Affidamento allargato e sospensione della pena fino a 4 anni: interpretazione costituzionalmente orientata

La norma di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p., va letta in combinato con la disposizione di cui all’art. 47, comma 3-bis dell’ordinamento penitenziario introdotta dall’art. 3, comma 8, lettera c, D.L. n. 146/2013 c.d. svuota carceri, convertito nella legge n. 10 del 2014 che prevede la possibilità di concedere l’affidamento in prova ai servizi sociali al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a 4 anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione pena, in esecuzione di misura cautelare ovvero in libertà un comportamento tale da consentire il giudizio di idoneità dell’affidamento in prova.

La norma, dunque, prevede espressamente che il relativo beneficio possa essere concesso anche al condannato che si trova in libertà. Alla luce del suindicato principio, il Tribunale di Milano ordinanza 21 marzo 2017 ha dichiarato temporaneamente inefficace l’ordine di esecuzione emesso dalla Procura milanese nei confronti di una donna, condannata in via definitiva per estorsione e usura, per una pena residua da espiare di 3 anni e 9 mesi, sostanzialmente rigettando la preventiva richiesta difensiva sospendere il predetto ordine esecutivo. L’incidente di esecuzione. La difesa proponeva incidente di esecuzione lamentando che l’ordine di esecuzione pena detentiva da espiare – ricompresa tra i 3 e i 4 anni – andava sospeso, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 656, comma 5, c.p.p. con l’ipotesi di affidamento allargato prevista dal d.l. n. 146/2013 sullo svuota carceri conv. in l. n. 10/2014 che prevede la possibilità di concedere l’affidamento in prova ai servizi sociali al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a 4 anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione pena, in esecuzione di misura cautelare ovvero in libertà un comportamento tale da consentire il giudizio di ritenere la misura dell’affidamento in prova, attraverso le sue prescrizioni, idonea a contribuire la rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Il disallineamento sistematico. Era, quindi, evidente il disallineamento sistematico tra il meccanismo di sospensione dell’ordine di esecuzione e la nuova ipotesi di affidamento in prova c.d. allargato” introdotta con il d.l. n. 146/2013 attraverso l’inserimento nel corpo dell’art. 47, comma 3- bis , ord. penit A fronte dell’introduzione di una ipotesi di affidamento in prova anche per pene sino a 4 anni, non è stata infatti modificata la norma che disciplina la sospensione dell’esecuzione di pene suscettibili di essere scontate in misura alternativa, nonostante un espresso invito in questo senso fosse giunto da parte del CSM nel parere reso sulla nuova normativa, in conformità con la segnalazione della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza. Non si è proceduto semplicemente a modificare il tetto della pena massima eseguibile in affidamento, ma si è creata una figura a sé stante, diversa certamente per il più lungo periodo di osservazione un anno, in detenzione, misura cautelare o in libertà . Interpretazione sistematica” della Suprema Corte. In alcune pronunce di Cassazione si è ritenuto che la distonia che si registra fra il limite per l'ottenimento dell'affidamento in prova anche da libero, elevato a quattro anni ex art. 47, comma 3- bis , ord. penit., e quello di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p., riguardante la sospensione dell'esecuzione e rimasto fermo a 3 anni di reclusione, vada risolta necessariamente nel senso che il limite di 3 anni non possa mai pregiudicare il diritto riconosciuto dall’art. 47, comma 3- bis , ord. penit. anche al soggetto libero, se non nelle eccezioni apprezzabili secondo criteri rigorosamente tassativi e secondo il relativo dato letterale, non suscettibile di analogia in malam partem . Altrimenti opinando, si perverrebbe inevitabilmente ad una interpretazione abrogante del disposto dell'art. 47, comma 3- bis , ord. pen., nella parte in cui consente la concessione del beneficio dell'affidamento