Sì agli arresti domiciliari per la maestra violenta se è possibile la reiterazione e l’inquinamento probatorio

L’attualità delle esigenze cautelari non richiede la presenza di effettive ed immediate opportunità di ricaduta, quanto piuttosto una possibilità di ricadere nel reato, anche se non nell’immediato. E, affinché possa darsi un tale tipo di apprezzamento, l’analisi del giudicante deve necessariamente estendersi al quadro concreto e completo nella sua intera dimensione soggettiva ed oggettiva.

La fattispecie di reato. La sentenza in commento riguarda il caso di una maestra, alla quale veniva applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, con ordinanza per due volte cassata con rinvio, l’ultimo dei quali è dato proprio con tale pronuncia, per la valutazione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di maltrattamenti aggravati. La Corte, preventivamente ed incidentalmente, rileva la corretta individuazione del reato di cui all’art. 570 c.p. rispetto al prospettato diverso inquadramento dell’abuso dei mezzi di correzione, ed afferma che la differenza tra i due sta nell’uso sistematico della violenza fisica o morale che, nella prima fattispecie, rappresenta l’ordinario trattamento del minore, anche se esso sia stato sostenuto da animus corrigendi. Reiterazione del reato. Affermata, quindi, la correttezza della norma individuata dall’accusa, l’attenzione della Corte si sposta sulla diversa problematica processuale, relativa alla correttezza della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui alle lettere a e c dell’art. 274 c.p.p La ritenuta esigenza della reiterazione delle condotte delittuose, come precisato dai giudici di legittimità, deve essere non solo concreta, ma anche attuale. Il pericolo, invero, non può essere considerato attuale quando la condotta sia del tutto occasionale e sporadica. Al contrario, invece, quando l’illecito possa ripetersi in ragione delle modalità del suo estrinsecarsi e della personalità del soggetto, non vi è dubbio sulla sussistenza del suddetto pericolo, la cui attualità, peraltro va valutata attraverso la formulazione di un giudizio prognostico fondato sui criteri di cui all’art. 133 c.p L’inquinamento probatorio. Con riguardo, invece, all’esigenza di cui all’art. 274 c.p.p., lett.a , come è noto, la norma prescrive di verificare, anche in ragione del tempo trascorso dall’avvio delle indagini, l’esistenza di tre contestuali condizioni l’esistenza di specifiche e inderogabili esigenze di indagini, di situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova ed, infine, di circostanze di fatto, espressamente indicate, che rendono fondato tale pericolo. In relazione alla concretezza di tale pericolo, la Corte evidenzia che si deve tener conto del contegno dell’indagato, la cui corretta condotta per un periodo prolungato dal momento dell’avvenuta conoscenza dell’avvio delle indagini non può che deporre per l’inesistenza del pericolo paventato e, quindi, della sua non attualità. Oltre dunque, alla valutazione dell’effettiva sussistenza della pericolosità sociale dell’indagato, si rende necessario valutare la contestuale presenza di condizioni oggettive esterne alla stessa che tuttavia possano attivarne la latente pericolosità. In definitiva, quindi, non è possibile decontestualizzare” il comportamento dell’indagato, tralasciando l’esame delle circostanze di fatto concrete in cui il soggetto si trova ad operare che contribuiscono alla valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari che si intendono tutelare.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 maggio – 22 giugno 2017, n. 31340 Presidente De Crescienzo – Relatore Pazzi Ritenuto in fatto 1. Questa Corte, con sentenza del 4 novembre 2016, ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Taranto che, in accoglimento dell’appello proposto dal P.M., aveva applicato a F.E. la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione con terzi e ha rinviato al giudice della cautela per nuovo esame. In sede di rinvio il Tribunale di Taranto, con ordinanza in data 23 gennaio 2017, ha nuovamente accolto il gravame proposto dal P.M. avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Taranto del 9 maggio 2016 e ha applicato nei confronti di F.E. la misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli artt. 572, 61 n. 11 ter e quinquies c.p 2. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagata, deducendo 2.1. ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , c ed e , c.p.p. la violazione degli artt. 623, lett. a , 627, comma 3, 628, comma 2, c.p.p. e 173 disp. att. c.p.p. con riferimento al disposto degli artt. 267, 268, commi 3 e 3 bis, 271, 273, comma 1, 191 e 192, commi 1 e 2, c.p.p. nonché il vizio di motivazione in merito all’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, ravvisati sulla base dei risultati delle intercettazioni ambientali e del contenuto delle sommarie informazioni testimoniali raccolte. In particolare a giudizio della difesa il Tribunale in sede di rinvio non si sarebbe uniformato al principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità, secondo cui le risultanze delle intercettazioni ambientali e dei contenuti comunicativi delle videoriprese erano inutilizzabili ai fini del giudizio cautelare, e aveva invece di nuovo posto a fondamento della propria decisione, a seguito della produzione da parte del P.M. dei decreti autorizzativi in precedenza mancanti nonché di ulteriori dichiarazioni testimoniali, le frasi, le espressioni e i gesti comunicativi già valorizzati nella prima ordinanza, oltrepassando così i limiti fissati in sede di legittimità in merito al materiale probatorio utilizzabile al fine di apprezzare la sussistenza della gravità indiziaria. 2.2. ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c ed e , c.p.p., la violazione degli artt. 267, 268, commi 3 e 3-bis, 271, 273, comma 1, 191 e 192, commi 1 e 2, c.p.p. nonché il vizio di motivazione in ordine alla gravità indiziaria, ravvisata facendo riferimento ai risultati delle intercettazioni ambientali e alle dichiarazioni contenute nei verbali di sommarie informazioni testimoniali. In tesi difensiva i risultati delle intercettazioni risulterebbero inutilizzabili, ai sensi degli artt. 191 e 271, comma 1, c.p.p., per inosservanza del disposto dell’art. 268, commi 3 e 3-bis, c.p.p., secondo cui il compimento delle operazioni di intercettazione mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria può avvenire soltanto nel caso in cui questi impianti siano insufficienti o inidonei e ricorrano altre eccezionali ragioni di urgenza, condizioni della cui esistenza il decreto autorizzativo non aveva dato conto la motivazione dei provvedimenti relativi alle proroghe era altrettanto apodittica e non assolveva adeguatamente l’obbligo motivazionale specificando le ragioni dell’insufficienza e dell’inidoneità degli impianti della Procura della Repubblica e della mancata installazione degli impianti noleggiati presso gli uffici della magistratura inquirente di Taranto. Per di più il decreto del P.M. difettava di una motivazione sufficiente rispetto alle ragioni di urgenza e al grave pregiudizio derivante dal ritardo, il decreto di convalida del G.I.P. non indicava quali operazioni, tra quelle di captazione, ascolto, registrazione, verbalizzazione, selezione e trasposizione su hard disk delegate agli ufficiali di P.G. della Squadra Mobile della Questura di Taranto, erano state effettuate negli uffici della Procura della Repubblica e quali invece negli uffici della Questura di Taranto, mentre i decreti di proroga del G.I.P. non facevano alcun cenno all’uso di impianti esterni alla Procura e sviluppavano una motivazione esclusivamente per relationem da cui non si comprendeva se le iniziali ragioni che avevano imposto il ricorso a impianti esterni presi a noleggio permanessero anche al momento della proroga. Dall’inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni ambientali derivava la mancanza o l’insufficienza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagata. 2.3. ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , c ed e , c.p.p., violazione di legge con riferimento all’art. 572 c.p.p. e vizio di motivazione in merito alla valutazione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di maltrattamenti, effettuata sia senza osservare norme processuali stabilite a pena di nullità e di inutilizzabilità, costituite dal combinato disposto degli artt. 271, 273, comma 1, 292, lett. c-bis , 191 e 192, commi 1 e 2, c.p.p., sia tenendo conto delle dichiarazioni de relato di alcuni genitori e del narrato di minori sentiti secondo modalità non coerenti con quanto previsto dai protocolli in materia, sia in assenza di giustificazioni in ordine alla non rilevanza degli elementi forniti dalla difesa, fra cui in particolare l’esperienza dell’agorà e del memoriale con gli allegati messaggi di solidarietà alla maestra. Più precisamente il Tribunale, a dire della difesa, si era limitato a esaminare gli episodi selezionati dagli inquirenti omettendo di effettuare un vaglio critico di tutta l’attività didattica svolta dalla maestra F. questo esame parziale aveva portato a ravvisare uno stato di malessere e disagio dei minori malgrado tutti gli alunni quotidianamente esprimessero uno stato d’animo di felicità e serenità durante l’attività dell’agorà e senza considerare che una simile condizione poteva trovare origine nello stress derivante dalla frequenza scolastica o in ragioni extrascolastiche. Oltre a ciò il Tribunale non aveva adeguatamente valutato che la maestra lavorava unitamente ad altri quattro colleghi, una delle quali, quale insegnante di sostegno, era sempre presente durante le sue ore di lezione non era perciò plausibile che questi insegnanti non si fossero resi conto della gravità della condotta contestata ed anzi avessero manifestato solidarietà all’indagata apprezzandone dedizione, professionalità, sensibilità, impegno ed esperienza. Il collegio dell’appello cautelare aveva inoltre tenuto come vere dichiarazioni provenienti dalle madri dei bambini discostandosi dai principi e dalle regole giurisprudenziali in tema di assunzione della testimonianza indiretta derivante da dichiarazioni di minori, senza considerare l’avvenuto scambio di informazioni fra i genitori degli alunni, senza apprezzare la coerenza fra le varie dichiarazioni rese a più riprese dai genitori e senza affrontare il tema dell’attendibilità di simili dichiarazioni nel contempo il Tribunale non aveva vagliato le modalità di assunzione delle dichiarazioni dei minori, da raccogliere secondo le procedure protette previste in materia al fine di evitare suggestioni o influenze. Peraltro l’informativa redatta dopo l’esame delle riprese audiovisive elencava una serie di comportamenti, quali condotte energiche, colpi sulla testa con materiale cartaceo leggero e inoffensivo, scappellotti o colpi dati con la mano sul banco, nei quali non era ravvisabile nulla di anomalo o di penalmente rilevante. 2.4. ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , c ed e , c.p.p., violazione di legge per inosservanza di norme processuali con riferimento agli artt. 274, comma 1, lett. a e c , 275 e 292, comma 2, lett. c , c.p.p. e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, essendo venuto meno il pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. Le argomentazioni addotte dai giudici del merito cautelare a sostegno della ritenuta pericolosità dell’indagata risultavano infatti del tutto apodittiche, facevano riferimento a un dato emerso in sede di udienza, in epoca successiva alla data di asserita commissione di reati, e contenevano una motivazione insufficiente e illogica in tema di concretezza e attualità delle esigenze cautelari ravvisate, la quale non considerava l’intervenuto affidamento ad altri insegnanti degli alunni e il permanere del provvedimento di sospensione amministrativa fino alla conclusione della vicenda processuale penale, risultando così impossibile ipotizzare l’esistenza di un’ occasione concreta di reiterazione del reato. Il provvedimento impugnato inoltre non indicava le circostanze di fatto su cui si fondavano le situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, tenuto conto che le attestazioni di apprezzamento e solidarietà pervenute alla maestra F. , per la loro spontaneità, non costituivano un valido motivo per ipotizzare un avvicinamento finalizzato all’inquinamento probatorio così come la mancata conclusione delle indagini e la conseguente impossibilità di identificare ulteriori parti offese non rappresentavano una ragione idonea a ravvisare il pericolo di inquinamento probatorio. Considerato in diritto 1. In merito all’utilizzabilità dei contenuti comunicativi delle videoriprese e delle intercettazioni ambientali era onere della difesa, onde evitare la genericità del motivo di doglianza, chiarire l’incidenza degli atti indicati come viziati sul complessivo compendio di indagine già valutato In tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009 - dep. 10/06/2009, Fruci, Rv. 24341601 . Ciò soprattutto ove si tenga conto della reiterata asserzione del Tribunale secondo cui il solo contenuto non comunicativo offerto dalle videoriprese era sufficiente a integrare una gravità indiziaria pag. 4, punto 6, e pag. 11, punto 9 . Sul punto il ricorso si rivela doppiamente generico, poiché da un lato non indica la rilevanza degli atti di indagine ritenuti inutilizzabili nell’economia della valutazione della complessiva piattaforma indiziaria, dall’altra non si confronta in maniera critica con le plurime attestazioni di irrilevanza compiute dal Tribunale in ordine al contenuto comunicativo di tutte le captazioni effettuate. 3. Il Tribunale dell’appello cautelare, come detto anche prescindendo dall’utilizzabilità dell’intero contenuto delle comunicazioni captate, ha ribadito la valutazione in precedenza espressa in merito alla sicura consistenza del dato indiziario ciò sulla base di una serie di risultanze che avevano consentito di cogliere la quotidiana e frequente abitudine dell’insegnante di urlare di continuo all’indirizzo dei bambini, di redarguirli apostrofandoli con frasi umilianti e offensive e di ricorrere a condotte apertamente violente, quali quelle di colpire sulla testa gli alunni quando i compiti assegnati non venivano correttamente svolti, con i loro stessi quaderni o uno scappellotto, minacciare l’uso della forza mimando irruentemente il gesto dello schiaffo dinanzi al volto degli alunni, sbattere con forza la mano sui loro banchi e riportare al posto i bambini indisciplinati con una tirata di orecchi o energici strattoni al braccio o al collo. Queste reiterate condotte lesive hanno trovato corrispondenza, a giudizio del collegio del riesame, in un diffuso malessere fra i piccoli scolari, testimoniato dal timore generale provocato in classe da taluni episodi, riscontrabile dalle immagini registrate, e dalle dichiarazioni rilasciate dai genitori di alcuni alunni, a dire dei quali i bambini erano preoccupati di essere oggetto della violenza fisica e verbale dell’insegnante, chiedevano protezione dalle botte ricevute o dispensate agli altri compagni, rifiutavano la frequenza scolastica e avevano manifestato il loro disagio tramite comportamenti quotidiani insolitamente reattivi e aggressivi. Il Tribunale ha poi registrato una chiara convergenza delle risultanze di indagine, tenuto conto del coincidente contenuto delle dichiarazioni delle genitrici denuncianti in merito alle ragioni del malessere scolastico avvertito dai figli e della loro coerenza con le risultanze delle intercettazioni compiute, che hanno offerto un quotidiano riscontro di quanto riferito dai bambini attestando che l’insegnate era solita ricorrere all’umiliazione o alla minaccia degli alunni più lenti e irrequieti e riservare a taluni di essi reazioni più apertamente aggressive. Il collegio del merito cautelare ha così ritenuto che il corredo indiziario offrisse un quadro attestante una gratuita e stabile mortificazione degli alunni da parte della maestra, la quale faceva abituale e sistematico ricorso a metodi connotati da elevata carica aggressiva, apertamente sproporzionati rispetto all’entità delle mancanze rimproverate, spesso smodatamente violenti sia per l’estremo vigore delle minacce urlate, sia per la parte del corpo interessata dai colpi quando inferti, sia per la forza, più sovente contenuta in uno scappellotto ma talvolta gratuitamente eccessiva, di tali colpi, che risultavano comunque idonei, pur quando non violenti, a provocare l’umiliazione dell’alunno. Sulla base di queste risultanze della piattaforma istruttoria il Tribunale ha tratto la dimostrazione della connotazione plausibilmente violenta e comunque sproporzionata della condotta fisica e morale tenuta dalla maestra, della protrazione di un simile contegno per un tempo sufficientemente ampio a ravvisare l’abitualità della condotta e della consapevole intenzione dell’insegnante di adottare tale sistema di comportamento nei confronti degli alunni e di persistere in questa attività vessatoria, ritenendo così corretta la qualificazione giuridica attribuita al fatto e sufficientemente gravi gli indizi di colpevolezza rispetto al reato di cui agli artt. 572, 61 n. 11-ter e quinquies c.p A fronte di una simile motivazione, approfondita e molto articolata, questa