Meno di 24 ore per preparare l'interrogatorio sono sufficienti a non renderlo nullo

La previsione normativa che dispone sia dato tempestivamente avviso al difensore del soggetto sottoposto a misura cautelare della data dell'interrogatorio di garanzia non esclude che quest'ultimo si svolga dopo un intervallo di tempo inferiore alle 24 ore dall'inoltro dell'avviso.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 31962 depositata il 4 luglio 2017. Più veloce della luce. Un soggetto viene raggiunto da ordinanza custodiale per violenza sessuale su minori. La richiesta di riesame viene rigettata e contro la decisione del Tribunale della Libertà è proposto - erroneamente - appello. Apprendiamo, così, che in quella sede era stata sollevata dal difensore una eccezione riguardante la pretesa nullità dell'interrogatorio di garanzia. Questo si sarebbe celebrato a meno di 24 ore di distanza dalla ricezione dell'avviso inoltrato al difensore e per tale ragione, cioè per l'impossibilità di consultare gli atti a sostegno della cautela e, quindi, di predisporre una linea difensiva, l'indagato sarebbe stato costretto a non rispondere davanti al GIP. L'appello avverso l'ordinanza di riesame, ovviamente inammissibile perché non previsto dalla legge, viene convertito in ricorso per cassazione e, in questo modo, la doglianza sulla brevità del termine tra avviso e interrogatorio finisce all'attenzione dei Supremi Giudici. Illegittimità costituzionale o violazione di legge? La questione sulla mancanza di un termine dilatorio sufficientemente ampio per costruire la difesa previa consultazione degli atti di indagine vien fatta marciare su due binari il primo è quello della denunciata incostituzionalità della norma che non prevede un termine minimo tra avviso al difensore e data dell'interrogatorio. Il secondo binario è, invece, diretto a far dichiarare la nullità dell'ordinanza di riesame per violazione del diritto di difesa. Nessuno di questi due binari, però, è in grado di condurre la questione sollevata alla tanto agognata meta della vanificazione del provvedimento cautelare. Vediamo perché. La discrezionalità del legislatore è sacra. Gli Ermellini bocciano la questione di legittimità costituzionale senza appello con essa, scrivono, il ricorrente mirerebbe a suggerire l'introduzione di un termine dilatorio tra avviso e interrogatorio che potrebbe essere previsto soltanto dalla legge. La Consulta non potrebbe sostituirsi al legislatore ordinario e, di conseguenza, la questione prospettata è dichiarata inammissibile. Su questo punto siamo d'accordo soltanto a metà, visto che gli interventi manipolativi della Corte Costituzionale non sono rari nel panorama normativo italiano. È più interessante, invece, il passaggio in cui la questione sulla necessità dell'introduzione di un termine dilatorio viene dichiarata manifestamente infondata. Sotto questo profilo, infatti, i Giudici di Piazza Cavour ricordano che con alcune sentenze datate 2007, 2013 e 2014 si è già affermato il principio secondo cui la insufficienza del tempo offerto al difensore per consultare gli atti di indagine non genera alcuna nullità, potendo l'avvocato sempre chiedere un differimento del giorno in cui è fissato l'interrogatorio di garanzia. La tempestività dell'avviso è un concetto relativo. Messo da parte l'aspetto della legittimità costituzionale della norma in esame, la doglianza sollevata dalla difesa viene riguardata sotto il diverso profilo del possibile vizio di violazione di legge da cui potrebbe essere affetta l'ordinanza del Tribunale del Riesame. Come anticipato, nemmeno questo secondo tentativo difensivo va a buon fine sostengono i Supremi Giudici che la tempestività dell'avviso deve essere apprezzata in riferimento alla situazione concreta, tenendo presente una serie di fattori contingenti quali, ad esempio, l'identità geografica del luogo in cui si trovano difensore e indagato se è lo stesso si presume che la consultazione degli atti e la predisposizione della linea difensiva sia più agevole e che, di riflesso, un termine ristretto a poche ore sia sufficiente. Anche qui, comunque, va tenuto conto della possibilità per il difensore di chiedere un breve differimento dell'interrogatorio, purché si rispetti il termine di 5 o 10 giorni dall'applicazione della cautela intramuraria o domiciliare. Insomma, dalle parole degli Ermellini sembra di comprendere che, a fronte della mancata previsione di un termine dilatorio, debba essere il difensore a farsi parte diligente se crede di non farcela” dovrà giocoforza chiedere un rinvio del primo confronto tra indagato in custodia e giudice.