in prova anche al soggetto che sia stato condannato ad una pena superiore a 3 anni, ma contenuta nei 4 anni, che si trovi in stato di libertà. Così è anche a non voler ritenere che la mancata contestuale elevazione a 4 anni del limite normativamente prefissato nell’art. 656 c.p.p., comma 5, si risolva in una mera svista del legislatore, ovvero che detto limite debba considerarsi implicitamente abrogato Cass. sez. I, n. 51864/16 . Lettura costituzionalmente orientata. Aderendo a tale indirizzo di legittimità, il Giudice dell’esecuzione milanese ritiene che il richiamo dell’art. 656, comma 5, secondo periodo, c.p.p., all’art. 47 ord. penit. nella sua interezza, consente, infatti, di interpretare la prima norma avvalendosi del criterio sistematico e di quello evolutivo, pur in mancanza del dato formale di una sua esplicita modifica che, tenendo conto del recente inserimento dell’art. 47, comma 3- bis , ord. penit. introduca il richiamo specifico dell’ipotesi prevista da tale nuovo comma nel testo letterale della disposizione del codice di rito così, Cass. sez. I, n. 37848/16 . Ciò in quanto l’istituto dell’affidamento allargato è chiaramente ispirato alla ratio di impedire l’ingresso in carcere ai condannati in grado di ottenere la misura alternativa alla detenzione ed ha in comune con la sospensione automatica dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione a che entrambi si fondano sulla presunzione di ridotta pericolosità del condannato b mirano al duplice obiettivo della deflazione carceraria e della funzione rieducativa della pena. Nel caso concreto, al PM era inibita la possibilità di disporre la carcerazione del condannato, poiché costui, da libero, poteva ottenere il beneficio dell'affidamento in prova al servizio sociale, in quanto la pena espianda era contenuta entro anni 4 di reclusione. Ai sensi dell’art. 47, comma 3-bis ord. penit., il superamento del limite dei tre anni di reclusione non può valere a inibire la sospensione, e il PM non ha alcune potere discrezionale che equivarrebbe ad una valutazione anticipato sul merito del comportamento del condannato. Altra strada percorsa sollevata questione di legittimità costituzionale. Nell’auspicio che questa interpretazione costituzionalmente conforme possa continuare a seguirsi dagli uffici esecuzioni delle Procure, preme ricordare che pur partendo dalle stesse considerazioni, il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 13 marzo 2017 ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, c.p.p., per violazione degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., nella parte in cui non consente che l’ordine di esecuzione debba essere sospeso anche nei casi di pena non superiore a 4 anni di detenzione. Ed invero, il differente regime tra chi risulti condannato a pena infratriennale, e dunque ammesso all’affidamento in prova, e chi risulti condannato a pena infraquadriennale, ammesso all’affidamento in prova allargato, appare conseguente ad un disallineamento sistematico – non colmato in sede di conversione del d.l. n. 146/2013 con l. n. 10/2014 mediante modifica dell’art. 656, comma 5 c.p.p. – idoneo a determinare una ingiustificata disparità di trattamento tra la prima categoria di soggetti, beneficiari della citata sospensione automatica, e la seconda categoria di soggetti, i quali, benché parimenti ammessi alla fruizione delle misure alternative alla detenzione, risultano irragionevolmente esclusi dal regime più favorevole dettato dall’art. 656, comma 5, c.p.p Per il Giudice dell’esecuzione salentino poiché l’elemento condizionante il meccanismo sospensivo dell’ordine di esecuzione risulta fondato su un limite numerico, esso, per sua intrinseca natura, appare insuscettibile di modifiche in via interpretativa, e dunque ostativo ad una interpretazione adeguatrice del dettato normativo in scrutinio ai principi costituzionali. E neppure la disapplicazione diretta della disposizione reputata illegittima consentirebbe di pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata della norma, salvo a volerla ricongiungere ad una inammissibile interpretazione additiva.

