Quand’è possibile ottenere la riduzione di pena?

Nell’interpretazione della CEDU, il sovraffollamento carcerario, soprattutto quando assuma le caratteristiche di fenomeno strutturale, integra di per sé una violazione dell’art. 3 Cedu sempre e comunque ogni volta che lo spazio a disposizione di un detenuto nella camera sia inferiore a 3 m2, mentre ove lo spazio disponibile sia compreso tra 3 e 4 m2 – parametro metrico, quest’ultimo, auspicato dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura – occorre, al fine di valutare la sussistenza della violazione, dar conto di una serie di profili ulteriori integrati dalla possibilità di utilizzare o meno i servizi igienici riservati, di beneficiare della luce e dell’aria naturali, del riscaldamento e delle tutele sanitarie primarie.

Questo l’importante e garantista il principio di diritto affermato dal Magistrato di Sorveglianza di Spoleto che, nell’accogliere l’istanza del detenuto, è andato, con riferimento ai casi in cui lo spazio vitale minimo alla camera detentiva sia inferiore a 3 m2, oltre i principi delineati in materia, di recente, dalla Corte di Cassazione e della Corte europea dei diritti dell’uomo. La detenzione concreta patita dal reclamante. Un detenuto presentava istanza lamentando di aver subito una detenzione in aperto contrasto con l’art. 3 Cedu, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, in vari periodi di detenzione presso la Casa di reclusione di Spoleto e presso le Case circondariali di Reggio Calabria, Messina e Vibo Valentia. L’istanza è stata proposta, ai sensi dell’art. 35- ter l. n. 354/1975, introdotto dall’art. 1 d.l. n. 92/2014, convertito in l. n. 117/2014, per adempiere alle prescrizioni della sentenza pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo Torregiani contro Italia dell’8 gennaio 2013 nella quale si è ravvisato a carico dello Stato italiano un problema strutturale del sovraffollamento carcerario. Il rimedio consente al detenuto, in caso di accoglimento, di ottenere una riduzione della pena ancora da espiare pari a un giorno per ogni dieci giorni di detenzione in condizioni disumane o degradanti. Calcolo della superficie complessiva della cella collettiva. Il primo passaggio da compiere per il Magistrato di sorveglianza è determinare la superficie da detrarre da quella lorda” della cella. Non sussiste alcun conflitto interpretativo sull’esclusione dal computo della superficie minima individuale in cella collettiva sia la parte destinata ai servizi igienici – non solo ingombrante ma destinata a funzioni diverse da quelle correlate al movimento mentre invece quando il bagno è separato, anche se attiguo, la sua superficie viene ignorata nel calcolo, perché sostanzialmente neutra – che quella destinata ad arredi fissi armadietti o mensole sporgenti . Più complesso, invece, è stato il percorso che ha portato a considerare arredo stabile detraibile dalla superficie totale dello spazio occupato dal letto a castello. Solo di recente la Suprema Corte, infatti, ha considerato ingombro” lo spazio occupato nella camera detentiva dal letto, che per comune esperienza è tipologicamente un letto a castello dal peso consistente Sez. I, n. 52819/16 , rigettando la diversa interpretazione del Giudice di sorveglianza di merito che, nel proporre una lettura diversa, considerava superficie utile quella occupata dal letto per finalità di riposo” o di attività sedentaria”, che non soddisfa la primaria esigenza di movimento e che pertanto non può farsi rientrare nello nozione di spazio minimo individuale. Lo standard dei tre metri quadrati. Una volta individuata la metratura della detenzione attiva all’interno della cella, rimane da stabilire – come recita l’art. 35- ter ord. penit. – qualora ci troviamo in presenza di condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 Cedu, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo . Quindi, laddove il detenuto si dolga di essere stato sottoposto ad un trattamento inumano e degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza così esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilità intramuraria della Corte europea dei diritti dell’uomo, il giudice è chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione. All’uopo, né l’art. 3 Cedu nel sancire il divieto, oltre che della tortura, dei trattamenti inumani e degradanti , né l’art. 27, comma 2, Cost. stabilendo che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità , non hanno