L’interesse alla rielezione non fa la concussione

La costrizione dell’organo politico nei confronti di un pubblico funzionario al fine di compiere opere od iniziative amministrative in limine legis, quando funzionali a soddisfare un interesse pubblico al soddisfacimento di una manifestata promessa elettorale, non consente l’integrazione del fatto tipico della concussione ex art. 317 c.p. La zona grigia” dell’interesse politico impedisce il perfezionamento di un fatto di reato. L’interesse del politico alla successiva rielezione non costituisce interesse personale penalmente rilevante.

Così la Cassazione, Sesta Sez. Penale, n. 28257/2017, depositata il 7 giugno. La trafila processuale. Imputato assessore di un ente locale aveva tentato di coartare un pubblico funzionario al fine di consentire lo svolgimento di un importante mercato paesano. All’assessore, a seguito di intercettazioni telefoniche, veniva contestato il tentativo di concussione ai sensi degli artt. 56 e 317 c.p. avrebbe minacciato il pubblico dipendente di segnalarlo in Procura nel caso questi non avesse consentito una manifestazione ampiamente promessa alla cittadinanza durante la campagna elettorale. Il Giudice per le indagini preliminari aveva mosso la misura cautelare interdittiva dei pubblici uffici ai sensi dell’art. 28 c.p. Il tribunale in appello ex art. 310 c.p. aveva revocato la misura, sulla scorta dell’assenza di un interesse specificamente personale al compimento dell’illecito da parte dell’assessore nonché della discutibilità tecnica della condotta del recalcitrante pubblico funzionario. Il Pubblico ministero presso il Tribunale ricorre in Cassazione, che respinge. L’interesse politico depura l’illiceità della condotta. S’incrociano più profili d’accertamento giudiziale, in ordine alla coscienza dell’illiceità della condotta – fino al grado del dolo generico richiesto dal reato di concussione – ed all’integrazione di ogni elemento costitutivo la condotta ex art. 317 c.p In particolare, gli Ermellini hanno appurato che lo svolgimento della manifestazione in oggetto fosse stata ampiamente assicurata nel corso della campagna elettorale e fosse stata inserita all’interno del programma amministrativo di Giunta – il quale viene in via ufficiale depositato presso gli uffici pubblici nel corso della competizione elettorale – della lista poi risultata vincente e di appartenenza dell’assessore indagato. Di seguito, ancora i giudici deducono, non risulta leso il bene giuridico al buon andamento degli uffici ex art. 97 Cost., il cui pregiudizio costituisce oggetto di valutazione ulteriore e superiore alla verifica dell’integrazione di ogni elemento costitutivo della fattispecie tipica. L’aurea politica e programmatica delle iniziative e delle procedure amministrative, in breve, impediscono la piena realizzazione di un interesse specificamente personale dell’agente di reato ed, in particolare, risultano confarsi all’interesse generale dei cittadini allo svolgimento delle iniziative amministrative. Ancora più in sintesi, l’interesse alla rielezione del politico, quando collima con la cura dell’interesse pubblico, impedisce l’integrazione del disvalore della condotta e dunque del reato. Non costituisce concussione minacciare la denuncia al pubblico funzionario. Altresì, occorre circostanziare la pressione dell’agente di reato sul soggetto passivo. Se da un lato è noto che la minaccia rileva quando idonea a coartare la volontà del soggetto passivo – c.d. profilo funzionale della condotta ex art. 317 c.p. -, va in ogni caso verificato l’impatto su questi della costrizione subita. Nel caso andrebbe esclusa, per l’esperienza e la dovizia amministrativa del funzionario pubblico e la sussistenza di più ragioni tecniche che prestavano conforto alla scelta di non consentire la celebrazione del mercato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 maggio – 7 giugno 2017, n. 28257 Presidente Ippolito – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 22/9/2016 il Tribunale di Napoli, in sede di appello cautelare, ha revocato la misura interdittiva della sospensione dalle funzioni di assessore del Comune di San Giuseppe Vesuviano, che era stata applicata a G.E. dal G.I.P. del Tribunale di Nola in data 1/7/2016 per il reato di cui agli artt. 56, 317 cod. pen., nel presupposto che avesse esercitato pressioni minacciose nei confronti del funzionario A.E. , per convincerlo a firmare l’autorizzazione, da ritenersi illegittima, allo svolgimento della manifestazione omissis . 