Tribunale di Milano, sez. XI Penale, ordinanza 16 marzo 2017, n. 179 Giudice Gurgo Di Castelmenardo Osserva Preliminarmente, deve rilevarsi, in linea di diritto, che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte cfr., da ultimo, Cass., 13 ottobre 2009, n. 41592, P.M. in proc. De. Ru. l'ordine di esecuzione, emesso dal Pubblico Ministero senza il contestuale provvedimento di sospensione per pene detentive brevi, non può essere annullato dal giudice dell'esecuzione ma esclusivamente dichiarato temporaneamente inefficace, per consentire al condannato di presentare, nel termine di trenta giorni, la richiesta di concessione di una misura alternativa alla detenzione . Dunque, ove, come nel caso di specie, il P.M. non adotti un decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione - come invece dovuto ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p., al fine di consentire al condannato di formulare nel termine di 30 giorni richiesta di misure alternative - non essendo prevista la facoltà di proporre al P.M. istanza di annullamento o revoca dell'ordine di carcerazione, deve però essere consentito al condannato di rivolgere al giudice dell'esecuzione una istanza di declaratoria di inefficacia temporanea del provvedimento che dispone la carcerazione, e ciò in applicazione analogica dell'art. 670 c.p.p. cfr. Cass., sez. I, sent. n. 2430 del 23.3.1999, dep. il 17.6.1999, Ko. . Detti principi, in caso di accoglimento, dovranno essere applicati anche nel caso di specie, ove appunto si discute della validità dell'ordine di esecuzione per la carcerazione. Ciò precisato, e venendo al merito delle doglianze, l'istante sostiene che il detto ordine di esecuzione per la carcerazione doveva essere sospeso ai sensi del comma 5 dell'art. 656 c.p.p. in considerazione dell'istanza proposta al P.M. in data 22.12.2016. dalla medesima difesa, volta a far ottenere alla propria assistita in relazione alla pena di cui alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 14.5.2014, pena come rideterminata con sentenza della Corte di Cassazione in data 17.11.2016, per i reati p. e p. dagli artt. 644 e 629 c.p. la misura alternativa alla detenzione in carcere di cui all'art. 47, comma 3 bis, L. 354/1975 Ordinamento Penitenziario . Risulta in atti che il P.M., in relazione alla condanna di cui sopra, non dando seguito alla richiesta depositata dalla difesa in data 22.12.2016, sostanzialmente rigettata dal P.M. in data 25.1.2017 , in data 26.1.2017 ha emesso ordine di esecuzione della pena residua da espiare, determinata - in virtù del presofferto - nella misura di anni 3 mesi 9 giorni 4 di reclusione oltre pena pecuniaria . Ritiene questo decidente che la doglianza difensiva sia fondata. Ed invero, nel momento in cui il P.M. ha emesso in data 26.1.2017 l'ordine di esecuzione per la carcerazione la pena detentiva da espiare risultava superiore ad anni 3 ma inferiore ad anni 4. La condannata avrebbe dovuto dunque ottenere la sospensione dell'ordine di carcerazione, ai sensi del comma 5 dell'art. 656 c.p.p. da leggersi - alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata - in combinato disposto con il comma 3 bis dell'art. 47 O.P Tale lettura, peraltro, è avvalorata dalla giurisprudenza di legittimità cfr. principio espresso nella sentenza, emessa dalla prima sezione penale, n. 37848 del 4.3.2016 dep. il 12.9.2016, ribadito dalla Suprema Corte, sez. prima, con la sentenza n. 51864 del 31.5.2016, dep. il 5.12.2016 . Ed infatti, l'attuale formulazione dell'art. 656, comma 5, c.p.p., prescrive che, nei casi ivi rispettivamente indicati, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena - non superiore ad anni tre, al fine di consentire al condannato l'accesso alla misura alternativa dell'affidamento ai S.S. di cui all'art. 47 O.P. - non superiore ad anni quattro ancorché superiore a tre anni , al fine di consentire al condannato di usufruire della detenzione domiciliare cd. umanitaria di cui all'art. 47 ter, comma 1, O.P. - non superiore ad anni sei ancorché superiore ad anni tre al fine di fruire della sospensione e dell'affidamento in prova cd. terapeutico, di cui agli artt. 90 e 94 D.P.R. 309/1990. Ad avviso di questo decidente, la norma di cui all'art. 656, comma 5, c.p.p., va letta in combinato con la disposizione di cui all'art. 47, co. 3 