Occulta le fatture agli ispettori fiscali, è reato

La Cassazione ribadisce il principio secondo il quale il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 d.lgs. n. 74/00 è connotato, sotto il profilo soggettivo, dal dolo specifico di danno che consiste nel fine di evasione, sia diretta che indiretta, atteso che il bene giuridico tutelato è costituito dall’interesse dello Stato alla trasparenza fiscale ed alla percezione dei tributi

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 35578/17, depositata il 19 luglio. Il caso. La Corte d’Appello confermava la pronuncia del Tribunale di primo grado con la quale condannava il titolare di una ditta individuale per il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74/00, per aver al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultato e distrutto le scritture contabili obbligatorie e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione di modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari. Avverso tale pronuncia l’imprenditore ricorre in Cassazione lamentando violazione di legge in relazione all’art. 10 d.lgs. n. 74/00 e al vizio motivazionale della mancanza dell’elemento oggettivo del reato. Congiuntamente lamenta il vizio motivazionale, ritenendo che non sia sussistente l’elemento del dolo specifico richiesto per la costituzione del reato in esame. Le fatture. Nel caso di specie, l’imputato non contesta di aver emesso le fatture, ne di aver ricevuto quelle passive e ciò, secondo la Cassazione, è sufficiente ad integrare la condotta contestata. Il fatto che le fatture siano state rinvenute dopo l’ispezione, infatti, rafforza l’elemento oggettivo del reato, il quale si perfeziona con la mancata esibizione della documentazione obbligatoria agli agenti che ne abbiano fatto richiesta nel corso di un’ispezione. Per cui, nel momento in cui venga posta in essere una condotta di occultamento il reato riveste natura permanente, in ragione del perdurare della condotta di occultamento delle scritture o dei documenti sino al momento dell’accertamento fiscale che coincide con il dies a quo del termine di prescrizione . Nel caso di specie, il fatto che l’imputato abbia ricevuto le fatture passive è, secondo la Corte, elemento sufficiente al perfezionamento della fattispecie criminosa. Il dolo specifico di danno. La Cassazione rileva, inoltre, che il reato in esame è connotato, sotto il profilo soggettivo, dal dolo specifico di danno che consiste nel fine di evasione, sia diretta che indiretta, atteso che il bene giuridico tutelato è costituito dall’interesse dello Stato alla trasparenza fiscale ed alla percezione dei tributi. Per cui, nel caso di specie, il ricorrente in qualità di titolare di una ditta individuale che svolge attività di commercio, stando all’ id quod plerunque accidit, miri ad un volume di affari e sia per ciò produttiva di redditi , la cui ricostruzione è stata di fatto resa impossibile agli ispettori tributari, attraverso la condotta dell’imprenditore. Per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 giugno – 19 luglio, n. 35578 Presidente Savani – Relativo Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12.1.2017 la Corte di Appello di Torino ha integralmente confermato la pronuncia resa in primo grado dal tribunale di Asti che aveva condannato P.P. , in qualità di titolare della ditta individuale Euro Stock di P.P. , alla pena di quattro mesi di reclusione, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 10 d. lgs. 74/200 per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultato e/o distrutto le scritture contabili obbligatorie ed i documenti, costituiti da fatture passive inerenti gli anni 2007-2008-2009 e da fatture attive inerenti l’anno 2007, di cui è obbligatoria la conservazione così da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha proposto per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p Con il primo motivo deduce in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 10 d.lgs. 74/2000 e al vizio motivazionale la mancanza dell’elemento oggettivo del reato con riferimento alle fatture passive, assume la mancanza di prova dell’effettiva consegna all’imputato della merce ivi indicata, così come del pagamento del prezzo da parte propria atteso che nulla aveva saputo riferire la teste C. , funzionario dell’Agenzia delle Dogane di Cuneo, in ordine all’effettivo incasso da parte dei fornitori degli importi indicati nelle fatture né della consegna della merce al P. quale beneficiario della merce, non potendo quindi ritenersi che la suddetta documentazione indichi un costo, mentre in relazione alle fatture attive, quelle cioè emesse dall’imputato, le stesse risultano essere state successivamente rinvenute, con conseguente insussistenza della condotta materiale integrante la contestata norma incriminatrice. 