2. Ha presentato ricorso il P.M. presso il Tribunale di Nola, deducendo mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Relativamente all’osservazione che la Procura non aveva accertato e documentato l’illegittimità dell’autorizzazione, il ricorrente deduce travisamento del fatto, a fronte dell’estratto della convenzione con le Ferrovie dello Stato, relativa alla concessione in comodato d’uso dell’area, e delle conversazioni intercettate, dalle quali emergeva l’illegittimità della procedura seguita per l’ammissione delle istanze di partecipazione alla Fiera, al di fuori di qualsiasi procedura pubblicistica. Relativamente all’assunto che l’abuso del pubblico ufficiale non avrebbe potuto configurarsi per l’assenza del dolo, il ricorrente deduce manifesta illogicità, richiamando le conversazioni intercettate da cui emergeva la consapevolezza dell’illegittimità o almeno l’indifferenza di fronte alla paventata possibilità che l’ordinanza volta a consentire lo svolgimento della fiera non potesse essere legittimamente adottata. Sottolinea il ricorrente che incongruamente l’ordinanza impugnata aveva prospettato che le conversazioni rappresentassero il legittimo esercizio del potere dell’assessore di sollecitare il funzionario a compiere tempestivamente il proprio dovere. Manifestamente illogica era inoltre la conclusione che non fosse prospettabile alcuna reale ritorsione nei confronti del funzionario, posto che egli conservava la propria sfera di autonomia e peraltro non aveva rilievo che fosse a conoscenza della pianificazione dell’evento da tempo, a fronte del fatto che aveva ricevuto le domande di partecipazione solo da pochi giorni. Manifestamente illogica e frutto di travisamento si sarebbe dovuta considerare l’argomentazione secondo cui la prospettazione del G. di rivolgersi alla Procura non avrebbe potuto intendersi come ritorsione verso l’A. , posto che le conversazioni rivelavano che il G. aveva espresso l’intendimento di denunciarlo e di fargli rendere conto alla cittadinanza e al Sindaco. Manifestamente illogica era da ritenersi altresì l’argomentazione circa l’insussistenza dell’utilità, richiesta dalla fattispecie, posto che, a fronte della genericità del programma politico approvato, le insistenze del G. erano volte a garantire lo specifico evento per la data fissata, rispetto al quale egli si era personalmente e pubblicamente esposto, cosicché le pressioni avrebbero dovute intendersi come volte a conseguire un obiettivo di natura personalistica e non esclusivamente un vantaggio per la pubblica amministrazione, in particolare garantirsi un proprio prestigio personale e la fiducia dell’elettorato, come attestato dalle conversazioni richiamate e trascritte. Considerato in diritto 1. Deve innanzi tutto rilevarsi che prima dell’udienza i difensori del G. , Avv. Sergio Cola e Avv. Arturo Cola, avevano fatto pervenire dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze, proclamata dall’Organismo di categoria. Il Procuratore Generale in udienza ha espresso parere contrario ad un rinvio del procedimento per tale causa, concludendo nel merito. L’avviso del Procuratore Generale merita piena condivisione. 1.1. Va al riguardo osservato che, come risulta da una serie di pronunce della Corte di cassazione nella sua più autorevole composizione, l’adesione all’astensione dalle udienze costituisce espressione di un diritto di rilievo costituzionale del difensore, che trova attualmente la sua disciplina nell’apposito codice di autoregolamentazione, dichiarato idoneo dalla Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, codice che costituisce fonte di diritto oggettivo, contenente norme aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare, vincolanti erga omnes Cass. Sez. U. n. 40187 del 27/3/2014, Lattanzio, rv. 259926 . Il codice vale dunque a delineare i presupposti formali e le modalità