Corte non può che constatare, oltre al fatto che il ricorso è fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici, la sussistenza dei requisiti di coerenza, completezza e logicità del provvedimento oggetto del ricorso, il cui contenuto è esente da manifesti vizi logici e non può essere rivisitato nel merito in questa sede sia rispetto alla valutazione del contenuto delle intercettazioni ambientali, sia rispetto all’apprezzamento delle altre risultanze di indagine. In particolare non è possibile in questa sede procedere a una reinterpretazione delle risultanze delle captazioni all’interno della classe di immagini e conversazioni, la cui valutazione in termini di contenuto e significato dei contegni e delle espressioni dell’indagata costituiscono un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuto, come nel caso di specie, da motivazione congrua e logica Sez. 5, n. 6350 del 22/12/1999 - dep. 16/02/2000, Cannavò, Rv. 21626901 Pertanto, una volta verificato che il processo formativo del convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento negativo di un procedimento induttivo contraddittorio o illogico ovvero di un esame incompleto, impreciso o viziato dalla presenza di elementi non apprezzabili, in questa sede non si può che constatare la congruità e la coerenza delle valutazioni compiute dal Tribunale del riesame, astenendosi dal compiere una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite e dal formulare un giudizio diverso da quello espresso dei giudici di merito in ordine all’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull’attendibilità delle fonti di prova. Siffatto convincimento è stato raggiunto senza trascurare le spiegazioni fornite dall’indagata e gli elementi offerti dalla difesa, che sono stati tuttavia ritenuti non dirimenti e inidonei a sovvertire il grave quadro indiziario raccolto ciò in quanto i momenti di normalità e serenità condivisi con gli alunni e le attestazioni di stima ricevute dalle maestra sono stati reputati inidonei a elidere e scriminare le risultanze del precipuo comportamento vessatorio tenuto dall’insegnante nel contesto della classe interessata dalle intercettazioni e nei confronti di determinati alunni. Non sono condivisibili neppure le censure sollevate dalla difesa per il vero in maniera del tutto aspecifica, senza rivolgere alcuna puntuale critica al contenuto del provvedimento impugnato in merito all’inquadramento giuridico operato dal collegio dell’appello cautelare, il quale, nell’apprezzare la complessiva piattaforma istruttoria sottoposta al suo vaglio, ha ritenuto che l’uso sistematico della violenza, fisica o morale che sia stata, quale ordinario trattamento del minore non possa rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione anche se esso sia stato sostenuto da un animus corrigendi e concretizzi invece, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti si vedano in questo senso Sez. 6, n. 53425 del 22/10/2014 - dep. 22/12/2014, P.M. in proc. B., Rv. 26233601, Sez. 6, n. 36564 del 10/5/2012 - dep. 21/9/2012 rv. 253463 . 4. Il Tribunale del riesame ha ravvisato l’esigenza specialpreventiva di cui all’art. 274, lett. c , c.p.p. ritenendo che le specifiche modalità e circostanze del fatto vale a dire il particolare connotato di prevaricazione delle condotte, la loro sistematica e consapevole ripetizione entro un arco temporale sufficientemente lungo e una personalità incline a giustificare come normali condotte invece di natura vessatoria , unitamente alla scarsa capacità di autocontrollo e sopportazione dello stress, inducano a reputare plausibile e altamente ragionevole la probabilità che l’indagata possa tornare a delinquere commettendo reati della stessa indole. Il Tribunale ha stimato che la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale non sia elisa dalla misura interdittiva dell’insegnamento adottata nei confronti dell’indagata sino alla definizione del procedimento, poiché siffatta misura ha natura di provvedimento amministrativo e resta sempre suscettibile di revoca. Ora l’art. 274, lett. c , c.p.p., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale. La giurisprudenza di questa sezione ha chiarito che il requisito dell’attualità, pur non costituendo una mera ripetizione di quello di concretezza, richiama necessariamente l’esigenza di elevata probabilità