L'autobus affollato non è una scusa per avvicinarsi ad una ragazzina

Sanzionato un uomo che si è ripetutamente strofinato su una ragazzina. Inutile il richiamo difensivo alla sua condizione di leggera ubriachezza, con relativo precario equilibrio, e al presunto affollamento del mezzo pubblico.

Strofinio sospetto sull’autobus. A subirlo è una ragazzina. A metterlo in atto un uomo adulto. Logica la sua condanna per violenza sessuale. Non regge la tesi difensiva secondo cui il contatto è stato casuale e provocato dai troppi passeggeri, dal tragitto tortuoso e dalla precaria stabilità dell’accusato, brillo dopo un pranzo con alcuni amici Cassazione, sentenza n. 23781/2017, Sezione Terza Penale, depositata oggi . Atti. A salvare la ragazzina è stato un genitore, che sull’autobus ha notato l’eccessiva vicinanza di un uomo alla figlia. La ricostruzione dell’episodio, grazie ai racconti di alcuni testimoni, ha permesso di accertare che la vittima ha subito ripetuti strofinamenti dei genitali del molestatore sul proprio corpo . Ciò è stato ritenuto sufficiente per arrivare alla condanna per violenza sessuale , col beneficio, concesso in Appello, della sospensione condizionale della pena . E questa decisione viene confermata in Cassazione, dove vengono respinte le obiezioni difensive. Innanzitutto, i magistrati sottolineano il fatto che l’affollamento dell’autobus è stato smentito dai testimoni presenti , che, invece, hanno evidenziato la pervicacia e la durata degli atti sessuali posti in essere ai danni della ragazzina. Irrilevante, poi, è anche il richiamo del legale al presunto stato di alterazione alcolica del proprio cliente. Ciò perché quella condizione psico-fisica non ha influito sulla capacità di discernimento e sulla consapevolezza del comportamento tenuto dall’uomo, comportamento certamente non riconducibile ai barcollamenti accidentali tipici degli ubriachi poiché insistente e volontariamente ripetuto .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 dicembre 2016 – 15 maggio 2017, n. 23781 Presidente Carcano – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 9 dicembre 2015, la Corte d'appello di Napoli ha confermato -quanto alla responsabilità penale - la sentenza del Tribunale di Napoli del 29 giugno 2010, con la quale l'imputato era stato condannato una violenza sessuale di minore gravità art. 609 bis, ult. comma, cod. pen. commessa ai danni di una minore infraquattordicenne su un autobus di linea e consistente nello strofinamento dei genitali sul corpo di questa. La Corte d'appello ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, vizi della motivazione in relazione al dolo della condotta, sul rilievo che non si sarebbe considerato che gli strofinamenti oggetto dell'imputazione sarebbero stati dovuti al fatto che l'autobus era particolarmente affollato e alla tortuosità del tragitto, nonché allo stato di alterazione alcolica dell'imputato, reduce da un pranzo conviviale con alcuni amici . Considerato in diritto 3. - Il ricorso è inammissibile, perché basato su una doglianza formulata in modo non specifico. La difesa si limita a generiche asserzioni, del tutto indimostrate, circa la sussistenza di circostanze tali da escludere il titolo del reato. Si tratta, peraltro, di circostanze, quali l'affollamento dell'autobus, che sono state espressamente escluse dai testimoni presenti, i quali hanno, con dichiarazioni del tutto convergenti, evidenziato la pervicacia e la durata degli atti sessuali posti in essere, che sono stati interrotti solo per l'intervento del genitore della vittima. Quanto al dedotto stato di alterazione alcolica, lo stesso non assume alcuna rilevanza, perché - come ben evidenziato dei giudici di merito -non ha influito sulla capacità di discernimento e sulla consapevolezza del comportamento del reo, certamente non riconducibile ai barcollamenti accidentali tipici degli ubriachi, in quanto insistente e volontariamente ripetuto. 4. - Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.