Prova a divincolarsi dalla presa di un carabiniere: condannato

Respinta la tesi difensiva, secondo cui l’uomo, fermato in strada, ha semplicemente opposto una mera resistenza passiva. Decisiva la ricostruzione fornita dai militari.

Appostamento in strada per una pattuglia dei Carabinieri. Troppo veloce l’automobilista, che, privo di patente, non si ferma, nonostante l’alt con tanto di paletta ben visibile, e finisce contro uno spartitraffico. Eccessiva poi anche la sua reazione all’arrivo dei militari. Impossibile parlare di resistenza passiva, consequenziale la condanna Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 31286/17, depositata il 22 giugno 2017 . Fuga. Sanzione severa per l’automobilista. Egli è ritenuto responsabile del delitto di resistenza a pubblico ufficiale , e viene condannato, sia in Tribunale che in Corte d’appello, a 6 mesi di reclusione . La linea di pensiero dei Giudici di secondo grado viene contestata dal difensore dell’automobilista. Egli sostiene che il proprio cliente non ha posto in essere alcuna violenza ai danni dei militari , essendosi invece limitato ad uno spontaneo tentativo di divincolarsi . Questa visione è respinta dai magistrati della Cassazione. A loro parere non si può parlare di resistenza passiva , soprattutto tenendo presenti le deposizioni dei militari in cui si era precisato che l’automobilista aveva cercato in tutti i modi di ostacolarli e di scappare dalla propria vettura . Allargando l’orizzonte, poi, i giudici ribadiscono che l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza, quando costituisce un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale e a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 marzo – 22 giugno 2017, n. 31286 Presidente Paoloni – Relatore D’Arcangelo Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Sondrio in data 24 aprile 2014 nei confronti di D.Z.G. ed appellata dall’imputato, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato di guida senza patente capo b commesso in Sondrio il 1 ottobre 2010, essendo lo stesso estinto per intervenuta prescrizione ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata. 2. Il Tribunale di Sondrio aveva, infatti, condannato il D.Z. alla pena di sei mesi di reclusione per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale posto in essere in Sondrio in data 1 ottobre 2010 capo a . 3. L’avv. Maurizio Carrara, difensore di fiducia del D.Z. , ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo, congiuntamente, con unico motivo, il travisamento della prova e la errata applicazione dell’art. 337 cod. pen. 4. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte di Appello di Milano aveva travisato la natura e lo scopo dello stazionamento dei Carabinieri che, per quanto emerso dalle trascrizioni della udienza dibattimentale del 24 aprile 2014, non era un posto di blocco , ma una semplice postazione di controllo, che non inibiva fisicamente la circolazione veicolare. Atteso che l’autovettura degli operanti era parcheggiata al lato della strada e non al centro, pertanto, il Carabiniere munito di paletta non aveva dovuto spostarsi in conseguenza della condotta di guida dei D.Z. e, pertanto, nessuna violenza era stata posta in essere dall’imputato. 5. Il D.Z. , peraltro, non aveva forzato alcun posto di blocco, né cercato di investire alcun operante anche quando aveva arrestato la marcia della sua autovettura, essendo andato a collidere contro uno spartitraffico, non si era asserragliato all’interno dell’abitacolo e non aveva posto in essere alcuna violenza ai danni dei Carabinieri, limitandosi ad uno, spontaneo, tentativo di divincolarsi. 6. Il ricorso deve essere disatteso in quanto i motivi congiuntamente dedotti nello stesso si rivelano manifestamente infondati. 7. Nel caso di cosiddetta doppia conforme , il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217 Sez. 4, n. 5615, del 13/11/2013, Nicoli, Rcv. 258432 Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438 . 8. Nella specie il compendio dichiarativo richiamato dalla Corte di Appello nella propria motivazione è il medesimo di quello delibato dal giudice dibattimentale in primo grado e, pertanto, la censura deve essere ritenuta inammissibile. 9. Il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e cod. proc. pen., che può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati, è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 . 10. Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente non si duole di tali evenienze, quanto di una più ampia e generale difformità della sentenza dalla propria ipotesi ricostruttiva. Tale richiesta di addivenire ad un rinnovato esame del merito della regiudicanda è, peraltro, icasticamente dimostrata dalla produzione in allegato al ricorso dei verbali stenotipici dell’intera istruttoria svolta nel processo di primo grado e dall’interrogatorio reso dall’imputato nelle indagini preliminari. 11. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito ex multis Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 . 12. Nella sentenza impugnata, peraltro, si rileva, tutt’altro che illogicamente, come la condotta del D.Z. non possa essere ascritta alla mera resistenza passiva alla stregua delle deposizioni dei militari operanti che avevano precisato come il D.Z. avesse cercato in tutti i modi di ostacolarli e di scappare dalla propria autovettura. 13. Manifestamente infondata si rivela anche la censura di violazione di legge formulata relativamente al carattere spontaneo, dell’atto del divincolarsi dell’imputato. 14. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 337 cod. pen., l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga ex plurimis Sez. 5, n. 8379 del 27/09/2013, Rodrigo, Rv. 259043 Sez. 6, n. 8997 dell’11/10/2010, Palumbo, Rv. 246412 Sez. 6, n. 35125 del 26/06/2003, Graziotti, Rv. 226525 . 15. Perché sia integrato il delitto di cui all’art. 337 cod. pen. non è, del resto, necessario che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti predetti Sez. 6, n. 46743 del 06/11/2013, Ezzamouri, Rv. 257512 Sez. 6, n. 3970 del 13/01/2010, Oliva, Rv. 245855 . 11. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.