Aiutino all’amico che deve passare il test per ottenere la patente: condannati

La condotta di chi procuri lavoro altrui, punibile ai sensi dell’art. 2 l. n. 475/1992, è configurabile anche laddove l’agente, attraverso una comunicazione telefonica, abbia fornito all’esaminando le risposte dell’esame teorico per l’ottenimento della patente di guida.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26438/17 depositata il 26 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Milano riqualificava la condotta contestata a due imputati a titolo di truffa quale delitto ex art. 2 l. n. 475/1992 Repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche , confermando la pena inflitta in prime cure. Dalla ricostruzione della vicenda era emerso che, durante lo svolgimento della prova teorica per il conseguimento della patente di guida i due, posizionati all’esterno dell’aula, avevano comunicato via telefono con un terzo soggetto, dotato di auricolari e microfono occultati sotto a cappello e cappotto – nonostante la stagione estiva -, per consentirgli di superare l’esame. Avverso la condanna d’appello i due ricorrono in Cassazione. Reato tentato o consumato? Il ricorso lamenta sostanzialmente la mancata configurazione del mero tentativo di reato. Sul punto la Corte scioglie subito ogni dubbio affermando che il delitto contestato era incontestabilmente giunto a consumazione posto che l’art. 2 l. n. 475/1992 punisce chi procura lavori altrui e dunque, nel nostro caso, la condotta punibile è la formulazione delle risposte al questionario che non erano state elaborate dall’esaminando. Il conseguimento del titolo, e dunque della patente, si pone come passaggio conclusivo della serie causale che va a costituire un’aggravante della condotta già perfezionatasi, non essendo nemmeno necessario che il soggetto esaminato abbia presentato alla commissione la scheda d’esame. Ugualmente irrilevante è il fatto che la condotta si era verificata sotto il controllo delle forze dell’ordine che intervenendo avevano impedito la consegna dell’elaborato dell’esaminando, iniziativa che non aveva comunque evitato l’illecito passaggio di informazioni.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 marzo – 26 maggio 2017, n. 26438 Presidente Bruno – Relatore Scarlini Ritenuto in fatto 1 - Con sentenza del 18 aprile 2016, la Corte di appello di Milano riqualificava la condotta ascritta a P.R. e B.M. a titolo di truffa come delitto previsto dall’art. 2, commi 1 e 2, L. 19/04/1925 n. 475 e confermava le pene già inflitte dal locale Tribunale, che aveva, a sua volta, riqualificato le condotte ai sensi degli artt. 48 e 479 cod. pen., per avere i predetti imputati utilizzato sistemi di comunicazione a distanza per consentire ad Be.Al. di superare l’esame teorico per il conseguimento della patente di guida. La Corte milanese, inoltre, concedeva alla B. il beneficio della non menzione della condanna e condannava così il solo P. al pagamento delle spese del grado. Il compendio probatorio si fondava sull’esito di un servizio di osservazione predisposto il 20 ottobre 2009 presso gli uffici della Motorizzazione civile di omissis , nel corso del quale erano stati notati dei movimenti sospetti da parte di tre persone. Una di esse, poi identificato nel Be. , era entrato nell’aula ove avrebbe dovuto sostenere l’esame indossando, nonostante la stagione, il cappotto ed il cappello. P. , rimasto all’esterno, era intento a parlare al telefono. La B. era anch’essa al telefono e stava parlando. Veniva interrotta la prova e si accertava che Be. era munito di auricolare, di microfono, occultati dal bavero del cappotto, e di un telefono cellulare al quale i due congegni erano collegati. Venivano sequestrati anche i telefoni cellulari in possesso dei due imputati. I tabulati telefonici consentivano di appurare che il telefono della B. che la stessa aveva gettato nel cestino di rifiuti nel tentativo di liberarsene, occultandolo aveva, in quel mentre, contattato dodici volte il cellulare in possesso del Be. e che il telefono del P. era rimasto in costante contatto con quello della B. . 2 - Propongono ricorso entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori. 2 - 1 - L’Avv. Renato Ragozzino, per P.R. , articola tre motivi di ricorso. 2 - 1 - 1 - Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed in particolare dell’art. 2, commi 1 e 2, I. n. 475/1925, per avere la Corte ritenuto che il reato non fosse stato solo tentato ma si fosse, invece, perfezionato. Erroneamente, a tal riguardo, la Corte aveva affermato l’irrilevanza del fatto che l’elaborato non fosse stato completato o che contenesse risposte corrette posto che avrebbe potuto esser consegnato anche incompleto ed inesatto, visto che la consumazione del delitto sarebbe derivata solo dalla consegna dell’elaborato, o, comunque, dalla prova che Be. avesse compilato la scheda d’esame in base ai suggerimenti ricevuti dai due imputati. Era certo invece che la scheda non era stata consegnata alla commissione di esame e non si era raggiunta la prova che costui avesse ricevuto i suggerimenti del ricorrente e se ne fosse avvalso per rispondere alle domande della prova. La consumazione del delitto era comunque impedita dal fatto che tutta l’azione si era svolta sotto il controllo delle forze dell’ordine. La giurisprudenza di legittimità aveva poi ritenuto l’astratta configurabilità del tentativo in relazione al delitto previsto dall’art. 2 della legge n. 475 del 1925. 