di esercizio del diritto di astensione, dettando norme che sono volte ad assicurare un adeguato contemperamento con altri valori di pari rango, secondo quanto desumibile dalla legge 146 del 1990 e dalla sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale Cass. Sez. U. n. 40187 del 27/3/2014, Lattanzio, rv. 259927 . Ciò significa che il diritto all’astensione sussiste nei limiti in cui il codice ne garantisce l’esercizio, dovendosi escludere che il difensore possa legittimamente astenersi al di fuori dei presupposti e delle condizioni ivi disciplinate. In tale quadro è stato altresì rilevato che il diritto all’astensione sussiste anche nei procedimenti e processi nei quali la presenza del difensore non si configura come obbligatoria, nel rispetto delle condizioni al riguardo previste Cass. Sez. U. n. 15232 del 30/10/2014, dep. nel 2015, Tibo, rv. 263022 . 1.2. Orbene, il codice di autoregolamentazione all’art. 4 disciplina le prestazioni indispensabili, rispetto alle quali non può essere fatto valere il diritto all’astensione. Tale norma con riguardo alla materia penale stabilisce che l’astensione non è consentita in riferimento a all’assistenza al compimento degli atti di perquisizione e sequestro, alle udienze di convalida dell’arresto e del fermo, a quelle afferenti misure cautelari, agli interrogatori ex art. 294 del codice di procedura penale, all’incidente probatorio ad eccezione dei casi in cui non si verta in ipotesi di urgenza, come ad esempio di accertamento peritale complesso, al giudizio direttissimo e al compimento degli atti urgenti di cui all’art. 467 del codice di procedura penale, nonché ai procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di astensione, ovvero, se pendenti nella fase delle indagini preliminari, entro trecentosessanta giorni, se pendenti in grado di merito, entro centottanta giorni, se pendenti nel giudizio di legittimità, entro novanta giorni b nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l’imputato chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall’art. 420-ter, comma 5 introdotto dalla legge n. 479/1999 del codice di procedura penale, che si proceda malgrado l’astensione del difensore. In tal caso il difensore di fiducia o d’ufficio, non può legittimamente astenersi ed ha l’obbligo di assicurare la propria prestazione professionale . Come risulta dalla piana analisi del testo sono dunque delineate due categorie di prestazioni indispensabili, la prima connotata dal dato ontologico dell’urgenza dell’attività da compiere in funzione del conseguimento di peculiari esigenze di tipo cautelare, la seconda dalla necessità di assecondare il primario diritto dell’imputato che si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione. Nell’ambito della prima categoria sono specificamente contemplate le udienze afferenti misure cautelari , riferite cioè alla trattazione della materia cautelare, a prescindere dallo status custodiae di un soggetto indagato ciò ben si spiega in ragione del fatto che, ove vengano in considerazioni misure cautelari, in corso di esecuzione o comunque devolute alla cognizione del Giudice, è necessario salvaguardare sia le esigenze del soggetto che vi sia eventualmente sottoposto sia nel contempo le finalità che le misure fisiologicamente perseguono, cioè la funzione cautelare, tanto più alla luce della vigente disciplina delle misure personali, che particolarmente sottolinea la necessità che le esigenze poste alla base della misura siano concrete e attuali. Il riferimento alle misure cautelari dunque non postula l’attualità della sottoposizione ad una misura cautelare custodiale, ma semplicemente assume valore descrittivo di un dato ontologico, riguardante l’oggetto dell’udienza che deve svolgersi, nella quale potrebbero venire in discussione misure cautelari di vario genere, anche non custodiali. Ciò significa dunque che tutte le udienze dedicate a procedimenti di riesame o di appello cautelare, comprese quelle concernenti le ulteriori fasi di impugnazione, rientrano nella sfera di operatività del descritto limite al diritto all’astensione. Non può per contro invocarsi quanto previsto con riguardo alla seconda tipologia di prestazioni