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 ottobre 2016 – 4 luglio 2017, n. 31962 Presidente Amoroso – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 16 giugno 2016, rigettando la richiesta di riesame presentata da L.P.F. , ha confermato la ordinanza con la quale il precedente 25 maggio 2016 il Gip del Tribunale di Roma aveva applicato al predetto, indagato in relazione al reato di violenza sessuale aggravata in danno di minori, la misura cautelare della custodia in carcere. Il Tribunale ha, infatti, rilevato la esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, rivenienti dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dichiarazioni caratterizzate dall’essere precise, circostanziate, dettagliate e per tale motivo intrinsecamente attendibili, nonché la sussistenza delle esigenze cautelari, ravvisabile nella finalità di prevenire la eventualità, ritenuta attuale e concreta, di commissione di altri reati della medesima specie di quello contestato all’indagato concretezza ed attualità che il giudice del riesame cautelare desume, in accordo con il Gip, sia dalla presenza a carico del L. di diversi precedenti penali per condotte nella sostanza assolutamente analoghe a quelle per le quali egli è attualmente indagato, sia dal maniacale interesse dal medesimo manifestato per una sessualità compulsivamente alimentata, sia, infine, dalla adozione da parte del L. di sofisticate macchinazioni tese alla soddisfazione del suo impulso attraverso l’abuso della fiducia su di lui riposta dai minori vittime delle sua attenzioni. Riguardo alla idoneità della sola misura custodiate il Tribunale, osserva il Tribunale che lo stesso L. ha precisato che i fatti per cui è processo si sono verificati anche presso la sua abitazione, mentre in essa era presente anche la moglie del medesimo, che, pertanto, non appare in alcun modo idonea a costituire una remora alla perpetrazione delle condotte delittuose. Il Tribunale ha, anche, rigettato la eccezione riguardante la tempestività dell’interrogatorio di garanzia dell’indagato, che, secondo la difesa di questo, si sarebbe svolto in termini tanto brevi rispetto al momento della esecuzione della misura da non consentire la predisposizione di un’adeguata linea difensiva, osservando che l’art. 294 cod. proc. pen. prescrive che l’interrogatorio di colui che sia stato raggiunto da misura privativa della libertà debba essere svolto immediatamente e che, in ogni caso, il difensore dell’indagato deve essere avvisato almeno il giorno prima, condizioni queste che, essendosi verificate, rendevano legittimo sotto il profilo ora esaminato, il provvedimento del Gip. Avverso la predetta ordinanza ha interposto appello il difensore del L. di fronte al Tribunale di Roma. Tale atto, con provvedimento del 1 luglio 2016, è stato dichiarato inammissibile come gravame e, previa sua riqualificazione come ricorso per cassazione, è stato trasmesso a questa Corte. Tanto osservato rileva la Corte che il L. , tramite il proprio difensore, ha dedotto, con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, la illegittimità costituzionale dell’art. 294 cod. proc. pen., nella parte in cui secondo quanto è dato capire dalla non pienamente ordinata esposizione della censura contenuta nel ricorso ora in esame , prevedendo che l’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale debba essere svolto ove lo stesso non sia stato preceduto dalla convalida di altra misura precautelare, immediatamente dopo l’esecuzione della misura e comunque non oltre il termine di 5 giorni da tale operazione, comporterebbe, data tale sua prossimità temporale alla esecuzione della misura, la compressione di talune facoltà strumentali al corretto esercizio del diritto di difesa. In particolare la difesa dell’indagato ha lamentato il fatto che fra l’avviso da essa ricevuto e l’espletamento dell’incombente sia decorso un termine così breve da avere impedito alla predetta difesa sia di avere un diretto accesso al fascicolo processuale sia per