Immobile sequestrato al padre per i reati del figlio: insufficiente la prova della conoscenza dei fatti

E’ illegittimo il sequestro dell’immobile del padre per l’esercizio abusivo della professione del figlio non è sufficiente la presunzione di conoscenza del reato da parte del genitore.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 29174, del 12 giugno 2017, ha affermato che deve essere restituito l’immobile sequestrato al padre per l’esercizio abusivo della professione del figlio. La vicenda. Il GIP pronunciando quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato ai sensi degli artt. 676 - 667, comma 4, c.p.p., l'istanza presentata da un proprietario per la restituzione dell'immobile confiscato nel procedimento a carico del figlio, imputato di esercizio abusivo della professione di medico ortopedico, di podologo e di odontotecnico. A sostegno della decisione, affermava che l'immobile apparteneva all'imputato e che comunque il richiedente, pur essendone l'intestatario formale, era presumibilmente a conoscenza dell'uso illecito dell'immobile da parte del figlio. Ai fini della confisca, osservava, era sufficiente anche la sola colpa, elemento questo sussistente quanto meno sotto il profilo della conoscibilità dell'uso che dell'immobile era fatto, mentre era irrilevante la conoscenza che in esso si svolgessero anche attività lecite. Avverso tale sentenza il proprietario dell’immobile è ricorso in Cassazione il ricorrente non era mai stato indagato e nessun elemento dimostrava che avesse agevolato la commissione del reato. Esercizio abusivo della professione medica. Per la Corte di Cassazione il ricorso è fondato. Il giudice dell'esecuzione ha rigettato l'istanza proposta dal ricorrente, legittimo proprietario del bene, richiamando quanto accertato nell'ambito del processo a carico del figlio imputato di aver esercitato abusivamente la professione medica nell'immobile. Detto giudice, pur avendo affermato che l'immobile apparteneva all'imputato, non ha disconosciuto che il titolare del diritto di proprietà era il padre, ed ha ritenuto legittima la confisca perché dalla sentenza si evinceva che il richiedente era presumibilmente a conoscenza dell'uso illecito dell'immobile da parte del figlio. Come hanno affermato le Sezioni Unite della Cassazione, con principio valido anche per i diritti reali di proprietà la giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, è consolidata nel senso che nessuna forma di confisca può determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito . Nella citata sentenza sono state, altresì, precisate le coordinate entro cui nella situazione data deve muoversi il giudice dell'esecuzione i terzi che vantino diritti reali hanno l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza” e di estraneità al reato”, dalle quali dipende l'operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato . L'ordinanza va, quindi, annullata con rinvio al giudice dell'esecuzione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 febbraio – 12 giugno 2017, n. 29174 Presidente Di Tomassi – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 21 settembre 2015 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Massa, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato ai sensi degli artt. 676 - 667, quarto comma, cod. proc. pen., l’istanza presentata da I.C. di restituzione dell’immobile confiscato nel procedimento a carico del figlio R. , imputato di esercizio abusivo della professione di medico ortopedico, di podologo e di odontotecnico. A sostegno della decisione, affermava che l’immobile apparteneva all’imputato e che comunque il richiedente, pur essendone l’intestatario formale, era presumibilmente a conoscenza dell’uso illecito dell’immobile da parte del figlio. Ai fini della confisca, osservava, era sufficiente anche la sola colpa, elemento questo sussistente quanto meno sotto il profilo della conoscibilità dell’uso che dell’immobile era fatto, mentre era irrilevante la conoscenza che in esso si svolgessero anche attività lecite. 2. Avverso detto provvedimento, I.C. , a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione sostenuto da due motivi e ne chiede l’annullamento. 2.1. Violazione dell’art. 240, primo e terzo comma, cod. pen. e travisamento dei dati processuali e documentali. Osserva la difesa che i locali in cui era esercitata l’attività abusiva erano stati concessi dal ricorrente al figlio a titolo gratuito, ma questa situazione non faceva venir meno la titolarità del diritto. Il ricorrente non era mai stato indagato e nessun elemento dimostrava che avesse agevolato la commissione del reato. Richiama la giurisprudenza di legittimità e Europea formatasi sul punto della confisca nei confronti dei terzi incolpevoli. 2.2. Violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. e connesso vizio motivazionale, avendo il giudice motivato mediante mero rinvio alla sentenza di primo grado, che a sua volta richiamava altri atti del processo di merito non conosciuti dal terzo estraneo al reato. