Restrizione preventiva della libertà personale come extrema ratio

Il giudice, operante secondo criteri di stringente necessità, deve valutare l’applicazione delle misure cautelari garantendo l’utilizzazione dello strumento della restrizione preventiva della libertà personale secondo il canone dell’ extrema ratio .

Automatica restrizione della libertà personale? Con la sentenza n. 31592/2017, depositata il 27 giugno, la Corte di Cassazione ha sottolineato alcuni principi generali che governano il sistema di disciplina delle misure cautelari personali. In particolare, la S.C. ha affermato che tali principi affidano al filtro valutativo del giudice, operante secondo criteri di stringente necessità, la garanzia della utilizzazione dello strumento della restrizione preventiva della libertà personale secondo il canone dell’ extrema ratio . La fattispecie. Nel caso di specie, il Tribunale aveva modificato la misura cautelare degli arresti domiciliari con la detenzione in carcere alla quale era sottoposto l’imputato ricorrente. Tuttavia, qualche settimana prima del giudizio di cassazione, l’imputato veniva assolto dal delitto di evasione ascrittogli con la formula perché il fatto non costituisce reato. La misura applicata è adeguata? La Cassazione, pertanto, anche in virtù degli ultimi avvenimenti, annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame. In particolare, gli Ermellini hanno precisato che il giudice del rinvio , oltre a garantire – come già affermato - l’utilizzazione dello strumento della restrizione preventiva della libertà personale secondo il canone dell’ extrema ratio , dovrà valutare la perdurante adeguatezza della misura applicata al ricorrente alla luce dell’intervenuta sentenza di assoluzione pronunciata nei suoi confronti in merito al delitto di evasione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 maggio – 27 giugno 2017, n. 31592 Presidente Lapalorcia – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. S.V. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del 16 febbraio 2017 emessa dal Tribunale di Roma, Sezione per il riesame delle misure cautelari personali, che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza applicativa della misura intramurale, in via di aggravamento, poiché, sebbene al ricorrente - già condannato dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Latina per il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen. - fossero stati concessi gli arresti domiciliari con divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, egli, invece, aveva violato la detta prescrizione recandosi senza autorizzazione presso il Pronto Soccorso e rifiutandosi espressamente di farvi ritorno. 2. Il ricorrente deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 275, 276, comma 1-ter e 284 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per non avere il Tribunale valutato la lieve entità del fatto, considerato che egli prima di allontanarsi dall’abitazione aveva avvertito i Carabinieri del suo intendimento e che, per questa ragione, lo stesso Pubblico Ministero, che ebbe a presentarlo al Giudice per la convalida dell’arresto e per il giudizio direttissimo per il delitto di evasione, non ebbe a chiedere l’applicazione di alcuna misura cautelare personale, avendo valutata come non grave la trasgressione attesa la modesta offensività del fatto. Lamenta, altresì, che il Collegio dell’appello in maniera del tutto incongrua aveva valorizzato il suo rifiuto di fare rientro presso l’abitazione da cui era evaso, facendo, così, discendere l’aggravamento della misura cautelare da un’espressione del tutto estemporanea di volontà, superata di fatto dalla successiva permanenza presso il detto domicilio. 3. All’odierna udienza il difensore del ricorrente ha depositato il dispositivo della sentenza emessa dal Tribunale di Latina in data 10 maggio 2017 con il quale S. è stato assolto dal delitto di evasione ascrittogli con la formula perché il fatto non costituisce reato. Considerato in diritto 1. L’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, imponendosi nuova valutazione in ordine alle ragioni del disposto aggravamento della misura cautelare originariamente imposta al ricorrente e circa l’adeguatezza del regime cautelare in atto. 2. Rileva, in primo luogo, il vizio di motivazione sotto il profilo dell’esatta identificazione del parametro normativo sulla base del quale è stato operato il giudizio circa la necessità di sostituzione della misura degli arresti domiciliari applicata allo S. con quella della custodia cautelare in carcere. Le norme che, infatti, vengono in rilievo in ipotesi di aggravamento di misura cautelare, vale a dire quella di cui all’art. 276, comma 3, cod. proc. pen. ovvero quella di cui all’art. 299, comma 4, cod. proc. pen., implicano una differente valutazione degli elementi in fatto che legittimano una modificazione in senso peggiorativo dello status libertatis , della quale, però, nell’impianto giustificativo del provvedimento impugnato non è dato ravvisare il segno l’attivazione della procedura officiosa ex art. 276 cod. proc. pen. presuppone, invero, una specifica trasgressione della persona in vinculis quanto alle prescrizioni che sarebbe stata obbligata ad osservare, ed ha, pertanto, natura sanzionatoria, mentre la previsione di cui all’art. 299, comma 4, cod. proc. pen. attiene all’adeguato e concreto soddisfacimento delle esigenze cautelari Sez. 1, n. 3285 del 21/12/2015, dep. 2016, Dzhangveladze, Rv. 265726 Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, Granata, Rv. 237001 . 