indispensabili in questo caso lo status custodiae dell’imputato costituisce un limite alla facoltà di astensione del difensore, in quanto quell’imputato abbia manifestato la volontà contraria. Proprio la circostanza che sia autonomamente previsto il caso dell’imputato in stato di custodia cautelare conferma che la prima categoria di prestazioni indispensabili non è legata a quel presupposto e non interferisce con esso. Con riguardo al tema delle misure cautelari personali tali principi trovano riscontro in conformi arresti della Corte di cassazione si rinvia in particolare a Cass. Sez. U. n. 26711 del 30/5/2013, Ucciero, rv. 255346, che, proprio con riguardo a giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 311 cod. proc. pen. ha affermato che nei procedimenti relativi a misure cautelari personali non è consentita l’astensione dalle udienze parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria, in quanto l’art. 4 del Codice di Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, avente valore di normativa secondaria, esclude espressamente che l’astensione possa riguardare le udienze penali afferenti misure cautelari . Peraltro analoghi principi sono stati coerentemente affermati, sulle stesse basi ermeneutiche, anche con riguardo alle misure cautelari reali Cass. Sez. 2, n. 50339 del 3/12/2015, Ortolan, rv. 265527 , a conferma della ratio sottesa all’art. 4 del codice di autoregolamentazione. 1.3. Discende da ciò che la dichiarazione di adesione all’astensione non avrebbe potuto suffragare il valido esercizio del diritto all’astensione, in quanto veniva in rilievo nel caso di specie il ricorso del P.M. avverso un’ordinanza emessa in sede di appello cautelare, a fronte di misura cautelare di tipo interdittivo, in precedenza applicata a G.E. di qui, in conformità con le richieste del Procuratore Generale, la presa d’atto dell’insussistenza dei presupposti per il rinvio. 2. Il ricorso è inammissibile, in quanto è volto a riproporre gli assunti sui quali si era fondata la richiesta di applicazione della misura interdittiva e si risolve nell’illustrazione di una lunga sequenza di profili di merito, rappresentati soprattutto da conversazioni intercettate, che non possono tuttavia essere dedotti in sede di legittimità, ben oltre i limiti dello scrutinio demandato alla Corte di cassazione. Non si intende affermare che l’interpretazione dei fatti offerta dal Tribunale sia l’unica possibile, ma deve comunque rimarcarsi che in sede di legittimità deve verificarsi solo se la lettura fornita dal Giudice di merito presenti fratture logiche e manifesti aspetti di arbitrarietà e manifesta illogicità. 3. Seguendo tale canone, deve rilevarsi che il Tribunale ha in realtà dato adeguata giustificazione della valutazione degli aspetti decisivi della vicenda. Ai fini della configurabilità del tentativo di concussione sarebbe stato invero necessario che fosse attestata la gravità indiziaria con riguardo alle indebite pressioni minacciose esercitate dal G. nei confronti del funzionario A. e alla duplice consapevolezza del G. di agire oltre i limiti consentiti in ragione dell’illegittimità della richiesta o comunque delle modalità utilizzate e di perseguire l’obiettivo di un vantaggio di tipo personale, non inquadrabile nel pubblico interesse. 4. Orbene, il Tribunale ha segnalato che non era stata data sicura prova dell’illegittimità dell’autorizzazione che avesse consentito lo svolgimento della omissis nell’area data in comodato dalle Ferrovie dello Stato non si sarebbe potuto parlare di un’ingerenza indebita nei confronti del funzionario in rapporto alla predisposizione degli adempimenti amministrativi necessari per dare attuazione alle scelte operate dalla Giunta comunque non era possibile affermare che il G. avesse insistito per la realizzazione di quanto necessario allo svolgimento del mercatino di Natale per il conseguimento di una propria personale utilità politica piuttosto che per il raggiungimento di uno degli obiettivi che l’amministrazione si era data. Il ricorrente contrappone a tali passaggi elementi desunti dal compendio indiziario, alla resa dei conti proponendone una lettura alternativa. 