Condannato il gestore della pizzeria per gli schiamazzi dei clienti

La Corte torna ad affermare la punibilità ai sensi dell’art. 659, comma 1, c.p. del gestore di un pubblico esercizio che non si adoperi per impedire rumori e schiamazzi da parte dei propri clienti con disturbo per la quiete pubblica.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30189/17 depositata il 16 giugno. Il caso. Il Tribunale confermava la pena dell’ammenda comminata al titolare di una pizzeria per non aver impedito schiamazzi e rumori da parte dei clienti, anche con abuso degli strumenti di diffusione di musica presenti nel locale, con disturbo degli abitanti del medesimo edificio e di quelli prossimi. La sentenza viene impugnata per cassazione dall’imputato che si duole per il fatto di essere stato riconosciuto colpo velo sulla base delle dichiarazioni rese da un numero limitato di persone, in particolare dei condomini occupanti i piani immediatamente superiori alla pizzeria. Il ricorso lamenta poi la mancata configurazione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 9 l. n. 689/1981 essendo gli strumenti da cui proveniva la musica essenziali allo svolgimento della sua attività professionale. Pubblica quiete. La prima doglianza risulta manifestamente infondata alla luce del principio secondo cui la rilevanza penale della produzione di rumori è sorretta dalla ratio della tutela della pubblica quiete con disturbo potenziale di un numero indeterminato di persone anche se concretamente solo una di esse se ne lamenti. Nel caso di attività svolte in ambito condominiale è dunque pacifico che la produzione di rumori è penalmente punibile laddove sia idonea a turbare la quiete non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante ma di una parte più consistente dei condomini. E, nel caso di specie, tale requisito è risultato soddisfatto sulla base delle dichiarazioni rese da persone abitanti edifici adiacenti alla pizzeria. Attività rumorose. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato. La condotta è infatti stata correttamente ricondotta all’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 659 c.p. in quanto non si tratta di un’attività intrinsecamente rumorosa ma di vociare e schiamazzi prodotti dagli avventori del locale. È infatti punibile per disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dai clienti in sosta davanti al locale, essendo a lui imposto l’obbligo giuridico di controllare anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità che la presenza nel locale non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 marzo – 16 giugno 2017, n. 30189 Presidente Ramacci – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. S.G. ha proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Avellino di condanna alla pena dell’ammenda per il reato di cui all’art. 659 cod. pen. perché, in qualità di titolare della pizzeria omissis , mediante schiamazzi e rumori, prodotti dagli avventori del locale e da lui non impediti, ed abusando degli strumenti di diffusione di musica ad alto volume all’interno del predetto locale, disturbava le occupazioni e il riposo delle persone, in particolare degli occupanti del medesimo stabile ovvero di stabili viciniori. 2. Con un primo motivo lamenta violazione di legge per aver il Tribunale fondato la responsabilità dell’imputato sulla base delle dichiarazioni rese da soggetti tutti residenti nello stesso palazzo, omettendo di considerare che ai fini della configurazione del reato è necessario che il disturbo sia arrecato ad un numero indeterminato di persone, e non ad una o più persone singole nella specie, invece, sarebbe emerso che gli unici soggetti presuntivamente danneggiati dai rumori sarebbero stato solo i condomini occupanti i piani immediatamente superiori della palazzina. 3. Con un secondo motivo lamenta la mancanza o manifesta illogicità della motivazione dopo avere premesso che alla luce del capo d’imputazione il reato contestato sarebbe quello di cui al comma 1 dell’art. 659 cod. pen. mentre, alla luce della motivazione della sentenza, potrebbe farsi riferimento al comma 2 se non all’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 2, della L. n. 447 del 1995, lamenta essere emerso che il disturbo alle persone era arrecato dai volumi alti del televisore in uso nel locale sicché la condotta sarebbe derivata da un’attività strumentale allo svolgimento di una professione o di un mestiere rumoroso a norma appunto del secondo comma dell’art. 659 cod. pen. avrebbe dovuto dunque accertarsi se il televisore fosse strumento indispensabile per l’esercizio dell’attività autorizzata o meno nel primo caso il giudice avrebbe poi dovuto valutare se la condotta si sostanziasse nel mero superamento dei limiti assoluti o differenziali fissati dalle leggi o dai decreti presidenziali in materia e, in forza del principio di specialità, dovesse essere qualificata come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 9 L. n 689 del 1981 e non come contravvenzione. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Se è ben vero che, come reclamato dal ricorrente, la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare Sez.1, n. 47298 del 29/11/2011, dep. 20/12/2011, Iori, Rv. 251406 , tanto che, in caso di attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio da ultimo, Sez. 1, n. 45616 del 14/10/2013, dep. 13/11/2013, Virgillito ed altro, Rv. 257345 I nella specie, però, la sentenza impugnata ha chiaramente valorizzato, al fine di ritenere integrata la condotta, le testimonianze di persone abitanti in edifici adiacenti o in esercizi commerciali adiacenti al locale-pizzeria in oggetto in ordine alla produzione, per tutta la notte, e fino alle quattro - cinque del mattino, sia di rumori e di schiamazzi di avventori sia di musica ad alto volume. Sicché, se anche il Tribunale afferma, in un passaggio della sentenza, che il reato sussisterebbe pur nell’ipotesi di disturbo della sola tranquillità privata il che potrebbe indurre a far ritenere che anche una condotta non idonea a ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone sia rilevante , di fatto l’accertamento operato si è svolto in linea con i criteri probatori richiesti in coerenza con i requisiti oggettivi di sussistenza del reato. 2. Anche il secondo motivo appare manifestamente infondato. Premesso che la condotta come contestata in imputazione è chiaramente riferibile all’ipotesi del comma 1 dell’art. 659 cod. pen., non trattandosi di esercizio di mestiere intrinsecamente rumoroso bensì di vociare e schiamazzi prodotti dagli avventori e di musica prodotta da un televisore sintonizzato su apposito canale, va qui ribadito che risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica da ultimo, tra le altre, Sez. fer., n. 34283 del 28/07/2015, dep. 06/08/2015, Gallo, Rv. 264501 . E di ciò ha dato compiuto conto la motivazione della sentenza che ha confermato, anche nel riferimento ai tratti fattuali, l’indubbia riconducibilità della fattispecie di cui al comma 1 cit Ne consegue la manifesta infondatezza della censura giuridicamente fondata, invece, su di un presupposto ovvero appunto il riferimento al comma 2 dell’art. 659 cod. pen. non correttamente dedotto. 3. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.