potere avere un colloquio con il ricorrente sottoposto a misura invero, prosegue il difensore del ricorrente, egli ha ricevuto tramite telefax solo in data 27 maggio 2015, alle ore 12.55, la convocazione per l’interrogatorio di garanzia del suo assistito, programmato per il giorno successivo alle ore 9.30 presso il carcere giudiziario ove lo stesso era stato ristretto. La brevità di tale lasso di tempo ha comportato, ad avviso del ricorrente, l’annientamento del diritto di difesa a lui spettante, sicché la obbedienza incondizionata dimostrata dagli organi giudicanti all’avverbio immediatamente contenuto nell’art. 294 cod. proc. pen., è avvenuta in lesione dell’art. 24 della Costituzione. Ha, infine, aggiunto il ricorrente che al suo caso doveva essere comunque applicato il comma 1-bis dell’art. 294 cod. proc. pen, il quale prevede che, ove l’interrogatorio riguardi un soggetto gi sottoposto ad altra misura cautelare, il predetto incombente deve avvenire entro il più dilatato termine di 10 giorni dalla esecuzione della seconda misura. In via subordinata alla eccezione di legittimità costituzionale del citato art. 294, comma 1, cod. proc. pen., il ricorrente ha dedotto, sotto il profilo della violazione di legge, con riferimento all’art. 364 cod. proc. pen. nonché agli artt. 24 e 111 della Costituzione, la nullità della ordinanza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto violativo del diritto di difesa il termine inferiore alle 24 ore con il quale il difensore dell’indagato è stato avvisato dell’imminente svolgimento dell’interrogatorio di garanzia ciò tanto più in quanto essendo il L. già ristretto in esecuzione di un precedente titolo custodiale erano venute meno le ragioni di urgenza imposte dall’art. 294 cod. proc. pen. per l’adempimento del predetto incombente. Per effetto di questa restrizione dei tempi, il ricorrente è stato necessitato ad avvalersi forzatamente di diritto di non rispondere non essendo stato posto nella possibilità di organizzare una valida linea difensiva. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Deve preliminarmente osservarsi che sebbene l’atto introduttivo del ricorso peraltro formalmente, e singolarmente, qualificato come atto di appello avverso la ordinanza del Tribunale dei riesame, rechi la firma di un difensore non abilitato al patrocinio di fronte alle giurisdizioni superiori, nondimeno la circostanza che la relativa procura sia firmata dalla parte personalmente, rende, sotto questo profilo formale, ammissibile il ricorso. Prendendo, a questo punto, le mosse dalla eccepita questione di legittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1, cod. proc. pen. - dedotta in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione - nella parte in cui esso prevede che, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che abbia disposto l’applicazione della misura cautelare personale della custodia in carcere, ove non lo abbia fatto in sede di convalida dell’arresto e del fermo dell’indiziato, deve procedere all’interrogatorio della persona ristretta immediatamente e comunque, in assenza di ragioni assolutamente impeditive dovendosi intendere per tali solo quelle che non consentano al soggetto interessato di partecipare attivamente alla operazione in questione, quali potrebbero essere quelle legate ad impedimenti connessi a ragioni sanitarie , non oltre il termine di 5 giorni dalla esecuzione del provvedimento medesimo, osserva la Corte che la eccezione è riferita ad una questione che, prima ancora che manifestamente infondata è, in ogni caso inammissibile. Invero il ricorrente evidenzia una situazione di pretesa violazione del diritto di difesa e delle regole del giusto processo, ridondante, a quanto è dato capire, anche sul rispetto del principio di ragionevolezza, nella parte in cui la disposizione indubbiata, cioè l’art. 294, comma 1, cod. proc. pen., prevedendo che l’espletamento del cosiddetto interrogatorio di garanzia del soggetto sottoposto alla misura cautelare custodiale, sia essa intramuraria che domiciliare, debba avvenire immediatamente , e comunque entro il termine di 5 giorni dalla esecuzione della misura 10 in caso di custodia domiciliare , in quanto la applicazione letterale dell’avverbio di tempo immediatamente , non consentendo la interposizione di alcun