5. Quanto all’illegittimità dell’autorizzazione, rientrante di per sé nelle competenze del funzionario A. , va subito rimarcato che il tema ha formato oggetto di una generica analisi da parte dei Giudici di merito il G.I.P. ha indicato tre profili di illegittimità, facendo leva soprattutto sulla necessità di un bando pubblico , mentre il P.M. ricorrente ha fatto leva sul tenore, per vero non univoco, del contratto di comodato, che vietava in zona lo sfruttamento commerciale e pubblicitario, e sul mancato ricorso alla pubblicazione di un bando ai fini dell’acquisizione delle domande dei partecipanti, quando nel caso di specie si era proceduto a contatti personali con singoli commercianti interessati. 6. Sta di fatto che ai fini del decidere è rilevante in realtà soprattutto il quadro delle consapevolezze e degli intendimenti del G. nel rapporto con il funzionario recalcitrante. Non per caso il Tribunale ha segnalato a tal fine come lo stesso G.I.P. abbia sottolineato che se anche il funzionario aveva errato nell’interpretazione della normativa, sarebbero dovute comunque reputarsi indebite le pressioni esercitate dall’Assessore ai fini dell’adozione di un provvedimento che il funzionario reputava illegittimo. 6.1. In tale quadro è stato rilevato che l’anno precedente, quando vi era una diversa amministrazione, la Fiera si era svolta senza problemi e che secondo i desiderata dell’Assessore avrebbe dovuto replicarsi analogamente. Ma era intervenuto un esposto dell’ex-sindaco ad ingenerare perplessità nel Comandante della Polizia municipale. Orbene, il Tribunale ha osservato sul punto come il funzionario A. avesse mostrato di volersi confrontare con l’Assessore, recependone gli indirizzi, tanto da prospettare la necessità di dire al Comandante che si sarebbe fatto come l’anno precedente e da continuare a rassicurare il G. nel corso di una serie di conversazioni, nonostante i problemi insorti pagg. 9 e 10 dell’ordinanza impugnata . Risulta in tale prospettiva coerente e non manifestamente illogico l’assunto del Tribunale che in concreto non si sarebbe potuto parlare di ingerenza indebita dell’Assessore infatti nell’ordinanza impugnata si dà conto specificamente del rapporto intercorso con il funzionario, delle sollecitazioni rivoltegli e degli inviti a risolvere i problemi con il Comandante della Polizia municipale, fermo restando che il funzionario era preposto all’ufficio comunale chiamato a realizzare le scelte della Giunta nel settore commerciale, cioè nell’articolazione rientrante nelle competenze di indirizzo dell’Assessore, e che tra quelle scelte vi era anche la realizzazione del mercatino, come al funzionario era ben noto da tempo. In altre parole non può dirsi arbitraria l’affermazione del Tribunale secondo cui l’Assessore agiva al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi e che la sua doglianza era riferita al fatto che il funzionario non si adoperasse tempestivamente per far sì che la Fiera potesse svolgersi, sebbene lo svolgimento della stessa fosse stato menzionato anche nella relazione sullo stato di attuazione degli obiettivi redatta dal funzionario A. nel mese di novembre del 2015. 6.2. D’altro canto il Tribunale ha altresì rilevato come i riferimenti dell’Assessore alla volontà di denunciare i fatti alla Procura della Repubblica e ai provvedimenti che sarebbero stati presi in caso di mancato svolgimento del mercatino, pur conditi da espressioni aspre, non potessero assumere altro significato che quello di sollecitare il funzionario a fare tutto il possibile per assicurare la realizzazione della manifestazione in particolare non è arbitrario e illogico l’assunto che la prospettazione di quella denuncia non avesse il significato di una indebita minaccia, espressa con intento ritorsivo, posto che, se riferita a quanto avvenuto l’anno precedente, si sarebbe dovuto considerare che l’A. non era a quell’epoca responsabile di quell’ufficio, e, se riferita anche o solo al mancato rilascio dell’autorizzazione per la manifestazione programmata, ciò si sarebbe posto in contrasto con l’assunto accusatorio della piena consapevolezza da parte dell’Assessore dell’illegittimità della procedura. In tal modo, al di là dell’oggettiva illegittimità o meno dell’autorizzazione, rileva in modo decisivo la circostanza segnalata dal Tribunale che nei rapporti con l’A. il G. aveva perseguito un obiettivo, rientrante nella sfera dei suoi compiti fiduciari di attuazione del programma di Giunta. Gli argomenti del P.M. ricorrente si contrappongono su tali punti in termini alternativi e non valgono ad evidenziare reali profili di inadeguatezza e incompletezza delle valutazioni di merito del Tribunale, proprio in ragione del significato attribuibile al tipo di sollecitazioni provenienti dal G. , pur accompagnate da espressioni talvolta astiose ed aspre. 