bis introdotta dall'art. 3, comma 8, lett. c, D.L. n. 146/2013 cd. svuota-carceri , O.P. che prevede la possibilità di concedere l'affidamento in prova ai servizi sociali al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell 'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di misura cautelare ovvero in libertà un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2 ovvero, di ritenere che la misura dell'affidamento in prova ai SS.SS., anche attraverso le sue prescrizioni, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati . La norma dunque prevede espressamente che il relativo beneficio possa essere concesso anche al condannato che si trova in libertà. Ebbene, nel caso di specie, alla luce dei dati emergenti in atti al momento della dell'adozione da parte del P.M. dell'ordine di esecuzione per la carcerazione, la condannata si trovava nelle condizioni di legge stato di libertà, limite di pena e comportamento tenuto in libertà nell'anno precedente alla presentazione della richiesta di affidamento in prova ai sensi dell'art. 47, comma 3 bis, O.P. in virtù delle quali, astrattamente fatta salva la valutazione di competenza della magistratura di sorveglianza , avrebbe potuto/potrebbe accedere alla misura alternativa del cd. affidamento in prova allargato . Tale lettura dell'art. 656, comma 5, c.p.p. è possibile avvalendosi del criterio sistematico e di quello evolutivo pur in mancanza del dato formale di una sua esplicita modifica che, tenendo conto del recente inserimento dell'art. 47 ord. pen., comma 3-bis, introduca il richiamo specifico dell'ipotesi prevista da tale nuovo comma nel testo letterale della disposizione del codice di rito cfr. già citate sentenze della S.C. n. 51864/2016 e n. 37848/2016 d'altra parte, una siffatta interpretazione della normativa in esame risponde ad una lettura costituzionalmente orientata. Ed infatti, l'istituto del cd. affidamento in prova allargato è chiaramente ispirato alla ratio di impedire l'ingresso in carcere ai condannati in grado di ottenere l'ammissione alla detta misura alternativa alla detenzione in carcere. Allo stesso modo, il meccanismo di cui all'art. 656, comma 5, c.p.p., è strutturalmente e funzionalmente collegato all'accesso del condannato alla misura alternativa dell'affidamento in prova ordinario art. 47 O.P. o terapeutico art. 94 D.P.R. 309/1990 ovvero della detenzione domiciliare cd. umanitaria art. 47 ter, comma 1, O.P. . Gli istituti in esame la sospensione automatica dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione le misure alternative alla detenzione carceraria - si fondano sulla presunzione di una ridotta pericolosità del condannato - mirano al duplice obiettivo della deflazione carceraria e della funzione rieducativa e special-preventiva della pena. Una diversa rispetto a quella condotta avvalendosi del citato criterio sistematico ed evolutivo interpretazione della normativa in esame basata sul disallineamento sistematico - non colmato in sede di conversione del D.L. n. 146/2013 con Legge n. 10/2014, mediante modifica dell'art. 656, comma 5, c.p.p. determinerebbe invero una ingiustificata disparità di trattamento, incidente sui principi costituzionali art. 3 e 27, comma 3, della Cost. , tra chi risulti condannato a pena infratriennale e dunque ammesso all'affidamento in prova ex art. 47, commi 1, 2, 3, O.P. e chi risulti condannato a pena infraquadriennale e dunque ammesso all'affidamento in prova ex art. 47, comma 3 bis, O.P. . Ed infatti, le condizioni soggettive utili all'accesso alla misura dell'affidamento in prova ai S.S., ordinario o allargato , sono del tutto simmetriche posto che in entrambi i casi la concreta ammissione alla misura alternativa è oggetto di valutazione e pronuncia della competente magistratura di sorveglianza, e la concreta ammissione alla misura alternativa è subordinata ad un periodo di osservazione del reo. Né può sostenersi che il P.M., in casi quali quello in esame, non può sospendere l'ordine di esecuzione per la carcerazione perché diversamente operando dovrebbe impropriamente anticipare una valutazione discrezionale che a lui non compete sul merito del comportamento del condannato. Contrariamente al parere scritto del 20.2.2017 espresso dal P.M. in relazione al presente incidente di esecuzione, nell'ipotesi di cd. affidamento