, secondo la previsione dell’art. 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare - sia stato accertato in acque extraterritoriali, ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati, quale evento del reato, l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l’intervento dei soccorritori, quale esito causalmente collegato all’azione e previsto in considerazione delle condizioni del natante v., fra le altre, Sez. 1, n. 11165 del 22/12/2015, dep. 2016, Almagasbi, Rv. 266430 Sez. I, n. 20503 del 08/04/2015, I. M., Rv. 263670 Sez. 1, n. 18354 del 11/03/2014, Hamada, Rv. 262542 . Va, sull’argomento, richiamato il complesso di argomenti che la Corte ha già sviluppato sul concetto di necessità dell’intervento di soccorso con riferimento alla sentenza del 23/02/2012 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, Causa Hirsi Jamaa e altri c. Italia, ricorso n. 27765/09, in cui viene ricordata la Risoluzione 1821 2011 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in ordine all’obbligo sia morale che giuridico di soccorrere le persone in pericolo in mare senza il minimo indugio, nonché l’esigenza che tale obbligo sia rispettato in occasione dell’esecuzione del controllo alle frontiere conformemente al CFS Codice delle Frontiere Schengen , ivi incluse le attività di sorveglianza delle frontiere in alto mare, secondo la retta interpretazione della sfera della attività di sorveglianza delle frontiere in mare data dalla Commissione Europea. Sussiste, dunque, la giurisdizione dello Stato italiano ai sensi dell’art. 6, secondo comma, cod. pen. lì dove parte dell’azione che costituisce il reato contestato risulti commessa in Italia, sia direttamente, sia anche per interposizione dei soggetti chiamati a prestare soccorso e ricovero immediato, in Italia, ai migranti posti in deliberata situazione di pericolo. Di tale azione nel territorio dello Stato devono in ogni caso rispondere, ai sensi dell’art. 54, terzo comma, e art. 111, primo comma, cod. pen. coloro che - come l’attuale ricorrente - detta situazione ed il conseguente intervento hanno determinato. Attesa l’indicata situazione, non può non ritenersi che l’intervento in alto mare, fra i soccorritori, della Marina militare e della Polizia italiana, con l’assunzione dei provvedimenti, anche coercitivi, risulta giuridicamente sorretto dal rispetto dell’obbligo - previsto dall’art. 98 della C.N.U.D.M. Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare , firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 - di prestare assistenza alle persone in pericolo o in emergenza in alto mare, dall’art. 100, par. 1, comma d , CNUDM, letto in correlazione all’art. 91 della stessa Convenzione, che autorizza l’abbordaggio di imbarcazioni che non battono alcuna bandiera, come quella che nel caso in esame trasportava i migranti illegali attraverso il Mediterraneo, dall’art. 8, par. 2 e 7, del Protocollo contro il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, fatta a Palermo il 15/11/2000, che - sviluppando ed articolando in forma normativa l’analogia esistente tra il traffico di schiavi e la tratta degli esseri umani oggetto di immigrazioni irregolari, e quindi espressamente estendendo il disposto dell’art. 100, par. 1, comma b , della C.N.U.D.M. a proposito della facoltà di abbordaggio in caso di sospetto di traffico di schiavi, al traffico di migranti - autorizza gli Stati a intercettare e a prendere misure appropriate contro le navi che possono essere ragionevolmente sospettate di essere dedite al traffico illecito di migranti. La coordinata analisi di tali fonti, ratificate vigenti nell’ordinamento italiano, assodato che la libertà dell’alto mare attiene al mutuo riconoscimento tra Stati di pari potestà e facoltà e alla connessa reciproca autolimitazione dei poteri e diritti sovrani, fa sì che, quando si registri la carenza di un rapporto, tramite la nave, tra il navigante in alto mare e altro Stato, l’ordinamento interno non consente al singolo in quanto tale di rivendicare alcuna generalizzata esclusione da ogni esercizio di tali diritti e poteri nei suoi confronti e rende, al contrario, costui soggetto