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione nella sua requisitoria ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento, ritenendo assertiva l’affermazione del giudice dell’esecuzione che il ricorrente fosse presumibilmente consapevole dell’uso illecito dell’immobile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono. Il giudice dell’esecuzione, richiesto della restituzione dell’immobile oggetto di confisca in sede di cognizione, ha rigettato de plano l’istanza proposta dal ricorrente I.C. , legittimo proprietario del bene, richiamando quanto accertato nell’ambito del processo a carico del figlio R. , imputato di aver esercitato abusivamente la professione medica nell’immobile. Detto giudice, pur avendo affermato che l’immobile apparteneva all’imputato, non ha disconosciuto che il titolare del diritto di proprietà era il padre, ed ha ritenuto legittima la confisca perché dalla sentenza si evinceva che il richiedente era presumibilmente a conoscenza dell’uso illecito dell’immobile da parte del figlio. 2. Secondo il costante orientamento di questa Corte Sez. 3, n. 47473 del 02/10/2013 - dep. 29/11/2013, Corsano, Rv. 258078 , l’adozione del procedimento de plano in base al combinato disposto degli artt. 676 - 667, comma 4, cod. proc. pen., si riferisce al caso in cui la confisca è stata disposta dal giudice dell’esecuzione e non al caso in cui al giudice dell’esecuzione si è chiesto di provvedere su una confisca già ordinata con sentenza. In tale ultimo caso, infatti, il giudice dell’esecuzione deve procedere a norma dell’art. 666 cod. proc. pen., pronunciando decreto, nell’ipotesi di inammissibilità dell’istanza ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, ovvero negli altri casi pronunciando ordinanza, ai sensi del comma 6 dello stesso articolo, nel contraddittorio delle parti. La ragione è evidente l’ordine di confisca contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna fa stato inter partes pertanto, quando il provvedimento risulta disposto illegittimamente sussistendo la causa impeditiva prevista dall’art. 240 cod. pen., comma 3, il soggetto estraneo al reato, e perciò rimasto estraneo al procedimento penale, al quale la cosa confiscata appartiene può chiedere di invalidare quel capo della sentenza ed ottenere la revoca della misura di sicurezza inflitta all’imputato condannato Sez. 5, n. 15394 del 06/03/2014, Russo, Rv. 260218 . Come hanno affermato le Sezioni Unite n. 9 del 1999, Bacherotti, con principio valido anche per i diritti reali di proprietà la giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, è consolidata nel senso che nessuna forma di confisca può determinare l’estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all’illecito . Nella citata sentenza sono state altresì precisate le coordinate entro cui nella situazione data deve muoversi il giudice dell’esecuzione i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza e di estraneità al reato , dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato . A tal fine, quindi, il terzo, pur non potendo contestare le ragioni della confisca sulle quali si è formata una preclusione processuale, può far valere il suo diritto alla restituzione del bene confiscato in conseguenza del suo diritto di proprietà e dell’assenza di ogni addebito di negligenza Sez. 1, Sentenza n. 47312 del 2011 , attivando il procedimento di esecuzione ai sensi dell’art. 666 c.p.p. che prevede la piena attuazione del contraddittorio co. 4 e la possibilità di completa acquisizione probatoria co. 5 e art. 185 d. att. in ordine alla quale, in effetti, si esalta l’esercizio del diritto di difesa Sezioni Unite n. 29022 del 17/7/2001, Derouach, rv. 219221 . 2. L’inosservanza della procedura camerale in contraddittorio prevista dall’art. 666 cod. proc. pen. ha impedito al ricorrente, terzo estraneo al reato, il corretto esercizio del diritto di difesa e costituisce causa di nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento Sez. 1, Sentenza n. 21343 del 2008 Sez. 1, n. 89 del 14/01/1992 - dep. 04/02/1992, Bagni, Rv. 189143 . Dal suo canto, il giudice dell’esecuzione, che esercita sempre la giurisdizione di merito, per giustificare la confisca nei confronti del terzo non può limitarsi a richiamare gli accertamenti compiuti nel corso del giudizio penale, ma deve procedere ad autonomo accertamento, analogo a quello preteso per l’accertamento giudiziale di qualsiasi fatto di giuridica rilevanza, indicando gli elementi fattuali che dimostrino la non estraneità del terzo al reato. L’ordinanza va quindi annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione che provvederà a nuovo giudizio che, pur con ampia libertà di valutazione, tenga conto dei rilievi sopra espressi. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al GIP del Tribunale di Massa.