2 - 1 - 2 - Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione sempre in ordine alla medesima questione, e, quindi, al fatto che il delitto fosse stato ritenuto consumato piuttosto che tentato, in quanto la Corte si era limitata ad affermare che l’incompletezza dell’elaborato e la sua esattezza non incidevano sul punto. Ancora una volta, pertanto, non valutando che non vi era prova che Be. avesse effettivamente compilato l’elaborato di esame e l’avesse fatto servendosi dei suggerimenti fornitigli dal ricorrente. Essendo peraltro pacifico che non aveva consegnato l’elaborato. 2 - 1 - 3 - Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell’art. 592 cod. proc. pen., ed il difetto di motivazione in considerazione della condanna dell’appellante alle spese del grado nonostante l’avvenuta riqualificazione della condotta, in un reato meno grave per i limiti edittali della pena, con l’accoglimento, quindi, di uno dei motivi di appello. 2 - 2 - L’avv. Giuliana Scaricabarozzi, per B.M. , articolava tre motivi di ricorso. 2 - 2 - 1 - Nei primi due deduce ed argomenta le medesime censure illustrate nei primi due motivi del ricorso del coimputato. 2 - 2 - 2 - Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 132 e 133 cod. pen., ed il difetto di motivazione essendo meramente apparente la motivazione con la quale la Corte aveva ritenuto di confermare la pena inflitta alla ricorrente nonostante avesse riqualificato la condotta in un delitto di minor gravità. 3 - Entrambi i difensori hanno presentato dei motivi aggiunti di identico tenore, lamentando la violazione di legge ed in particolare degli artt. 56 cod. pen. e 2 L. n. 475/1925, in quanto dalla ricostruzione fatta dalla Corte territoriale non si poteva desumere che fosse passato alcun elaborato dai ricorrenti al Be. . L’interruzione della prova d’esame aveva impedito che il lavoro altrui fosse eseguito o procurato fermando quindi la condotta a livello di tentativo. Considerato in diritto È fondato il terzo motivo del ricorso di P.R. e la sentenza va pertanto annullata sul punto, le spese processuali liquidate a suo carico. Per il resto i ricorsi sono infondati e vanno rigettati. 1 - I primi due motivi di entrambi i ricorsi sono argomentati sulla presunta erroneità della decisione della Corte territoriale di ritenere la condotta ascritta agli imputati, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 aprile 1925 n. 475, consumata e non solo tentata. Le argomentazioni spese sono però infondate in fatto. In entrambi i ricorsi, infatti, si asserisce che l’esame del Be. non era ancora iniziato e che questi non aveva avuto il tempo di compilare la scheda. Non vi era pertanto prova che i due imputati avessero suggerito alcuna risposta al candidato così, come recita la norma contestata, procurandogli lavori altrui al fine di consentirgli il conseguimento della patente. Ciò, però, come si è detto, non risponde al vero. Risulta infatti, dalla lettura di entrambe le sentenze di merito si legga, in particolare, la pagina 2 della pronuncia del Tribunale , che la prova non era stata immediatamente sospesa posto che, iniziata intorno alle 16.00, la stessa era proseguita per circa un’ora tanto che i contatti telefonici individuati grazie ai tabulati, fra i cellulari del Be. e della B. a sua volta in continuo contatto con il Pa. erano cessati solo alle 17.06, ed erano stati in numero di dodici. Era, pertanto, del tutto priva di manifesti vizi logici la conclusione della Corte territoriale, e prima ancora del Tribunale, che fossero giunte al Be. , nel corso di quell’ora e grazie ai ripetuti contatti telefonici, le risposte alla schede d’esame che andava compilando. E tanto basta per affermare che il delitto previsto dall’art. 2 della legge n. 475/1925 si era consumato, posto che la norma in oggetto punisce chi procura lavori altrui e le risposte date al questionario non erano state elaborate dall’esaminando e costituivano pertanto un elaborato altrui , ponendosi l’ultimo passaggio, non avvenuto, della serie causale, il conseguimento della patente, solo come aggravante della condotta già altrimenti perfezionata, non essendo neppure necessaria, per il perfezionamento di tale reato, la presentazione alla commissione esaminatrice della scheda d’esame in questo caso impedita dall’intervenuto sequestro , dato che tale ulteriore circostanza non è richiesta dall’art. 2 della legge del 1925 ma solo dall’art. 1 che disciplina il diverso delitto commesso da chi, appunto, presenta il lavoro altrui, il delitto che nell’odierna fattispecie era ascrivibile al solo Be. . Ne consegue l’infondatezza dei motivi proposti sul tema dai due ricorrenti. Irrilevante era, infine il fatto che tutto fosse avvenuto sotto il controllo delle forze dell’ordine posto che tale monitoraggio non aveva comunque impedito l’illecito passaggio di informazioni. 2 - È manifestamente infondato il terzo motivo del ricorso della B. posto che la Corte territoriale aveva adeguatamente motivato la pena, un giudizio che rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142 , ciò che - nel caso di specie - non ricorre. 2 - È, come si è detto, fondato il terzo motivo del ricorso del P. . La Corte territoriale, infatti, nel riqualificare l’addebito mosso al P. in un delitto di minore gravità, ha accolto, seppure in parte, il suo gravame. Non era pertanto consentito condannarlo alle spese del grado Sez. 6, n. 15 del 09/10/2008, Dell’Orso, Rv. 242128 . 3 - Al rigetto del ricorso di B.M. segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla condanna del P. al pagamento delle spese del giudizio di appello che elimina. Rigetta nel resto il ricorso dello stesso P. . Rigetta, altresì, il ricorso di B.M. che condanna al pagamento delle spese processuali.