3. Al riguardo giova osservare che, al di là dell’anodino riferimento alla mancata disponibilità dell’imputato a permanere presso il proprio domicilio in stato detentivo, a prescindere dall’entità della trasgressione delle prescrizioni inerenti la misura degli arresti domiciliari , l’effettiva necessità dell’aggravamento della misura imposta è stata desunta dal Tribunale assegnando esclusivo rilievo all’estemporaneo rifiuto espresso dallo S. di far rientro presso l’anzidetto domicilio, senza alcuna considerazione delle allegazioni difensive circa la successiva, non breve, permanenza dell’imputato medesimo nella casa di abitazione sino alla sua traduzione in carcere, ben interpretabile alla stregua delle comuni massime di esperienza come una implicita revoca del precedente rifiuto, ed in ordine, comunque, alla lieve offensività dell’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari alla luce delle relative modalità di realizzazione. 4. Apprezzamento in fatto, quello da ultimo indicato, cui, invero, il giudice dell’appello cautelare non si sarebbe potuto sottrarre. In effetti, quand’anche l’aggravamento della misura cautelare sia stato disposto dal Giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., che, per la persona che si trovi agli arresti domiciliari, consente al giudice di disporre la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia in carcere nel caso di trasgressione al divieto di allontanarsi dal luogo dove la persona stessa sia ristretta, salva l’ipotesi della lieve entità della violazione, il Tribunale per il riesame, in virtù della clausola di riserva menzionata, avrebbe dovuto valutare se il comportamento inosservante della persona cautelata fosse o meno riconducibile dal detto indice di rilevanza fattuale. Ad avviso della più recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’inciso indicato segna l’ambito materiale delle eccezioni alla regola di sostituzione automatica della misura di autocontrollo domiciliare e risulta a regime per effetto dell’inserimento operato dall’art. 5 della legge 16 aprile 2015, n. 47 Sez. 1, n. 47931 del 05/10/2016 - dep. 11/11/2016, Russello, Rv. 26918801 . Da ciò può dirsi che i casi previsti dall’art. 276, comma 1, cod. proc. pen., in cui l’aggravamento si qualifica come discrezionale, e quelli previsti dall’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., in cui il giudice era, ante novella, obbligato a disporre l’applicazione della più grave misura custodiale, risultano de iure condito sostanzialmente equiparati sotto il profilo dell’ambito valutativo giurisdizionale, essendo imposta al giudice una verifica sulla entità della trasgressione, sia nel primo che nel secondo caso. 5. La ragione della disposizione richiamata, ispirata all’idea di una drastica limitazione delle ipotesi di automatica restrizione della libertà personale, e i principi generali che governano il sistema di disciplina delle misure cautelari personali, che affidano al filtro valutativo del giudice, operante secondo criteri di stringente necessità, la garanzia della utilizzazione dello strumento della restrizione preventiva della libertà personale secondo il canone dell’ extrema ratio , esigono che il giudice del rinvio valuti, altresì, la perdurante adeguatezza della misura applicata al ricorrente alla luce della intervenuta sentenza di assoluzione pronunciata nei suoi confronti dal delitto di evasione. Il ridimensionamento della situazione che aveva determinato l’aggravamento impone, infatti, una rivisitazione critica delle ragioni poste a suo fondamento, che, però, deve essere condotta tenendo conto anche delle residue esigenze cautelari poste a base dell’originario provvedimento restrittivo adottato in relazione alla contestazione per il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen 6. Si impone, pertanto, annullamento con rinvio nei confronti di S.V. per nuovo esame che tenga conto dei rilievi qui formulati. Vanno inoltre effettuati gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame. Dispone la trasmissione integrale degli atti. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 - ter disp. att. cod. proc. pen