L’autista del Comune intasca 50 euro in buoni carburante: la tenuità del danno non esclude la punibilità

Per l’esclusione del delitto di peculato in applicazione del canone di offensività occorre che il bene oggetto di appropriazione sia privo di rilevanza economica intrinseca.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29471/17 depositata il 13 giugno. Il caso. La Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza di prime cure che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato per peculato per essersi appropriato, in qualità di autista cantoniere del Comune, del controvalore di cinque buoni carburante per una somma complessiva di 50 euro, buoni ricevuti per il rifornimento dei mezzi comunali e convertiti in denaro presso un distributore di benzina. L’imputato impugna la sentenza in Cassazione deducendo l’inconfigurabilità del reato per il modestissimo danno patrimoniale cagionato all’ente e il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323- bis c.p., sempre in relazione alla particolare tenuità del fatto. Tenuità della condotta. Il ricorso non trova condivisione da parte dei Giudici di legittimità che sottolineano come, per l’esclusione del delitto di peculato in applicazione del canone di offensività occorre che il bene oggetto di appropriazione sia privo di rilevanza economica intrinseca, essendo dunque inidoneo a costituire l’oggetto materiale della condotta punita. La fattispecie del peculato d’uso invece risulta non integrata nel momento in cui l’utilizzazione da parte di un pubblico ufficiale, per scopi personali, di beni appartenenti alla P.A. di modestissimo valore. Gli esempi rinvenibili nella giurisprudenza sono diversi è stato escluso il delitto in parola nel caso di un agente di Polizia di Stato che abbia esploso senza necessità un colpo dalla pistola di ordinanza per l’esiguità del valore della cartuccia in dotazione Cass. 47193/04 , allo stesso modo, in un caso di utilizzo del telefono dell’ufficio per fini personali e fuori da necessità di urgenza o specifiche autorizzazioni, è stato escluso il delitto in parola per l’assenza di conseguenze economicamente e funzionalmente significative Cass. SS.UU. n. 19054/12 . Circostanze attenuanti speciali. La Corte coglie poi l’occasione per affermare che la circostanza attenuante speciale in tema di delitti contro la P.A. art. 323- bis c.p. può essere riconosciuta quando il reato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato . Devono dunque essere considerati tutti i parametri oggettivi e soggettivi che consentono di valutare la gravità del fatto con riguardo alle modalità della condotta, al grado di colpevolezza e alla gravità del danno o del pericolo. Tornando al caso di specie, la Corte d’appello ha correttamente applicato i principi summenzionati sottraendosi dunque il provvedimento impugnato ad ogni censura. Per questi motivi la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 marzo – 13 giugno 2017, n. 29471 Presidente Paoloni – Relatore D’Arcangelo Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa in data 20 novembre 2013 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani, che aveva condannato all’esito del giudizio abbreviato D.V.C. alla pena sospesa di un anno e quattro mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. 2. Il D.V. , autista cantoniere del Comune di , è imputato del delitto di peculato per essersi appropriato in data 1 dicembre 2009 del controvalore di cinque buoni carburante, di dieci Euro ciascuno, ricevuti per il rifornimento dei mezzi comunali e convertiti in danaro presso un distributore di benzina in omissis . 3. L’imputato, mediante il ministero dell’avv. D. B., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento deducendo - la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. e, segnatamente, la mancanza, la contraddittorietà e la illogicità della motivazione in ordine alla mancata configurabilità del delitto di cui all’art. 314 cod. pen. in ragione della modestissima entità del danno patrimoniale cagionato la considerazione di tale elemento avrebbe, infatti, dovuto coerentemente condurre la Corte di Appello ad escludere la rilevanza penale della condotta ascritta all’imputato, in quanto il valore della res oggetto di peculato era talmente esiguo da non compromettere l’integrità patrimoniale della Pubblica Amministrazione - il vizio di motivazione relativamente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., in quanto la Corte di Appello aveva riproposto sul punto le medesime argomentazioni del giudice di primo grado, omettendo, tuttavia, di motivare in ordine alla doglianze formulate nell’atto di appello e concentrando la propria valutazione su condotte pregresse, estranee all’ambito della contestazione delineato dal capo di imputazione. 4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi nello stesso dedotti si rivelano manifestamente infondati. 5. Manifestamente infondato si rivela, invero, il primo motivo di ricorso. Nessuna carenza della motivazione è, infatti, ravvisabile sul punto dedotto. La Corte di Appello di Palermo, nell’argomentare il diniego della concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., ha, infatti, escluso che la condotta di peculato di cui si controverte fosse connotata da particolare tenuità e, pertanto, implicitamente, ma nitidamente, ha ritenuto la stessa pienamente idonea ad integrare la soglia della rilevanza penale. Nella sentenza impugnata, pertanto, si esclude la ricorrenza nella specie della radicale non corrispondenza del fatto giudicato al tipo in ragione della propria carenza di lesività. 