Non ruba, ma avrebbe voluto. E’ tentato furto

Il ladro scappa prima di commettere il furto? Vanno attentamente valutate le circostanze del fatto, non sempre può configurarsi la desistenza volontaria o l’aggravante della violenza sulle cose.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza numero 30842/17 depositata il 21 giugno. Il caso. La Corte d’Appello, confermando la decisione del Tribunale di primo grado, condannava l’imputato per il reato di cui agli artt. 110, 56, 624, 624 numero 2 c.p. per il delitto di tentativo di furto in abitazione mediante violenza sulle cose. Avverso tale pronuncia l’imputato ricorreva in Cassazione lamentando la manifesta illogicità della motivazione per la mancata assoluzione dell’imputato in ragione della sua desistenza volontaria. Era emerso dai fatti in giudizio, infatti, che l’imputato si era allontanato dal palazzo per ben due volte prima dell’arresto, una prima volta allarmato dall’arrivo di un condomino e una seconda dall’arrivo della polizia. Come secondo motivo di doglianza, invece, la difesa lamenta errata applicazione di legge e manifesta illogicità per la mancata esclusione dell’aggravante della violenza sulle cose. La desistenza volontaria. In relazione al primo motivo di doglianza la Corte richiama il consolidato principio secondo il quale per configurare la sussistenza della desistenza volontaria occorre che nel caso concreto permanga la possibilità di perpetrare il delitto e che il soggetto agente scelga volontariamente di non proseguire nell’azione criminosa , inoltre, l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con un giudizio ex ante ”, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, mentre la desistenza volontaria presuppone la costanza della possibilità di consumazione del delitto, per cui, qualora tale possibilità non vi sia più, ricorre, sussistendone i presupposti, l’ipotesi del tentativo . Nel caso di specie la Corte ritiene che l’imputato non abbia desistito volontariamente dal commettere l’azione criminosa, ma che sia piuttosto stato interrotto da numerosi eventi impeditivi la prosecuzione dell’iter criminale. Ritiene quindi la questione infondata. L’aggravante della violenza sulle cose. In relazione al secondo motivo del ricorso, la Corte riconosce che i giudici dell’Appello non abbiano adeguatamente dimostrato la sussistenza dell’aggravante in esame, chiarendo che l’estensione al tentativo delle circostanze previste per il corrispondente delitto consumato comporta un problema di semplice compatibilità logico – giuridica, che va verificata in concreto, tenuto conto della tipologia dell’aggravante contestata. Così, mentre in alcuni casi è ontologicamente necessario che si sia realizzato l’evento che ne costituisce l’oggetto, ovvero che si siano perfezionati i relativi presupposti costitutivi nel frammento di condotta posta in essere dall’agente, in altri non occorre che ciò si verifichi . Proprio alla luce di tale principio, la Cassazione annulla la sentenza in esame, solo in riferimento all’aggravante in esame e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 febbraio – 21 giugno 2017, n. 30842 Presidente Sabeone – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado nei confronti dell’imputato, che l’aveva condannato alla pena giustizia per il reato di cui agli artt. 110, 56, 624,625 n 2 cp, per il delitto di tentativo di furto in abitazione mediante violenza sulle cose fatto di omissis . 1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa, che ha lamentato la manifesta illogicità della motivazione per la mancata assoluzione dell’imputato in ragione della sua desistenza volontaria. La Corte, infatti, aveva ritenuto che l’imputato si era allontanato in quanto allarmato la prima volta dalla presenza di un condomino e la seconda dall’arrivo della Polizia dalle prove sarebbe, invece, emerso che il giudicabile era entrato nel palazzo per introdursi in un appartamento a scopo furtivo ma aveva desistito o perché non si era sentito sicuro o perché non aveva visto alcuna porta da aprire facilmente di fatto all’arrivo della Polizia egli non stava compiendo alcun atto idoneo ad entrare in alcuna abitazione. Col secondo motivo sono stati dedotti i vizi di errata applicazione di legge e di manifesta illogicità per la mancata esclusione dell’aggravante della violenza sulle cose. I giudici del merito avevano considerata integrata l’aggravante, pur in assenza di prova di violenza sulle cose, rifacendosi ad un’antica sentenza della SC, per la quale devono applicarsi le aggravanti che trovano ragione attraverso la valutazione dell’idoneità degli atti e dei mezzi, essendo, pertanto incorsi in contraddizione logica. All’odierna udienza il PG, dr Birritteri, ha concluso per l’inammissibilità. Considerato in diritto Il ricorso è Ndr testo originale non comprensibile infondato. 1. La questione della desistenza proposta nel primo motivo deve risolversi alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale per configurare la desistenza volontaria occorre che nel caso concreto permanga la possibilità di perpetrare il delitto e che il soggetto agente scelga volontariamente di non proseguire nell’azione criminosa. In tal senso Sez. 2, Sentenza n. 44148 del 07/07/2014 Ud. dep. 23/10/2014 Rv. 260855 l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante , tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, mentre la desistenza volontaria presuppone la costanza della possibilità di consumazione del delitto, per cui, qualora tale possibilità non vi sia più, ricorre, sussistendone i presupposti, l’ipotesi del tentativo. 1.1 Nel caso oggetto di ricorso la Corte torinese ha fatto buon uso del predetto principio, osservando, in maniera aderente agli atti, che l’attività criminosa che l’imputato ed il suo complice stavano per realizzare era stata interrotta in un primo momento da uno dei condomini ed in un secondo momento dall’intervento della Polizia, eventi oggettivamente impeditivi della prosecuzione dell’iter criminale. A riprova della permanenza della volontà di portare a termine il delitto progettato, la sentenza ha richiamato il comportamento degli imputati, che la prima volta erano tornati indietro sul luogo del delitto da compiere al chiaro scopo di portarlo a termine e la seconda, pur dopo l’intervento della Polizia, avevano nascosto gli attrezzi da scasso per riprenderli al momento opportuno e, quindi, completare il furto nell’abitazione presa di mira. 2. La critica circa la ritenuta aggravante della violenza sulle cose, viceversa, è condivisibile, poiché la motivazione ha ritenuto di spiegarne la ricorrenza tramite il riferimento ad una antica giurisprudenza, la cui massima non appare suscettibile di applicazione al caso concreto. D’altra parte alcune delle osservazioni in proposito rese dai Giudici di appello appaiono collegate ad ipotesi circa le condotte che gli imputati avrebbero potuto mantenere in caso avessero trovato chiuse o aperte le porte di ingresso di taluna delle abitazioni, senza riferirsi sul punto a dati probatori positivi, ed, in tal modo, non hanno dato adeguatamente conto delle ragioni della ritenuta sussistenza dell’aggravante in parola. 2.1 In proposito la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’estensione al tentativo delle circostanze previste per il corrispondente delitto consumato comporta un problema di semplice compatibilità logico-giuridica, che va verificata in concreto, tenuto conto della tipologia dell’aggravante contestata. Così, mentre in alcuni casi è ontologicamente necessario che si sia realizzato l’evento che ne costituisce l’oggetto, ovvero che si siano perfezionati i relativi presupposti costitutivi nel frammento di condotta posta in essere dall’agente, in altri non occorre che ciò si verifichi. Sez. 5, Sentenza n. 16313 del 24/01/2006 Ud. dep. 12/05/2006 Rv. 234424. Alla luce del principio che precede la sentenza deve essere annullata solo in riferimento alla ritenuta aggravante della violenza sulle cose, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino per nuovo esame.