L’epilessia della figlia non è abbastanza pericolosa per fargli ottenere il permesso di necessità

Il permesso di necessità previsto all’art. 30 ord. pen. riveste un carattere di eccezionalità ed è concesso soltanto per eventi di natura familiare che assumano particolare gravità.

Così ha deciso la Suprema Corte con sentenza n. 33350/17 depositata il 10 luglio. Il caso. Il detenuto necessitava di un colloquio con la figlia la quale, a causa delle sue condizioni sanitarie legate all’epilessia, da tempo non svolgeva più colloqui in carcere. Per tali motivi, il padre chiedeva un permesso di necessità ex art. 30 ord. pen. che, però, non gli veniva concesso. Proposto reclamo, il Tribunale di Sorveglianza lo rigettava assumendo che la necessità da lui evidenziata non rientrava tra le concessioni eccezionali della norma da lui invocata. Avverso tale ordinanza, il detenuto decide di ricorrere in Cassazione lamentando la dichiarazione di inammissibilità del permesso-premio da parte del Tribunale di Sorveglianza. Permessi-premio e permessi di necessità. Il Collegio di legittimità rileva che, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, ossia l’inammissibilità del permesso-premio, il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza era reiettivo di un’istanza di permesso di necessità. Dunque, per quanto concerne l’oggetto del procedimento, e cioè il permesso di necessità, gli Ermellini ritengono che il Tribunale abbia fatto buon uso dei principi espressi in detta materia. Infatti, afferma la Corte, il permesso previsto al secondo comma dall’art. 30 ord. pen. diverso dal permesso-premio ex art. 30- ter ord. pen. può essere concesso, per espressa disposizione normativa, soltanto eccezionalmente e per eventi familiari di particolare gravità . Tale disciplina è particolarmente ristretta poiché lascia spazio ai soli eventi di natura familiare che assumano il carattere di particolare gravità. In tal senso, il termine gravità deve intendersi come un qualsiasi avvenimento particolarmente significativo nella vita di una persona, stante comunque l’eccezionalità della concessione. Nella fattispecie, il ricorrente propone questioni che attengono al diverso istituto del permesso-premio, e il ricorso appare privo di una correlazione diretta con la motivazione dell’ordinanza impugnata. Pertanto, la Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso e lo condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 giugno – 10 luglio 2017, n. 33350 Presidente Novik – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 12.10.2016 il Tribunale di Sorveglianza di Potenza rigettava il reclamo proposto dal detenuto C.C. avverso il provvedimento reiettivo dell’istanza di permesso di necessità ex art. 30 Ord. Pen. adottato dal Magistrato di Sorveglianza di Potenza il 03.08.2016. Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che il detenuto aveva evidenziato la necessità di effettuare un colloquio con la figlia, che da tempo, a causa delle sue condizioni sanitarie, non svolgeva colloqui in carcere tuttavia, veniva esaminata la documentazione pervenuta dalla ASL di omissis , da cui risultava che la figlia del reclamante era seguita dall’anno 2009 per epilessia con crisi parziali secondarie a convulsioni febbrili ella era in trattamento sanitario e la malattia veniva definita di media entità e cronica, senza che esistesse un imminente pericolo di vita. Concludeva il giudice che la norma invocata dal detenuto consentiva soltanto concessioni eccezionali del permesso ex art. 30 Ord.Pen. e non poteva essere quindi legato ad una patologia di natura cronica, gestibile con terapia medica, della quale non era stato segnalato alcun peggioramento e che non risultava impedire le visite al padre la concessione periodica del permesso - legato all’andamento cronico della patologia - avrebbe snaturato l’istituto. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato, deducendo erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione si sostiene che in realtà il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Potenza aveva dichiarato inammissibile l’istanza di permesso premio per non avvenuta espiazione della quota parte di pena relativo ad un delitto ostativo non considerando l’esistenza di precedenti giurisdizionali che avevano ritenuto l’antinomia tra il comma 1 dell’art. 4 bis Ord. Pen. e il comma 4 dell’art. 30 ter Ord.Pen., per cui il permesso premio doveva essere ritenuto ammissibile poiché comunque, anche senza la sussistenza di una collaborazione con la giustizia da parte del condannato, il detenuto aveva espiato più di dieci anni di pena con condotta sempre regolare pertanto il Tribunale di Sorveglianza aveva omesso di motivare sugli altri presupposti del permesso premio. Il P.G. conclude per l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché aspecifico. Va rilevato che l’ordinanza impugnata concerne l’istituto del permesso di necessità, previsto dall’art. 30 Ord. Pen., mentre il ricorso fa espresso riferimento ad un istituto del tutto differente nei presupposti e cioè il permesso-premio di cui all’art. 30 ter Ord. Pen Preliminarmente è doveroso osservare che non risponde al vero l’affermazione del ricorrente secondo il quale il Magistrato di Sorveglianza di Potenza avrebbe dichiarato inammissibile una richiesta di permesso-premio per mancata espiazione della parte di pena richiesta dalla normativa al contrario, nel presente procedimento risulta all’evidenza che il provvedimento in data 03.08.2016 del Magistrato di Sorveglianza di Potenza era reiettivo di una istanza di permesso di necessità. Di conseguenza, l’oggetto del procedimento è stato correttamente affrontato dal Tribunale di Sorveglianza, il quale, nel respingere il reclamo, ha fatto buon governo dei principi in materia il permesso previsto dall’art. 30 Ord.Pen. al secondo comma può essere concesso - per espressa disposizione normativa - soltanto eccezionalmente e per eventi familiari di particolare gravità detta disciplina è particolarmente ristretta, poiché possono prendersi in considerazione soltanto eventi , e cioè fatti storici ben specifici ed individuati, i quali siano di natura familiare e che assumano il carattere della particolare gravità. È chiaro che il termine di gravità sopra richiamato non si riferisce soltanto ad un evento luttuoso o drammatico, ma deve essere inteso come un qualsiasi avvenimento particolarmente significativo nella vita di una persona in ogni caso, però, la normativa sottolinea l’eccezionalità della concessione. L’interpretazione estensiva di questi presupposti non si prospetta più con il carattere di pressante strumento surrogatorio, poiché, con l’introduzione dei permessi premio, infatti, è stata data la possibilità di soddisfare esigenze apprezzabili sul piano dei rapporti sociali senza imporre di ricomprendere nel concetto di eventi familiari di particolare gravità anche situazioni che, a rigore, vi potrebbero essere ricondotte soltanto a prezzo di notevole sforzo interpretativo. A fronte di ciò, il ricorrente sostiene che - con evidente riferimento al tema diverso del permesso-premio - che il beneficio doveva essere concesso per avvenuta espiazione di dieci anni di pena inflitta, facendo riferimento ad una giurisprudenza di merito non accolta dall’orientamento consolidato di questa Corte. Infatti, nell’esame del rapporto fra l’art. 4 bis Ord.Pen. e l’art. 30 ter O.P., l’indagine ermeneutica deve prendere correttamente l’avvio dall’esame del testo dell’art. 4 bis, comma 1, O.P. che sancisce il divieto di concessione di taluni benefici previsti dall’ordinamento penitenziario ai condannati per determinati delitti, distinguendo due diversi gruppi di reati per i reati indicati nel primo gruppo il divieto cessa nella sola ipotesi in cui il condannato collabori con la giustizia a norma dell’art. 58 ter art. 4 bis, comma 1 , ovvero sia dimostrata la mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva e la collaborazione risulti non utile o siano applicate determinate circostanze attenuanti art. 4 bis, comma 1 bis , mentre per l’altro gruppo di reati è prevista la possibilità di concessione dei benefici solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva art. 4 bis, comma 1 ter . Premesso che l’art. 58 ter O.P. conferma il collegamento con l’art. 4 bis, comma 1, dal quale, difatti, è esplicitamente richiamato al fine di indicare la sola condizione che fa venire meno il divieto, va rilevato che l’art. 30 ter, comma 4, lett. c , ammette la concessione dei permessi nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nell’art. 4 bis, comma 1, 1 ter e 1 quater, dopo l’espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni . Nonostante il rinvio all’intero art. 4 bis, puntuali e convincenti ragioni logiche impongono di ritenere che la portata normativa della previsione dell’art. 30 ter, riguardi unicamente il secondo gruppo di reati, quelli, cioè, elencati dal comma 1 ter del citato articolo, chiaro essendo che il riferimento non può essere esteso al primo gruppo di reati per i quali il sistema normativo stabilisce l’alternativa costituita o dal divieto di concessione dei benefici, se manca la collaborazione con la giustizia, ovvero - nei casi, appunto, di collaborazione nei termini indicati dall’art. 58 ter dall’applicazione delle regole ordinarie, senza l’osservanza dei limiti di pena prescritti dall’art. 30 ter, comma 4 Sez. 1, 12.07.2006, n. 30434 . Tanto premesso, il ricorso si presente come aspecifico infatti, a fronte della motivazioni corrette dell’ordinanza impugnata, il ricorrente affronta un tema differente. Infatti, l’art. 581 cod.proc.pen. stabilisce che l’impugnazione si propone con atto scritto nel quale, tra l’altro, sono enunciati a i capi e i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione b le richieste c i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta ne consegue che un atto privo dei requisiti prescritti, che si limiti ad esprimere la volontà di impugnare senza indicare i capi o i punti cui intende riferirsi o senza enunciare i motivi di doglianza rispetto alla decisione censurata e anche in ciò consiste la specificità , non può costituire una valida forma d’impugnazione e, quindi, non può produrre gli effetti introduttivi del giudizio del grado successivo, cui si collega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione d’inammissibilità. Questa conclusione vale anche per il caso di carenza di specificità del motivo, cioè della mancanza dell’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la doglianza e, conseguentemente, la richiesta che sostanzia l’atto impugnatorio. Nella fattispecie, per come già detto, il ricorrente muove le sue doglianze in maniera eccentrica rispetto all’oggetto del procedimento e non specifica - in relazione alla particolare richiesta avanzata - quale punto od argomentazione sia da considerarsi violativo di legge in realtà, il ricorrente - lungi dall’affrontare il tema del permesso di necessità, che pure aveva richiesto - propone questioni che attengono al permesso premio, senza alcuna correlazione diretta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale non viene attaccata nel suo fondamento. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte cost. sentenza n. 186 del 2000 , al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla cassa delle ammende.