6. Tale valutazione si rivela, peraltro, pienamente conforme ai principi di diritto costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità sul punto. In ottemperanza al canone di offensività, perché sia escluso il delitto di peculato, occorre, infatti, che il bene oggetto di appropriazione sia privo in sé di rilevanza economica e, quindi, inidoneo a costituire l’oggetto materiale della appropriazione Sez. 6, n. 21867 del 22/03/2001, Ioia, Rv. 219021 Sez. 6, n. 10543 del 7/06/2000, Baldassarre, Rv. 218338 . Il delitto di peculato, infatti, deve essere ritenuto insussistente esclusivamente nelle ipotesi di assenza di intrinseco rilievo economico dell’oggetto dell’appropriazione e di concreta incidenza di quest’ultima sulla funzionalità dell’ufficio o del servizio Sez. 6, n. 42836 del 2/10/2013, Sgroi, Rv. 256686, in una fattispecie relativa all’appropriazione di un pass per disabili, rilasciato a persona poi deceduta ed utilizzata da un vigile urbano . Parimenti non integra la distinta fattispecie del delitto di peculato di uso la utilizzazione da parte del pubblico ufficiale, per scopi personali, ancorché non leciti, di beni appartenenti alla Pubblica Amministrazione di valore estremamente esiguo Sez. 6, n. 47193 dell’11/11/2004, Battaglia, Rv. 230466, con riferimento alla condotta dell’agente di Polizia di Stato che, nell’esplodere senza necessità un colpo della pistola di ordinanza, aveva utilizzato una cartuccia in dotazione . Nel medesimo solco le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che l’utilizzo del telefono di ufficio per fini personali al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, mentre è penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, Vattani, Rv. 255296 Sez. 6, n. 50944 del 04/11/2014, Barassi, Rv. 261416 . La Corte di Appello di Palermo, pertanto, ha fatto buon governo di tali principi, ritenendo la sussistenza del delitto contestato di peculato a fronte della avvenuta appropriazione di una somma di danaro, certamente non elevata, ma pur tuttavia, non priva di rilievo economico. 7. Parimenti manifestamente infondato si rileva il secondo motivo di ricorso. Come ha correttamente rilevato la Corte di Appello di Palermo la concessione della circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 n. 4, cod. pen., non confligge con il diniego di quella di cui all’art. 323-bis cod. pen., in quanto, mentre la prima si riferisce al solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere connotato da particolare tenuità, la seconda postula la considerazione del reato nella sua globalità. Nella sentenza impugnata si rileva, inoltre, non illogicamente come il diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. rinvenga il proprio fondamento nell’aver l’imputato approfittato con pervicacia criminale della propria posizione di consegnatario dei buoni carburante dei veicoli comunali la Corte di appello ha, inoltre, congruamente rilevato come già nella sentenza di primo grado fosse stato ritenuto ostativo alla concessione della attenuante il comportamento reiterato nel tempo dell’imputato . Ancorché la imputazione abbia ad oggetto esclusivamente il peculato di cinquanta Euro posto in essere in data 1 dicembre 2009, i giudici di merito hanno accertato come l’operazione di conversione in danaro dei buoni carburante, secondo quanto riferito dal gestore del distributore di benzina A.S. , era stata reiteratamente posta in essere dal D.V. da circa tre anni per la somma di Euro venti/trenta circa, ogni tre/quattro giorni . Nessun rilievo può, inoltre, assumere il mancato esercizio dell’azione penale per tali episodi, in quanto secondo un risalente ed incontrastato orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli elementi di valutazione per la quantificazione della pena da irrogare possono essere tratti liberamente da condotte e situazioni diverse da quelle strettamente inerenti al reato cui si riferisce la pena da determinare Sez. 2, n. 6372 del 10/02/1981, De Pedis, n. 149575 . 8. Tale argomentazione si rivela, del resto, oltre che congrua, pienamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto. In tema di delitti contro la Pubblica Amministrazione, la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre, infatti, quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato ex plurimis Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501 Sez. 6, n. 7919 del 22/02/2012, Cinardo, Rv. 252432 . La valutazione in ordine alla sussistenza della particolare tenuità del fatto deve, pertanto, essere compiuta alla stregua di tutti i parametri, oggettivi e soggettivi, che, secondo l’art. 133, comma primo, cod. pen. consentono di valutare la gravità del fatto , avendo riguardo, in particolare, alle modalità della condotta, al grado di colpevolezza ed alla gravità del danno o del pericolo. Nella specie, peraltro, la Corte di Appello di Palermo ed il Tribunale di Trapani avevano già considerato il danno patrimoniale come di speciale tenuità ai sensi dell’art. 62 n. 4 cod. pen. e valorizzato, nella concessione delle circostanze attenuanti generiche, l’avvenuto risarcimento del danno patrimoniale post delictum e, pertanto, gli stessi elementi non potevano giustificare anche l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen L’art. 68 cod. pen., del resto, espressamente esclude la possibilità di assumere il medesimo elemento a fondamento della concessione di più circostanze attenuanti. 9. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, conseguentemente, il ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , il ricorrente deve, inoltre, essere condannato a versare la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.