del suo verificarsi rispetto non già all’occasione del delinquere, ma alla sua occasionalità in questo senso dunque deve ritenersi che il pericolo non sia attuale se la condotta criminosa si appalesa del tutto sporadica ed occasionale, mentre sussista laddove l’illecito possa ripetersi in ragione delle modalità del suo estrinsecarsi e della personalità del soggetto, indipendentemente dall’imminenza della sua verificazione In tema di misure cautelari personali, la sussistenza di un pericolo attuale di reiterazione del reato va esclusa qualora la condotta criminosa posta in essere si riveli del tutto sporadica ed occasionale, dovendo invece essere affermata qualora - all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure - appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati ne deriva che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta Sez. 2, n. 44946 del 13/09/2016 - dep. 25/10/2016, Draghici e altro, Rv. 26796501 . Il requisito dell’attualità del periculum libertatis può quindi individuarsi a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive ed immediate opportunità di ricaduta disponibili per l’inquisito, essendo necessario e sufficiente formulare un giudizio prognostico che, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p., si riconnetta alla realtà emergente dagli atti del procedimento ed alle valutazioni della persistente pericolosità che è dato trarne, dovendosi comunque effettuare una previsione correlata alla situazione esistenziale e socio ambientale in cui verrà a trovarsi l’indagato nell’ipotesi in cui lo stato di detenzione non sia disposto o venga meno In tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell’indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall’analisi soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed esterne all’accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto - quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele - che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva. Ne consegue che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente Sez. 2, n. 53645 del 08/09/2016 - dep. 16/12/2016, Lucà, Rv. 26897701 . Risulta di tutta evidenza che nel caso in esame l’esigenza specialpreventiva si ricollega, stando al contenuto dell’imputazione provvisoria, non solo alla ripresa del servizio che non pare praticabile, in quanto lo stato sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione di quello penale impedisce di ipotizzare una revoca del provvedimento adottato, tenuto conto della quiescenza della sede procedimentale in cui lo stesso è stato adottato e della mancanza di motivi di merito, fino al termine della vicenda penale, per intervenire in tal senso , ma anche all’assegnazione a funzioni dirette di insegnamento piuttosto che ad altri compiti. Ciò nonostante il Tribunale, se da un lato ha dato una corretta valutazione della persistenza dello stato di pericolosità personale dell’indagata, non ha nel contempo adeguatamente apprezzato la presenza di condizioni oggettive esterne alla stessa che possano attivarne la latente pericolosità, limitandosi a constatare come il provvedimento di sospensione dall’insegnamento possa, seppur disposto fino al termine del procedimento penale, essere passibile di revoca. In questo modo i giudici del riesame hanno adeguatamente apprezzato la concretezza e l’attualità del pericolo di recidiva soltanto sotto il profilo soggettivo della personalità dell’indagata, trascurando però di esaminare gli elementi oggettivi di contesto, concreti e non ipotetici o congetturali, in cui l’indagata si troverà a operare, che nel caso di specie sono integrati dall’esistente e perdurante provvedimento di sospensione. In altri termini, fermo lo sforzo interpretativo compiuto a più riprese da questa sezione secondo cui l’attualità delle esigenze cautelari non richiede la presenza di effettive ed immediate opportunità di ricaduta ma l’apprezzamento di una probabilità di recidiva anche se non imminente, questa valutazione non può arrestarsi al vaglio delle condizioni personali dell’indagato ma deve estendersi all’esame dell’ambito socio-ambientale in cui lo stesso verrà a trovarsi ove non sottoposto a misure. Il giudice del merito, combinando i due profili di indagine, deve perciò verificare se sia possibile ritenere che una simile personalità in tale