7. Va infine osservato come il ricorso presenti analoghi vizi in ordine al tema del carattere personale o meno del vantaggio perseguito dal G. . Il P.M. ricorrente ha invero cercato di accreditare la tesi del conseguimento di un risultato utile dal punto di vista del prestigio personale e politico dell’Assessore al cospetto dell’elettorato ma sul punto il Tribunale ha osservato come l’indubbio valore dell’evento in termini di immagine e consenso politico non valesse a dimostrare che egli avesse agito proprio in funzione di tale risultato, quando la realizzazione del mercatino natalizio era stato incluso tra gli obiettivi che l’amministrazione comunale si era data. Nel ricorso si deduce la genericità del programma e la circostanza che fosse stato già diffuso un volantino pubblicitario relativo alla manifestazione, segnalandosi inoltre le conversazioni nelle quali l’Assessore richiamava la circostanza di essersi personalmente impegnato ad assicurare lo svolgimento della fiera. Ma a ben guardare tali argomenti sono inidonei per due ordini di ragioni in primo luogo si risolvono nella diretta prospettazione alla Corte di cassazione di elementi inerenti al merito, pretendendosi dalla stessa Corte un diretto apprezzamento del loro significato nel quadro della ricostruzione complessiva della vicenda in secondo luogo non considerano che il programma di Giunta, pur genericamente formulato, implicava comunque la realizzazione del mercatino natalizio, ciò di cui lo stesso A. , come già rilevato, era ben consapevole, dovendosi dunque ritenere che la realizzazione del mercatino fosse stata preordinatamente considerata di per sé rispondente all’interesse pubblico. Non si trattava dunque in questo caso di valutare se l’iniziativa fosse qualificata da quel tipo di interesse, giacché il riconoscimento dello stesso aveva preceduto l’attuazione dell’iniziativa. È stato del resto affermato che deve essere esclusa la sussistenza del reato quando la prestazione promessa od effettuata dal soggetto passivo, a seguito di induzione o costrizione da parte dell’agente, giovi esclusivamente alla P.A. e rappresenti una utilità per il perseguimento dei relativi fini istituzionali, poiché in tal caso non si determina lesione per l’oggetto giuridico del reato buon andamento della P.A. , e per altro verso il fatto manca di tipicità, non potendosi l’agente identificare nell’Ente e non potendo questo - dato il rapporto di rappresentanza organica che lo lega al funzionario operante - considerarsi alla stregua di terzo destinatario della prestazione promessa od effettuata Cass. Sez. 6, n. 32237 del 13/3/2014, Novi, rv. 260427 . Si è inoltre nella stessa linea segnalato che nel reato di concussione il soggetto passivo è individuabile in un altro pubblico ufficiale il quale può venirsi a trovare rispetto all’agente in posizione di inferiorità psichica soprattutto se si verte nell’ambito di un rapporto gerarchico logicamente è necessario che il soggetto attivo operi per fini estranei alla pubblica amministrazione e, abusando della propria posizione di supremazia, persegua scopo di carattere personale, sia diretto che indiretto Cass. Sez. 6, n. 1894 del 9/1/1997, Raimondo, rv. 207522 . Risulta dunque pienamente coerente con tali principi l’assunto che il comportamento del G. non fosse stato ispirato dall’intendimento di conseguire un fine estraneo alla pubblica amministrazione, rientrando l’obiettivo perseguito nel programma della Giunta, per la parte di specifica competenza dell’Assessorato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.