Moglie obbligata a una pratica sessuale sgradita, marito condannato

L’uomo è ritenuto responsabile di violenza. Sufficiente un solo episodio, ricostruito grazie al racconto fatto dalla donna. Evidente la volontà di soggiogare ed umiliare la coniuge.

Pratica sessuale non condivisa dalla moglie e il marito viene condannato per violenza. Sufficiente un solo episodio, ricostruito grazie al racconto fatto dalla donna. Cassazione, sentenza n. 30145/17, Sezione Terza Penale, depositata il 15 giugno 2017 . Sofferenza. Clima pessimo tra le mura domestiche. Precario l’equilibrio della coppia, anche a causa di un rapporto litigioso e violento . A finire sotto accusa è il marito, ritenuto responsabile innanzitutto di vessazioni e maltrattamenti a danno della consorte. A rendere il quadro ancora più delicato, però, è un forzato rapporto sessuale subito dalla donna ad opera del coniuge. Quest’ultimo l’ha costretta ad una pratica – sodomizzazione – da lei non voluta né tantomeno accettata. L’episodio è sufficiente per ritenere l’uomo colpevole anche di violenza sessuale . Anche per i giudici della Cassazione, difatti, è evidente la gravità del comportamento tenuto dal marito, che ha sottoposto la moglie ad una pratica sessuale di particolare invasività e ha insistito nel proseguire il proprio appagamento malgrado la moglie lo supplicasse di smettere . Non vi sono dubbi, quindi, sulla assoluta insensibilità dell’uomo a fronte della sofferenza fisica mostrata dalla consorte. Peraltro, tale accadimento , annotano i giudici, va ad inserirsi in un contesto di grave e protratta vessazione fisica e morale e deve ritenersi anch’esso espressivo della volontà del marito di soggiogare ed umiliare la coniuge, anche imponendole pratiche sessuali non condivise e foriere di sofferenze . Tutto ciò conduce alla conferma della decisione presa in Appello condanna del marito a tre anni e mezzo di reclusione per maltrattamenti e violenza sessuale a danno della moglie.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 aprile – 15 giugno 2017, n. 30145 Presidente Amoroso – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 15 giugno 2015, confermava la decisione del Tribunale di Bergamo G.U.P., giudizio abbreviato dell' 11 aprile 2014, che aveva condannato Pe. Bi. alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione con le generiche e ritenuta la continuazione, relativamente ai reati di cui agli art. 81, 572 e 609 bis cod. pen. in danno della moglie Fi. Es. in Filago, dal luglio 2013 e fino al 6 settembre 2013. 2. L'imputato propone, personalmente, ricorso per Cassazione per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att, cod. proc. pen. 2. 1. Carenza ed illogicità della motivazione. La sentenza di appello impugnata nel confermare la decisione di primo grado ha dato totale credibilità alla persona offesa. La violenza sessuale è stata ritenuta provata solo con le dichiarazioni della persona offesa. La stessa riferiva di aver subito un episodio di violenza sessuale e dopo di aver deciso di interrompere ogni rapporto sessuale con il marito. Quindi la stessa ha scelto liberamente quando avere rapporti sessuali, conseguentemente la Corte di appello doveva pervenire all'assoluzione ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. La decisione impugnata poi illogicamente ritiene che la relazione extraconiugale della persona offesa con il cognato non era suffragata da nessun elemento probatorio, invece negli atti c'era la denuncia del ricorrente ai carabinieri del 22 agosto 2013, prima della ritenuta violenza sessuale. 2. 2. Violazione dell'art. 609 bis, comma 3, cod. pen. Nei fatti così come contestati la Corte di appello avrebbe dovuto applicare la minore gravità prevista dal comma 3, dell'art. 609 bis, cod. pen. Si tratta di un solo episodio, nel quale la stessa persona offesa riferiva di non aver opposto resistenza, e di aver poi volontariamente interrotto i rapporti sessuali, riuscendo nell'intento nonostante le continue richieste del ricorrente. Nell'episodio non ci sono stati danni fisici e nessun intervento medico, ed inoltre la libertà sessuale della persona offesa non è stata compromessa, tanto che liberamente interrompeva i rapporti libertà sessuale quindi piena e consapevole . Ha chiesto pertanto l'annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, e per genericità. Inoltre reitera i motivi dell'atto di appello senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata. È inammissibile II ricorso per Cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Ca. e altri, Rv. 26060801 . E' inammissibile il ricorso per Cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato. Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 - dep. 13/03/2014, Lavorato, Rv. 25942501 . La Corte di appello e il Giudice di primo grado ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della parte offesa. Sulla attendibilità della parte offesa si deve rilevare che la sentenza risulta adeguatamente motivata e non presenta vizi logici per un eventuale intervento di legittimità. Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 -dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578 . Le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 -dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 . A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730 . 3. 1. Nel nostro caso le analisi delle due decisioni conformi sono precise, puntuali e rigorose nell'affrontare l’ attendibilità della persona offesa, e individuano anche precisi riscontri anche se non necessari , quali i numerosi interventi della polizia giudiziaria che attivavano anche un ricovero del ricorrente nel reparto di psichiatria dell'ospedale di Bergamo, e relativamente alle numerose aggressioni era stata disposta la misura di allontanamento dalla casa familiare. Inoltre il padre del ricorrente avvisava i carabinieri che il Pe. si stava recando in violazione del divieto presso l'abitazione della moglie, e i Carabinieri lo fermavano lungo la strada in stato di agitazione lo stesso diceva ai Carabinieri di voler essere arrestato perché non rispondeva alle proprie azioni . Conseguentemente la decisione impugnata rilevava che gli episodi denunciati dalla parte offesa erano stati riscontrati ampiamente relativi al rapporto litigioso e violento, e al reato di cui all'art. 572 cod. pen. non contestato sia in appello e sia in Cassazione e quindi la stessa doveva ritenersi attendibile anche sull'episodio di violenza sessuale denunciato. 4. Anche il secondo motivo di ricorso sulla minore gravità, art. 609 bis, comma 3, cod. pen. risulta manifestamente infondato. In tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609 bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità. Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 - dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D, Rv. 26627201 . Nel nostro caso la Corte d'appello ha escluso la diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen. per le modalità estremamente violente di commissione del reato da parte dell'imputato sodomizzazione che ha sottoposto la moglie ad una pratica sessuale di particolare invasività, e che ha insistito nel proseguire il proprio appagamento malgrado la moglie lo supplicasse di cessare, così dimostrando una assoluta insensibilità alla sofferenza fisica pure appalesata. Per di più, tale accadimento va ad inserirsi in un contesto di grave e protratta vessazione fisica e morale e deve ritenersi anch'esso espressivo della volontà di soggiogare ed umiliare la persona offesa, anche imponendole pratiche sessuali non condivise e foriere di sofferenze . La motivazione pertanto risulta adeguata, ed immune da contraddizioni e manifeste illogicità. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione dei presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.