2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio motivazionale che il dolo specifico richiesto per il perfezionamento del reato non possa desumersi dall’attività commerciale svolta dall’imputato, e conseguentemente dalla prova della produzione di redditi del volume di affari, ovverosia in altri termini desunta dalla sola avvenuta realizzazione dell’elemento oggettivo del reato difetta al contrario nella specie la consapevolezza in capo all’agente di compiere una condotta idonea ad impedire la ricostruzione dei suoi redditi, né di voler evadere il Fisco, finalità quest’ultima esclusa dal successivo reperimento delle fatture le quali, una volta reperite hanno consentito la determinazione delle imposte dovute. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. L’imputato non contesta di aver emesso le fatture attive, né di aver ricevuto quelle passive, e ciò è sufficiente ad integrare la condotta contestata, consistita nella distruzione od occultamento delle medesime, trattandosi di documenti di cui è obbligatoria la conservazione. Il fatto che le fatture attive, ovverosia quelle emesse dall’imputato, siano state successivamente rinvenute, ovverosia ad ispezione ultimata, non solo non esclude, ma al contrario rafforza l’elemento oggettivo del reato il quale si perfeziona con la mancata esibizione della documentazione obbligatoria agli agenti che ne abbiano fatto richiesta nel corso di un’ispezione e che non l’abbiano rinvenuta nel luogo in cui la stessa avrebbe dovuto essere tenuta, momento questo collimante con la consumazione del reato Sez. 3, n. 3055 del 14/11/2007 - dep. 21/01/2008, Allocca, Rv. 238612 Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015 - dep. 22/09/2015, Palermo, Rv. 264676 , tenuto conto che le norme tributarie prevedono l’obbligo di dichiarare il luogo di tenuta della suddetta documentazione. Invero allorquando venga posta in essere una condotta di occultamento il reato riveste, a differenza della condotta di distruzione anch’essa alternativamente integrante il delitto contestato, natura permanente, in ragione del perdurare della condotta di occultamento delle scritture o dei documenti sino al momento dell’accertamento fiscale che coincide con il dies a quo del termine di prescrizione. Del pari il fatto che le fatture passive siano state ricevute dall’imputato, circostanza questa peraltro confermata dalle dichiarazioni rese per conto delle società emittenti presso le quali è stato eseguito un controllo incrociato, è elemento sufficiente al perfezionamento della fattispecie criminosa, atteso che il reato come già rilevato, si perfeziona con l’omessa esibizione delle fatture, rispetto alla quale il pagamento è un post factum penalmente irrilevante tenuto conto che ai sensi dell’art 6 dpr 633/1972 l’obbligo di emissione della fattura in caso di vendita di beni mobili nasce al momento della consegna della merce al destinatario, indipendentemente dal suo contestuale pagamento. 2. La stessa sorte segue anche il secondo motivo. Il delitto in esame è connotato sotto il profilo soggettivo dal dolo specifico di danno Sez. 3, n. 20786 del 18/04/2002 - dep. 28/05/2002, Russo, Rv. 221616, Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016 - dep. 18/04/2016, Gagliotta, Rv. 266757 che, del tutto peculiarmente rispetto altre figure delittuose del d. lgs. 74/2000, consiste nel fine di evasione sia diretta che indiretta atteso che il bene giuridico tutelato è costituito dall’interesse dello Stato alla trasparenza fiscale ed, in via mediata, alla percezione dei tributi. Orbene, nella fattispecie in esame, è pacifico che il ricorrente sia titolare di una ditta individuale esercente attività di commercio all’ingrosso di autoveicoli e ricambi, e che perciò svolga un attività che stando all’ id quod plerumque accidit , come già rilevato dalla Corte territoriale, miri ad un volume di affari e sia perciò produttiva di redditi, la cui ricostruzione è stata di fatto, attraverso la condotta contestata, resa impossibile agli ispettori tributari. Siffatte circostanze, unitamente all’insussistenza di contrastanti allegazioni difensive volte a sostenere l’involontarietà della condotta, sono di per sé sufficienti ad integrare l’elemento soggettivo, ovverosia la finalità di evasione del Fisco perseguita dall’agente attraverso la sostanziale impossibilità di consentire, attraverso la dispersione delle scritture contabili, pur istituite, e le fatture, di cui è stata accertata l’esistenza, la ricostruzione dei suoi redditi. Il ricorso, che si limita a riproporre le stesse censure sollevate con il ricorso in appello e motivatamente respinte dai giudici del gravame senza porre alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata, deve essere pertanto dichiarato inammissibile, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende, a norma dell’art. 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.