tipizzato le condotte integratici della violazione del divieto, e nemmeno un canone per la determinazione dei trattamenti vietati. È stato grazie ai criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha fissato canoni particolari individuando standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari. La giurisprudenza di Strasburgo, formatasi proprio contro l’Italia, sembrava avere individuato la quota dei tre metri quadrati di spazio vitale in cui si esplica la libertà di movimento del detenuto , al di sotto del quale si verifica, secondo le linee guida interpretative suindicate sentenze Sulejmanovic del 16 luglio 2009 e Torregiani dell’8 gennaio 2013 con la conseguenza dell’ automatica” violazione dei contenuti prescrittivi dell’art. 3 Cedu, senza possibilità di compensazioni dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi comuni esterni alla cella. Spazio compreso tra i tre e quattro metri quadrati. Qualora invece lo spazio minimo vitale sia tra i 3 e i 4 m2 è possibile riequilibrare la detenzione degradante attraverso fattori compensativi”. Pertanto, sussiste una violazione dell’art. 3 Cedu se tale condizione risulta combinata con altri aspetti di inadeguatezza della detenzione. Tali aspetti riguardano, in particolare, la possibilità di svolgere attività fisica all’aria aperta, la presenza di luce naturale e aria nella cella, l’adeguatezza della ventilazione e della temperatura, la possibilità di utilizzare la toilette in privato ed il rispetto dei generali requisiti igienico-sanitari. La decisione del Magistrato di Sorveglianza. Proprio recependo tale giurisprudenza, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha ritenuto la detenzione patita dal detenuto disumana o degradante, ai sensi dell’art. 3 Cedu, con riferimento ai casi in cui era stato ristretto in una camera detentiva con spazio a disposizione inferiore a 3 m2 mentre, invece, ha respinto la richiesta relativa alla detenzione in cui lo spazio minimo era superiore a 3 m2, ma inferiore a 4 m2, poiché è emerso che la limitazione dell’area detentiva era bilanciata dalla sussistenza di servizi igienici riservati, sufficienti condizioni di luce e aria naturali, possibilità di fruire di passeggi, tutela sanitaria e offerte trattamentali. Il recente cambio di rotta della Grande Camera. Se la decisione in commento va accolta con favore, tuttavia non tiene contro di una recente piccola inversione di tendenza, in termini meno garantistici per il detenuto, nella sentenza della Grande Charme di Strasburgo del 20 ottobre 2016, nel caso Mursic contro Croazia, nella quale ha condannato all'unanimità la Croazia per violazione dell'art. 3 Cedu in relazione alla detenzione del ricorrente in 2,62 m2 per 27 giorni consecutivi. La maggioranza del collegio ha invece confermato la pronuncia della Camera ritenendo non violato l’art. 3 Cedu tanto con riferimento alla detenzione del ricorrente in uno spazio inferiore a 3 m2 per periodi non consecutivi di più breve durata ed in presenza di cd. fattori allevianti”, quali la libertà di movimento e lo svolgimento di attività all'esterno della cella 10 voti contro 7 quanto rispetto al periodo detentivo nel quale il ricorrente era stato ristretto in uno spazio compreso tra i 3 e i 4 m2 13 voti contro 4 . Con riferimento al caso in cui la detenzione si sia svolta in uno spazio minimo vitale inferiore ai tre m2, quindi, non vige più la presunzione assoluta di violazione dell’art. 3 Cedu, ma tale presunzione può essere superata dimostrando l’esistenza di fattori che cumulativamente siano in grado di compensare tale mancanza di spazio vitale § 137 , quali 1 la brevità, l’occasionalità e la minore rilevanza della riduzione dello spazio personale minimo richiesto § 130 2 la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all’esterno della cella § 133 3 l’adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà § 134 . Attuale assetto interpretativo. Alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale della Corte europea, quindi, l’attuale assetto interpretativo fornito dalla Corte europea assetto che il giudice interno ha l’obbligo di ritenere un dato integrativo del precetto, stante la formulazione testuale dell’art. 35- ter ord. penit. non determina di per sé una violazione dell’art. 3 Cedu, ma una forte presunzione di trattamento inumano o degradante, superabile solo attraverso l’esame congiunto e analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione nello spazio minimo.

Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, ordinanza 27 – 28 febbraio 2017, n. 325 Magistrato Manganaro Letta 1'istanza avanzata in data 20.01.2015 da R. V., nato a omissis , attualmente ristretto presso la Casa di Reclusione di Spoleto, istanza volta ad ottenere una riduzione della pena detentiva da espiare ai sensi dell'art. 35 ter o.p., a titolo di risarcimento del danno subito nel corso della detenzione esecutiva dal omissis osservato che il detenuto ha lamentato, con riferimento alle condizioni di detenzione presso gli istituti penitenziari ove è stato ristretto sino alla data della trattazione Casa Circondariale di Messina, Vibo Valentia, Reggio Calabria e Casa di reclusione di Spoleto una compromissione dei propri diritti conseguente alle limitate dimensioni della camera detentiva ove è stato ristretto, la carenza igienica dei locali e la scarsa illminazione degli stessi, l'assenza di erogazione dell'acqua calda rilevato che nell'interpretazione della Corte dei Diritti esplicitata in più sentenze, tra le quali si annoverano, per quanto riguarda 1'Italia, Sulejmanovic c. Italia del 2009 e Torreggiani c. Italia del 2013 il sovraffollamento carcerario, soprattutto quando assuma le caratteristiche di fenomeno strutturale, integra di per sé violazione dell'art. 3 della Convenzione sempre e comunque ogni volta che lo spazio a disposizione di un detenuto nella camera sia inferiore a 3 mq, mentre ove lo spazio disponibile sia compreso fino a 3 e 4 mq -parametro metrico, quest'ultimo, auspicato dal Comitato Europeo per la Tortura - occorre, al fine di valutare la sussistenza della violazione, dar conto di una serie di profili ulteriori integrati dalla possibilità di utilizzare o meno servizi igienici riservati, di beneficiare della luce e dell'aria naturali, del riscaldamento e delle tutele sanitarie primarie. Qualora la cella non sia una vera cella di pernottamento, ma venga di necessità utilizzata dal detenuto anche nel corso delle ore diurne, lo spazio effettivamente disponibile corrisponde per ovvie ragioni a uno spazio calpestabile o comunque utilizzabile , quindi riconducibile al concetto di spazio vitale idoneo a garantire un minimo di sfera individuale e inviolabile e di possibilità di movimento. h tale ottica, conformemente ai parametri elaborati dalla giurisprudenza della Cassazione,sembra congruo detrarre dalla superficie complessiva della cella l'ingombro degli arredi stabili armadi/stipetti, e tavoli ancorati alla parete compreso lo spazio occupato dal letto a castello, mentre quando il bagno sia separato anche se attiguo 1a sua superficie viene ignorata nel calcolo, perché sostanzialmente neutra rilevato come l'istruttoria, compiuta attraverso l'acquisizione delle informazioni fomite dalle direzioni degli istituti penitenziari, abbia evidenziato condizioni di detenzione non conformi all'art. 3 Convenzione EDU, in particolare per l'essere stato il detenuto ristretto in una camera detentiva con uno spazio a disposizione inferiore a 3 mq computando l'ingombro degli arredi inamovibili e del letto ed escludendo quello del tavolo e di ogni altro arredo amovibile utilizzato per le esigenze della vita quotidiana nel corso della detenzione effettuata dal R. - presso la Casa di reclusione di Spoleto nei periodi in cui è stato ristretto in cella singola insieme ad un altro detenuto per 968 giorni dal 21.11.2013 al 26.08.2014 - dal 05.09.2014 al 21.04.2016 - dal 14.11.2016- 23.02.17 , presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria nei periodi dal 12.04.2011 al 22.04.2011 e dal 03.06.2011 al 22.06.2011 per complessivi 31 giorni, presso la Casa Circondariale di Messina nei periodi dal 01.10.2008 al 06.11.2008-dal 08.11.2008 al 23.03.2009 -dal 02.05.2009 al 19.03.2010-dal 10.04.2010 al 02.05.2010 e dal 27.05.2010 al 16.06.2010 per complessivi 539 giorni come da prospetti allegati in atti in totale 1538 giorni deve essere respinta la richiesta relativa alla detenzione patita presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia ove il R. è stato ristretto in celle di ampia metratura insieme a massimo due detenuti nonché quella relativa ai periodi detentivi nel corso dei quali il soggetto è stato ristretto in celle con spazio disponibile superiore ai tre mq ma inferiore ai 4 mq poiché dalla verifica delle note informative trasmesse emerge che la limitazione dello spazio era bilanciata dalla sussistenza di servizi igienici riservati, sufficienti condizioni di luce e aria naturali, possibilità di fruire di passeggi,tutela sanitaria, offerte tratta mentali ritenuto, per quanto sopra esposto, che nei confronti del detenuto, il quale ha un fine pena attualmente fissato al 25.06.2017, possa essere riconosciuta secondo le disposizioni dei commi 1 e 2 dell'art. 35 ter o.p. una riduzione della pena detentiva pari a 118 giorni a titolo di risarcimento del danno per ingiusta detenzione e per il residuo periodo di 358 giorni per i quali la pena è incapiente, possa liquidarsi ai sensi del comma 2 dell'art. 35 ter o.p. la somma di 8 euro per ciascun giorno in cui si è determinato il pregiudizio, pari alla somma complessiva di 2864,00 euro . P.Q.M. Visti gli art. 35 bis, 35 ter 69, comma 61ett. b O,P. e 127 c.p.p. accoglie Parzialmente 1'istanza avanzata da R. V., sopra generalizzato, con riferimento ai periodi di pena meglio precisati in parte motiva, e per 1'effetto, dispone La riduzione, a titolo di risarcimento del damo, della pena detentiva da espiare di giomi 118 liquida A favore del predetto la somma di euro 2864,00. Si rigetta nel resto. Comunicazioni come per legge.