in prova allargato il P.M. non dovrebbe esercitare alcun potere discrezionale. Ritiene questo G.E. che, invero, il P.M. non è chiamato ad esercitare alcun potere - dovere diverso da quello a lui attribuito per le altre ipotesi già contemplate dall'art. 656, comma 5, c.p.p Infatti, nel momento in cui deve adottare i provvedimenti di cui all'art. 656 c.p.p., alcuna valutazione ulteriore il P.M. è chiamato ad operare rispetto a quelli che sono dei dati formali emergenti in atti dal fascicolo dell'esecuzione . Più in particolare, nel caso di cui al cd. affidamento in prova allargato , il P.M. terrà conto di dati formali calcolo aritmetico della pena residua, assenza di pendenze, assenza di condanne per reati commessi nell'anno antecedente alla presentazione dell'istanza, ecc Ciò analogamente a quanto il P.M. è chiamato, per esempio, a fare rispetto alla sospensione dell'ordine di esecuzione in relazione alle condizioni di cui agli artt. 90 e 94 D.P.R. 309/1990 e dunque, rispettivamente, per condannati per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza ovvero per condanne nei confronti di persona tossicodipendente o alcool dipendente anche in questo caso il P.M. non è chiamato ad alcuna valutazione discrezionale, e baserà la sua decisione su quelli che sono gli elementi emergenti in atti, salvo sempre il successivo dovuto intervento della competente magistratura di sorveglianza. Infine, diversamente opinando, apparirebbe assolutamente illogico un percorso deflattivo della popolazione carceraria unicamente in uscita e non anche in entrata d'altra parte, il dato testuale della norma di cui al comma 3 bis dell'art. 47 O.P. permette di tener conto del comportamento tenuto nell'anno precedente dal condannato, non solo in espiazione di pena o in esecuzione di misura cautelare, ma anche ai libertà . Al P.M. - e dopo di lui al giudice dell'esecuzione investito della questione nel caso di mancata sospensione dell'ordine di esecuzione - non è rimesso alcun giudizio di merito se il condannato meriti o meno la misura dell'affidamento in prova cd. allargato di cui all'art 47, comma 3 bis, O.P., giudizio che tale norma rimette esclusivamente alla magistratura di sorveglianza. E' del tutto evidente che, in tal modo il P.M. o al suo posto il giudice dell'esecuzione finiranno per sospendere l'esecuzione della condanna in carcere anche in casi in cui, successivamente, il Tribunale di sorveglianza potrà ritenere il condannato non meritevole di tale beneficio ma tali evenienze sono diretta conseguenza o, se si preferisce, il prezzo della scelta del legislatore di ridurre gli automatismi nel flusso di detenuti 'in ingresso' negli istituti penitenziari in tutti quei casi in cui la Magistratura di sorveglianza potrebbe lei si, con un giudizio discrezionale e di merito , in tempi relativamente ristretti, applicare - come, di fatto, spesso avviene - una misura alternativa alla detenzione in carcere. Da quanto sopra esposto consegue l'accoglimento dell'incidente di esecuzione proposto, con dichiarazione di temporanea inefficacia dell'ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dal P.M. in data 26.1.2017. P.Q.M. Visti gli artt. 665 e ss. c.p.p. in accoglimento dell'incidente di esecuzione proposto dalla difesa nell'interesse della condannata Dichiara la temporanea inefficacia dell'ordine di esecuzione per la carcerazione n. 5899/2016 SIEP emesso dal P.M. in data 26.1.2017 nei confronti di ER. GU. Ch., in relazione alla pena, come rideterminata dalla S.C. con sentenza del 17.11.2016, di cui alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 14.5.2014 irr. il 17.11.2016 e conseguentemente Dispone la trasmissione, della presente ordinanza, senza ritardo al Tribunale di Sorveglianza in sede, perché provveda alla eventuale applicazione della misura alternativa di cui all'art. 47, comma 3 bis, O.P., come da richiesta depositata dalla difesa presso la competente Procura della Repubblica in data 22.12.2016 Manda alla Cancelleria per quanto di competenza e per le comunicazioni di rito, in particolare la notificazione del presente provvedimento - alla condannata, allo stato con posizione giuridica di libera ed elettivamente domiciliata presso il difensore di fiducia - al difensore di fiducia, avv. Ce. Co. Ga. del Foro di Milano - al P.M. in sede - Ufficio Esecuzione.