apprezzabile lasso di tempo fra l’esecuzione della misura cautelare e l’espletamento del predetto incombente, non consentirebbe al prevenuto l’esercizio effettivo del diritto di difesa, impedendogli, brevitate temporis, sia l’apprestamento di una idonea linea difensiva sia la stessa acquisibilità della documentazione in base alla quale la misura è stata dapprima richiesta e, quindi, disposta. Di fatto il ricorrente postula, onde ovviare ai prospettati dubbi di costituzionalità, la necessità di introdurre nella disposizione in questione un termine dilatorio che dovrebbe necessariamente intercorrere fra la esecuzione della misura e la presa di contatto fra il soggetto attinto dalla misura stessa ed il giudice della cautela. Per come è proposta la questione è evidentemente inammissibile essa, infatti, presuppone la introduzione, ad opera del giudice delle leggi di una disposizione che, scandendo i tempi del subprocedimento de libertate, introduca una sorte di zona franca nell’ambito della quale consentire all’indagato, attraverso la acquisizione della documentazione posta a base della misura ovvero tramite consultazioni con il proprio difensore tecnico, l’esercizio del diritto di difesa. Una tale scelta, però - in assenza di un vincolo temporale minimo cui potere eventualmente ancorare la durata costituzionalmente necessitata di detto lasso di tempo - comporterebbe il compimento di opzioni rientranti nella discrezionalità legislativa della politica giudiziaria e di regolamentazione del processo, esulando rispetto ai poteri del giudice delle leggi è, infatti, esclusiva competenza del legislatore l’esercizio di un tale potere di modulazione dello strumento giudiziario. Per le ragioni esposte la eccezione di costituzionalità avrebbe ad oggetto una questione inammissibile e, pertanto, la stessa non può essere certamente sollevata da questa Corte. Né potrebbe sostenersi che la disposizione possa essere ricondotta a costituzionalità, conformemente ai desiderata del ricorrente, attraverso la semplice soppressione dell’avverbio immediatamente , intervento meramente ablatorio questo che in linea astratta rientrerebbe nei poteri della Corte costituzionale. Anche così mutilato, infatti, l’art. 294 cod. proc. pen. conterrebbe esclusivamente la previsione di un termine massimo entro il quale l’interrogatorio di garanzia dovrebbe essere svolto, di regola cinque giorni dalla esecuzione della misura cautelare intramuraria, ma non un termine dilatorio minimo fra tale ultime operazione e l’espletamento dell’interrogatorio. La questione, d’altra parte, parrebbe, in ogni caso, manifestamente infondata. Come infatti questa Corte ha in più occasioni ribadito - premesso che l’interrogatorio di garanzia è da considerare strumento effettivamente finalizzato all’esercizio del diritto di difesa in quanto, costituendo abitualmente il primo contatto fra il soggetto indagato ed il giudice, il suo scopo è quello di permettere a chi sia stato attinto dalla misura cautelare di rappresentare in tempi solleciti le proprie ragioni onde consentire al giudice che abbia emesso la misura di verificare se permangono le condizioni di applicabilità della medesima e le esigenze cautelari ad essa originariamente sottese, in tal modo realizzandosi un primo controllo cui potranno seguirne altri in sede di riesame ovvero in sede di richiesta di modifica della misura ed ancora in sede di appello cautelare , nel contraddittorio delle parti, sulla legittimità e necessarietà della adozione della misura in questione, e considerato anche che è a tal fine che l’art. 293, comma 3, cod. proc. pen., impone alla autorità che abbia emesso la misura di depositare la relativa ordinanza nonché la richiesta formulata dal Pm e gli atti presentati unitamente a quest’ultima, onde gli stessi siano a disposizione della parte destinataria della misura in questione prima dell’espletamento dell’interrogatorio di garanzia omissione sanzionata con la nullità di ordine generale a regime intermedio delle relative conseguenti operazioni e, pertanto, con la possibile sopravvenuta inefficacia della misura se le stesse non sono legittimante eseguite entro il ricordato termine di 5 giorni dalla esecuzione della misura de qua così Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 11 ottobre 2010, n. 36212 idem Sezioni