senza limiti esterni alla potestà coercitiva e punitiva di qualsiasi Stato le cui leggi abbia violato e alla cui giurisdizione, in base all’ordinamento interno e in conformità alle norme convenzionali, è assoggettato così la motivazione resa da Sez. 1, n. 36052 del 23/05/2014, Arabi, Rv. 260040, alle cui riflessioni si rinvia per ogni altro dettaglio . Nel caso in esame la Corte di appello - con motivazione coerente nell’articolazione logica e fondata sulla completa ed esaustiva esposizione dei dati probatori rilevanti - ha dato adeguato conto dell’essersi verificato l’illecito innesco, da parte dei promotori e degli esecutori del trasporto illegale, dell’attività ineludibile di soccorso mediante lo strumentale abbandono dei migranti su un inidoneo natante in alto mare, con attivazione del loro salvataggio ed il loro susseguente ingresso illegale in territorio italiano. Il reato contestato, pertanto, risulta - secondo la prospettazione e secondo l’esito della verifica - commesso, per parte della sua stessa azione, in territorio italiano e, trattandosi di reato commesso in territorio italiano, la sussistenza della relativa giurisdizione è stata rettamente affermata dal giudici di merito. 3. Il secondo motivo va immediatamente disatteso, perché esso si fonda sul presupposto, non verificato, che il delitto contestato sia stato commesso all’estero. 4. Anche lo scrutinio del terzo motivo rinviene la sua chiave, reiettiva della prospettazione del ricorrente, nelle considerazioni già svolte in tema di verifica della giurisdizione. La Corte territoriale ha, incensurabilmente, accertato che il F. , in concorso con il maggiorenne C.I.M.D. , ha svolto concretamente il ruolo di scafista alternandosi con lui alla guida del gommone con l’effettuazione del viaggio strutturato in modo tale da esigere l’invocazione dei soccorsi ad un certo punto della tratta per l’assodata inadeguatezza strutturale del mezzo di trasporto in relazione alle oltre 100 persone fatte salire a bordo, dopo aver riscosso il pagamento del corrispettivo della traversata elemento che sotto il profilo logico consolida, e non indebolisce, come sembra opinare il ricorrente, la ricostruzione del fatto esposta dai giudici di merito . È dunque del tutto coerente, oltre che aderente alla valutazione critica delle risultanze probatorie analizzate, la motivazione secondo cui l’organizzazione del viaggio, alla cui fase esecutiva il F. ha fornito un contributo causale di certa efficienza, nel preciso senso di condurre il gommone in condizioni assolutamente precarie e con sicuro rischio della vita dei migranti trasportati, per fare in modo che, ancora in acque internazionali, le unità navali, sia italiane, sia di altri Paesi impegnati nella missione lanciata dall’Agenzia Europea , dovessero necessariamente intervenire per salvare la vita dei migranti stessi e, di conseguenza, farli entrare in territorio italiano. Ciò è puntualmente avvenuto nel caso di specie con le modalità specificamente descritte dai testimoni che ha visto l’intervento salvifico della Marina tedesca, essendo noto, oltre che consentaneo all’inquadramento giuridico già richiamato, il rilievo che i partecipanti alla suddetta missione, avente come obiettivo primario il presidio delle frontiere, in caso di necessità, non possono non intervenire in soccorso dei migranti lasciati in situazione di pericolo. Pertanto, preso atto dell’avvenuto accertamento dello studiato - dai soli trafficanti - collegamento dell’attività dell’imputato e dei suoi complici con l’intervento dei soccorritori, è da ritenere che l’attività compiuta dal F. e dai correi nella gestione della traversata abbia integrato, connettendosi con il suddetto, necessitato prosieguo, il delitto contestato, essendo stata messa in essere quella specifica, concreta attività diretta a procurare l’ingresso illegale dei soggetti extracomunitari trasportati nel territorio dello Stato, ingresso poi effettivamente avvenuto nei sensi già chiariti. 5. Quanto alla contestazione della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al F. in ordine al delitto ascrittogli, la deduzione della sua assoluta eterodirezione risulta adeguatamente contrastata dal discorso giustificativo reso dalla sentenza impugnata. La testimonianza di C.G. , dal ricorrente prospettata come contenente un decisivo discarico per la sua posizione, si profila, invece, analizzata in termini diversi e non contrastati sulla scorta di una critica autosufficiente dal F. dalla Corte territoriale, la quale ha illustrato come dal complesso di quella deposizione l’imputato, identificato con il ruolo di capitano , per varie ore, avesse condotto il gommone nel corso del viaggio in modo autonomo, mentre poi in un secondo tempo, quando egli aveva annunciato che intendeva spegnere il motore comportamento del tutto coerente con la preventivata sollecitazione dei soccorsi , fosse stato indotto non da alcuno dei suoi complici, bensì da quelli fra i trasportati che parlavano la sua lingua a non fermare il natante ed era stato da loro sorvegliato. A tale argomentazione la sentenza impugnata affianca la considerazione scaturente dall’analisi del complessivo narrato delle testimonianze assunte nell’incidente probatorio per concludere in modo non censurabile che il F. , fin dall’inizio del viaggio, dopo essere stato addestrato, aveva consapevolmente accettato di guidare la barca, con proprio profitto, ricevendone in cambio la gratuità della traversata obiettivo che, in certa misura, differenzia la posizione sua da quella degli organizzatori e che, peraltro, i giudici di merito hanno considerato, ma che sicuramente non è idoneo a far scolorire l’accertamento della sua consapevolezza e volontà di contribuire in modo netto al procurato ingresso illegale dei 107 migranti nelle condizioni di grave pericolo artatamente programmate. 6. In ordine alla quinta ed ultima doglianza, afferente al trattamento sanzionatorio, il ricorrente ha prospettato l’eccessività della pena base lì dove ha sottolineato di non comprendere la ragione per la quale detta pena era stata individuata in quella sproporzionata di anni cinque di reclusione, soprattutto in considerazione del peculiare vissuto del giovane imputato e della situazione di sostanziale strumentalizzazione in cui era finito il F. per l’azione dei cinici organizzatori del viaggio. Orbene, il computo della pena finale inflitta all’imputato, che è quella di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione ed Euro 476.000,00 di multa, operato dal primo Giudice e confermato, pur con più specifica spiegazione dalla Corte di appello, è partito, quanto alla pena detentiva, da quella di anni cinque di reclusione, ma ha visto applicare progressivamente la diminuente di cui all’art. 98 cod. pen. per la minore età dell’imputato , poi le circostanze attenuanti generiche ed infine la diminuente per il rito, fino a pervenire alla pena finale di anni uno, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed Euro 476.000,00 di multa. Tanto posto, occorre aggiungere che mentre il primo Giudice ha formulato il giudizio di bilanciamento apparentemente di equivalenza, la Corte di appello ha rettificato tale bilanciamento ritenendo in realtà accordata la prevalenza all’attenuante della minore età e, per conseguenza, alle attenuanti generiche. Assodato quanto precede, la doglianza articolata sull’argomento non ha formulato una critica specifica all’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nell’attuazione dell’operazione dosimetrica, non potendo, del resto, la deduzione della giovane età e della particolare condizione dell’imputato, già valutate dai giudici di merito per il riconoscimento oltre che della minore età, anche delle circostanze attenuanti generiche, influire in concreto sulla individuazione della pena base che il ricorrente - affatto genericamente - ha stigmatizzato come eccessiva, senza menomamente considerare la pure evidenziata estrema gravità del fatto, culminato nell’abbandono in mare di ben 107 migranti, così posti in pericolo di vita. 7. Di conseguenza, l’impugnazione deve essere rigettata. Il ricorrente, minorenne al momento del commesso reato, non va ex art. 29 d.lgs. n. 272 del 1989 condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003 in quanto disposto dalla legge.