La perdita del lavoro non è una scusa per non versare l’assegno di mantenimento della figlia

L’incapacità di far fronte all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento del figlio minorenne sussiste ove sia riscontrabile una situazione di incolpevole ed assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le minime esigenze di vita degli aventi diritto ed, in tal senso, è inidonea la mera allegazione dello stato di disoccupazione.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31495/17 depositata il 26 giugno. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la condanna inflitta all’imputato, previo riconoscimento del vincolo di continuazione, per il mancato versamento alla moglie dell’assegno di mantenimento per la figlia minorenne determinato in sede di separazione dei coniugi. La sentenza viene impugnata in Cassazione dall’imputato che si duole per l’affermata volontà di non adempiere all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento, non avendo i giudici di merito considerato il suo stato di assoluta indigenza dimostrato anche dall’ammissione al gratuito patrocinio. Padre disoccupato. Il tema evidenziato dal ricorrente è però già stato correttamente valutato dalla Corte territoriale che ha riscontrato l’assenza di elementi idonei e convincenti della sua concreta impossibilità di adempiere. Ed infatti, come già affermato dalla giurisprudenza, l’incapacità di far fronte all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento del figlio minorenne sussiste ove sia riscontrabile una situazione di incolpevole ed assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le minime esigenze di vita degli aventi diritto ed, in tal senso, è inidonea la mera allegazione dello stato di disoccupazione. Correttamente dunque il ricorrente è stato riconosciuto colpevole ex art. 3 l. n. 54/2006 per la volontaria e non incolpevole violazione dell’obbligo di versamento dell’assegno, condotta che si è protratta per diversi anni senza che egli si sia mai rivolto al giudice civile per la modifica delle condizioni economiche statuite in sede di separazione dei coniugi.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 aprile – 26 giugno 2017, n. 31495 Presidente Conti – Relatore Mogini Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. S.P. ricorre per mezzo del proprio difensore di fiducia avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Milano ha confermato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il delitto di cui agli artt. 3 L. n. 54/2006 e 12 sexies L. n. 898/1970 a lui contestato in ordine al mancato versamento in favore della moglie dell’assegno per il mantenimento della figlia minorenne determinato dal giudice civile in sede di separazione dei coniugi e i fatti già giudicati con sentenza irrevocabile del Tribunale di Milano in data 21.2.2011, ed ha rideterminato la pena complessiva per i reati in continuazione in mesi tre di reclusione ed Euro 350 di multa, di cui mesi due di reclusione ed Euro 50 di multa a titolo di aumento per la continuazione sulla pena base già inflitta per il più grave reato art. 570, comma 2, cod. pen. oggetto della citata sentenza del Tribunale di Milano del 21.2.2011. 2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando A violazione degli artt. 523 cod. proc. pen. e 153 disp. att. cod. proc. pen. perché la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni, con provvisionale per 5.000 Euro e rifusione delle spese in favore della parte civile, pronunciata in primo grado, è stata confermata all’esito del giudizio di appello senza che la parte civile abbia partecipato alla discussione orale B omessa motivazione in ordine al motivo d’appello col quale si censurava il diniego dei benefici della non menzione e della sospensione condizionale della pena, la cui concessione era stata richiesta all’esito del giudizio di primo grado C violazione dell’art. 570 cod. pen. e vizi di motivazione in punto di affermata esistenza della deliberata volontà di non adempiere all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento, non avendo i giudici di merito considerato che il ricorrente è stato ammesso al gratuito patrocinio e che l’inadempimento ha avuto unica causa nel suo stato di assoluta indigenza D con gli ultimi due motivi di ricorso, tra loro sovrapponibili, violazione dell’art. 570 cod. pen. e 12 sexies L. 898/70 e vizi di motivazione in ordine alla determinazione della pena per il contestato reato di cui all’art. 3 L. n. 54/2006, invero punibile con la pena alternativa di cui al comma 1 dell’art. 570 cod. pen 3. Il ricorso è inammissibile. 3.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Sono invero legittime le statuizioni civili di condanna pronunciate in sede di appello in favore della parte civile, ancorché quest’ultima non abbia presentato in tale sede le proprie conclusioni, poiché ciò non integra gli estremi della revoca tacita della costituzione di parte civile di cui all’art. 82, comma secondo, cod. proc. pen., essendo quest’ultima norma applicabile solo al giudizio di primo grado Sez. 6, n. 25012 del 23/05/2013, Leonzio, Rv. 257032 . 3.2. Il secondo motivo di ricorso è generico, poiché si limita a richiamare analogo motivo di appello anch’esso del tutto aspecifico, poiché formulato senza alcun riferimento a presupposti in astratto idonei a giustificare la concessione degli invocati doppi benefici, sicché la Corte territoriale non era tenuta a motivare su doglianza proposta in violazione dell’art. 581, lett. c , cod. proc. pen. in quanto mancante delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. 3.3. Il terzo motivo di ricorso rappresenta la reiterazione di doglianze di merito alle quali la Corte territoriale ha offerto congrua risposta laddove ha ritenuto, sulla base di valutazione immune da vizi logici e giuridici, mancare nel caso di specie l’allegazione da parte del ricorrente di idonei e convincenti elementi indicativi della sua concreta impossibilità di adempiere Sez. 6, 24.4.2013, Castiglia , ed ha ricordato che la condizione di incapacità a far fronte all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento del figlio minore di età deve consistere in una situazione incolpevole di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto e la cui allegazione non può ritenersi sufficiente allorché si basi sull’asserzione del mero stato di disoccupazione Sez. 6, 22.9.2011, Galassi Sez. 6, 10.6.2014, Mileto . Del resto, la soggettività che informa la violazione di cui all’art. 3 L. 54/2006 è integrata dalla mera consapevolezza di sottrarsi all’obbligo di mantenimento Sez. 6, 22/9/2011, Ticozzelli e altri , sicché la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi sul punto adeguata nel riconoscimento della volontaria e non incolpevole violazione dell’obbligo di versamento dell’assegno protrattasi per anni senza che il ricorrente abbia mai chiesto al competente giudice civile la modifica delle condizioni economiche statuite in sede di separazione dei coniugi. 3.4. Il quarto e il quinto motivi di ricorso sono manifestamente infondati, poiché il giudice di primo grado ha determinato la pena per il reato di cui all’art. 3 L. n. 54/2006 contestato in questa sede quale aumento a titolo di continuazione di quella inflitta con precedente sentenza di condanna passata in giudicato per il più grave reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2 cod. pen., ciò non determinando alcuna violazione del regime sanzionatorio proprio alla fattispecie in esame. Infatti, laddove, come nel caso in esame, sia stata riconosciuta la continuazione tra un reato più grave punito con la pena della reclusione e della multa e un reato meno grave punito con la sola multa, l’aumento per la continuazione deve riguardare entrambe le pene congiuntamente previste e inflitte per il reato più grave, come risulta dalla lettera dell’art. 81 cod. pen., secondo il quale, sia in caso di concorso formale, sia in caso di continuazione, l’autore dei reati è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo. Sez. 1, n. 480 del 27/01/1997, Antonacci, Rv. 207040 . All’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen., determinate come in dispositivo tenuto conto della natura delle questioni proposte. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della Cassa delle ammende.