unite penali, 20 luglio 2005, n. 26798 - non dà, tuttavia, luogo alla nullità dell’interrogatorio di garanzia la pretesa insufficienza del tempo concesso alla difesa per la consultazione degli atti previamente depositati dal Gip a norma del citato art. 293, comma 3, cod. proc. pen., insufficienza derivante dalla loro complessità e vastità. Ciò in quanto, come ha precisato questa Corte, in una fattispecie del genere descritto è facoltà - ma è al contempo anche onere - della difesa del soggetto attinto dalla misura chiedere il differimento dello svolgimento di detta operazione al fine di consentirle un’adeguata conoscenza degli atti di causa pur tempestivamente posti a sua disposizione cfr. Corte di cassazione, Sezione II penale, 28 ottobre 2014, n. 44902 idem Sezione I penale, 26 giugno 2013, n. 27833 idem Sezione I penale, 27 luglio 2007, n. 30733 . A tale proposito giova precisare che, sebbene la prevalente giurisprudenza sia nel senso che un tale differimento non possa in ogni caso comportare il superamento del termine di 5 giorni fissato dall’art. 294, comma 1, cod. proc. pen. in caso di misura intramuraria, e di 10 giorni dal successivo comma 1-bis della medesima disposizione in caso di altra misura cautelare personale in tal senso si vedano le medesime decisioni da ultimo richiamate , una tale rigida preclusione temporale apparirebbe meritevole di rivalutazione, ove si consideri che, essendo il predetto termine posto nell’esclusivo interesse del ricorrente, laddove questi, esercitando una sua legittima facoltà, formuli una richiesta che sia in contrasto con la finalità eminentemente acceleratoria del termine in questione e tale da comportare un rallentamento dei fisiologici tempi di espletamento della procedura, un siffatto comportamento non può che ridondare, con riferimento alla scadenza del predetto termine pacificamente di regola perentorio , comportando un differimento di essa sino al perfezionamento della fase subprocedimentale impetrata dal soggetto nel cui interesse il termine è stato previsto dal legislatore per una fattispecie analoga, in tema di richiesta di differimento della udienza di fronte al Tribunale del riesame oltre la scadenza prevista dall’art. 309, comma 1, cod. proc. pen., cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 dicembre 2015, n. 50043 . Ad ogni modo la possibilità che ha la difesa dell’indagato di ovviare al preteso deficit costituzionale denunziato dal ricorrente attraverso gli ordinari strumenti che la abituale interpretazione giuridica mette a disposizione delle parti, evidenzia, ove non ne fosse di già emersa la inammissibilità per altra via, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1, cod. proc. pen. come sollecitata da parte ricorrente. Riguardo al secondo motivo di censura - afferente alla pretesa violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale del riesame nel non rilevare il mancato rispetto del termine di almeno 24 ore, previsto dall’art. 364, comma 3, cod. proc. pen., fra la notificazione a mezzo fax dell’avviso di fissazione dell’interrogatorio di garanzia, adempimento nel caso in esame eseguito alle ore 12,55 del giorno 27 maggio 2015 e l’espletamento di tale incombente, intervenuto il giorno successivo a decorrere dalle ore 9,30 - rileva il Collegio la mancanza assoluta di pregio del medesimo. Va in primo luogo rilevata la incongruità del termine normativo di riferimento segnalato dal ricorrente l’art. 364, comma 3, cod. proc. pen., infatti, nel prevedere che al difensore di ufficio o di fiducia dell’indagato che abbia diritto a partecipare agli atti di indagine debba essere dato avviso del loro svolgimento con almeno 24 ore di anticipo sul compimento dell’atto, è disposizione che espressamente concerne i soli atti di indagine condotti dal Pm ed elencati nel comma 1 del medesimo articolo del codice di rito cui vanno aggiunte le sole ispezioni cui non deve partecipare l’indagato. Né può ritenersi che la disposizione sia suscettibile di essere interpretata analogicamente per ciò che attiene alla fattispecie di cui all’art. 294, comma 1, cod. proc. pen., posto che, essendo la interpretazione analogica uno strumento ermeneutico volto a consentire di colmare le eventuali lacune dell’ordinamento giuridico, essa non ha ragione di essere sperimentata ove una siffatta