concreto contesto possa probabilmente indulgere alla commissione di ulteriori reati e nel fare ciò deve giocoforza tener conto di elementi che mutino radicalmente l’ambito in cui il reato è stato commesso e neutralizzino la pericolosità in precedenza manifestata. Questa valutazione deve poi essere cronologicamente ancorata al lasso temporale intercorrente fra il momento di consumazione del fatto e quello in cui si effettua il giudizio cautelare, in quanto eventuali ipotesi di mutamento in futuro del quadro cautelare saranno apprezzate, tramite un’ apposita richiesta di applicazione o aggravamento della misura, se e quando le circostanze paventate verranno ad esistenza. 5. Risulta altrettanto viziata la valutazione compiuta dal Tribunale del riesame in ordine al pericolo di acquisizione delle prove. A questo proposito il Tribunale ha ravvisato la necessità di salvaguardare la genuina raccolta del materiale probatorio perché le indagini non si sono ancora concluse e non sono state ancora identificate tutte le persone offese e il contegno post delictum della F. lascia ragionevolmente presumere, tenuto conto delle numerose manifestazioni di solidarietà manifestate per iscritto all’insegnante, che l’indagata possa avvicinare i familiari degli alunni e compromettere l’esito investigativo. Una simile valutazione non appare coerente con il disposto dell’art. 274, lett. a , c.p.p., che impone di verificare, in maniera tanto più stringente in rapporto al lasso di tempo intercorso dall’avvio delle indagini, l’esistenza di tre contestuali condizioni, costituite dall’esistenza di i specifiche e inderogabili esigenze di indagine ii situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova a cui l’esigenza di indagine è funzionale iii circostanze di fatto espressamente indicate che rendano fondato tale pericolo. Nel caso di specie il Tribunale, pur in presenza di videoriprese protratte nel tempo e di comportamenti abitualmente indirizzati nei confronti dei bambini più lenti o irrequieti e a distanza di nove mesi dall’arresto dell’indagata, ha ritenuto che permanessero esigenze di identificazione dei minori e di tutte le persone offese senza tuttavia ravvisare situazioni di concreto e attuale pericolo per la genuina raccolta del materiale probatorio ricollegabili al comportamento dell’indagata, dal momento che il collegio del riesame si è limitato a evidenziare una condotta di soggetti terzi vale a dire l’avvenuta presentazione di manifestazioni di solidarietà alla maestra omettendo di spiegare le ragioni per cui la stessa sarebbe stata presumibilmente provocata dall’indagata piuttosto che da un moto spontaneo dei firmatari delle attestazioni e per di più lascerebbe pensare che la maestra F. intenda avvicinare i familiari degli alunni al fine di compromettere l’esito investigativo. Il pericolo di inquinamento probatorio, per assumere concretezza, deve giocoforza essere legato dal giudice della cautela a un contegno dell’indagato, la cui corretta condotta per un protratto lasso temporale dal momento di avvenuta conoscenza dell’avvio delle indagini depone invece per l’inesistenza del pericolo paventato In tema di misure cautelari personali, il pericolo di inquinamento probatorio postula, per effetto della riforma introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, fondate su circostanze di fatto dalle quali deve emergere il concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova. Tale pericolo non sussiste quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dal momento della conoscenza, da parte dell’indagato, dell’esistenza di indagini a suo carico per alcuni reati, senza che sia stata posta in essere alcuna condotta che pregiudichi l’integrità o la genuinità della prova stessa fattispecie relativa alla misura degli arresti domiciliari Sez. 5, n. 786 del 20/02/1996 - dep. 12/03/1996, Majocchi, Rv. 20447301 . In conclusione non rimane che constatare, in virtù degli argomenti sopra illustrati, come i giudici della cautela non siano stati in grado di evidenziare esigenze cautelari idonee a giustificare ad oggi l’applicazione della custodia domestica richiesta dal Pubblico Ministero, imponendosi così l’annullamento dell’ordinanza impugnata sotto questo profilo. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata per mancanza delle esigenze cautelari. Rigetta nel resto.