lacuna non sia ravvisabile. E, per ciò che attiene all’interrogatorio di garanzia, l’art. 294, comma 4, cod. proc. pen. prevede che al Pm ed al difensore del soggetto sottoposto alla misura debba essere dato tempestivo avviso della fissazione dell’incombente. La presenza di una disposizione specifica, la quale fissa, sia pure in termini cronologicamente non tassativamente determinati, i tempi della procedura, esclude la applicazione analogica dell’art. 364 cod. proc. pen È, tuttavia, il caso, per completezza, di verificare se, al di là della più o meno corretta indicazione normativa fornita dal ricorrente, la ordinanza del Tribunale di Roma, nel non avere rilevato la intempestività della convocazione del difensore del L. , abbia fatto buono o cattivo governo della disposizione legislativa che impone il preventivo e tempestivo avviso a difensore dello svolgimento dell’interrogatorio di garanzia. Sul punto questa Corte ha sottolineato che il contenuto dell’aggettivo utilizzato dal legislatore a corredo dell’espressione avviso , cioè tempestivo , stante la già segnalata carenza del carattere della tassatività, deve essere riempito di significato in ragione della peculiare situazione di fronte alla quale ci si trova è stato, infatti, rilevato che il concetto di tempestività va rapportato alla esistenza della concreta possibilità per il difensore di essere fisicamente presente al compimento dell’atto e di svolgere un’adeguata assistenza difensiva. Ne consegue che, a tal fine, non solo devono essere considerati fattori eterogenei - quali la distanza che separa lo stesso difensore dal luogo in cui l’interrogatorio si svolga e la rapidità dei mezzi di comunicazione e di locomozione fra tali luoghi - ma anche i tempi necessari all’esame degli atti processuali, ancorché già depositati in precedenza Corte di cassazione, Sezione V penale, 20 gennaio 2014, n. 2253 . Appare significativo rilevare come, a tale proposito, questa Corte abbia ritenuto soddisfatto il requisito della tempestività nel caso di avviso fatto recapitare al difensore del soggetto raggiunto dalla misura cautelare, sebbene fra detto adempimento e l’interrogatorio dovessero intercorrere solamente due ore, avendo la Corte considerato che la identità geografica fra la sede del difensore ed il luogo ove l’interrogatorio doveva svolgersi avrebbe permesso a questo di raggiungere detto luogo ed ivi consultare gli atti rilevanti Corte di cassazione, Sezione I penale, 14 novembre 2001, n. 40523 . Significativamente questa Corte ha, in altra occasione, rilevato che il concetto di tempestività può essere ricavato anche in funzione della possibilità in concreto offerta al difensore dell’indagato di chiedere il differimento dell’interrogatorio, nel senso che, ove il preavviso, sebbene in sé intempestivo, avesse comunque lasciato aperto l’adito ad una richiesta di rinvio, sarebbe stato onere del difensore del ricorrente, prima di contestare la tempestività di quello, sperimentare la possibilità di ottenere un congruo differimento dello svolgimento dell’incombente Corte di cassazione, Sezione VI penale, 29 aprile 1998, n. 1233 . Nel caso in esame è emerso dalle stesse dichiarazioni del difensore del ricorrente che fra la notificazione della convocazione per l’interrogatorio di garanzia e lo svolgimento di quest’ultimo è intercorso un lasso di tempo pari a circa 20 ore. Considerato il fatto che il difensore dell’indagato ha lo studio nella stessa città ove si è tenuto l’interrogatorio e tenuto conto che questi non ha motivatamente dedotto la esistenza di una mole di atti di indagine che non gli avrebbero consentito di svolgere adeguatamente il mandato difensivo e tenuto, infine, conto della circostanza che comunque, pur avendone le possibilità il difensore del L. non ha chiesto il differimento dell’interrogatorio del suo cliente, il lasso di tempo dianzi indicato appare ampiamente congruo ad integrare il requisito della tempestività della comunicazione fatta al difensore dell’indagato. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. Copia del presente provvedimento va trasmessa, per gli incombenti di competenza, al Direttore dell’Istituto ove attualmente il L. risulta ristretto ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. Dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen