Ancora su elezione di domicilio e notifica

Nel caso in cui il decreto di citazione in appello sia notificato all’avvocato erroneamente considerato domiciliatario e non al domicilio effettivamente eletto dall’imputato, la notifica deve ritenersi affetta da nullità generale a regime intermedio.

In relazione all’impugnazione della sentenza con cui la Corte d’appello confermava la condanna dell’imputato per maltrattamenti e lesioni a danno della moglie, la Suprema Corte, con la sentenza n. 22561/17 depositata il 9 maggio, ha l’occasione di tornare sul tema dell’elezione di domicilio e della notificazione. Elezione di domicilio e notifica. Dall’esame degli atti è infatti emerso che al momento dell’arresto il ricorrente dichiarava domicilio nella sua abitazione ma tale indicazione era inadeguata posto che egli era stato soggetto alla misura del divieto di avvicinamento alla moglie nell’ambito del procedimento per maltrattamenti. Il successivo giudizio d’appello si era svolto a distanza di 4 anni, circostanza da cui la S.C. deduce che la misura fosse stata revocata, nonostante l’assenza nel fascicolo processuale del relativo provvedimento. Tale situazione porta ad affermare che il decreto di fissazione del giudizio d’appello doveva essere notificato presso quell’indirizzo e, solo in caso di assenza del destinatario, al difensore di fiducia ex art. 157, comma 8, c.p.p., come invece accaduto senza un previo tentativo di notifica presso il domicilio dichiarato. Da tale ricostruzione della vicenda processuale, segue la dichiarazione di omessa notifica all’interessato con conseguente nullità generale a regime intermedio e possibilità di sanatoria solo nei casi in cui risulti provato che la nullità della notificazione non abbia impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa. In conclusione, accertata la nullità dell’intero procedimento d’appello, il Collegio annulla la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio alla competente Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 aprile – 9 maggio 2017, n. 22561 Presidente Paoloni – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 09/04/2015, ha confermato la pronuncia di condanna di L.G. emessa dal Tribunale di Latina sezione di Terracina - con provvedimento del 14/01/2010, in relazione ai reati di cui agli artt. 572 e 582 cod.pen 2. Con il ricorso proposto da L. personalmente si eccepisce la violazione di norme processuali in quanto, pur avendo egli eletto domicilio, il decreto di citazione a giudizio in appello è stato notificato solo al difensore di fiducia, cosicché il giudizio di secondo grado si è svolto erroneamente in sua assenza, determinata dalla circostanza che non è stato reso edotto del procedimento in corso, di cui è venuto a conoscenza solo successivamente. Segnala che prima del giudizio di appello egli aveva provveduto alla nomina di diverso difensore di fiducia, che non è stato posto in condizione di rappresentarlo nel procedimento. Sulla base di tali elementi ritiene integrata la nullità del giudizio di secondo grado e sollecita la restituzione nel termine per impugnare tale provvedimento. 3. Si contesta violazione di legge penale e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta integrazione del delitto di maltrattamenti, e riduce le condotte contestate a meri contrasti tra i coniugi, quale conseguenza della decisione di separazione, e le ripetute telefonate del ricorrente all’esigenza di interessarsi dei figli, rimasti a vivere con la moglie. Si ritengono gli episodi individuati in sentenza quale sintomo del reato privi del carattere dell’abitualità, essenziale alla configurazione della fattispecie. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, quanto alla preliminare eccezione procedurale. 2. L’esame degli atti ha consentito di verificare che, in sede di arresto, l’interessato dichiarò domicilio nella sua abitazione, e malgrado tale indicazione all’epoca fosse inadeguata, posto che il procedimento riguardava maltrattamenti in danno della moglie, in relazione ai quali venne imposta la misura del divieto di avvicinamento, l’interessato non venne sollecitato all’indicazione di un diverso recapito. Cosicché, garantita la sua presenza personale al giudizio di primo grado, svolto con il rito direttissimo, non è poi intervenuto alcun mutamento rispetto a tale indicazione. Malgrado la mancanza nel fascicolo processuale di un provvedimento di revoca della misura imposta, e la presenza di antitetiche risultanze in tal senso emergenti dall’intestazione del verbale di udienza, e dalla sentenza di secondo grado - posto che nel primo atto si dà conto che l’interessato è sottoposto ad obblighi e nel secondo in senso opposto si qualifica l’interessato libero assente il lasso di tempo intercorso tra l’imposizione dell’obbligo e la celebrazione del giudizio di appello, superiore a quattro anni, rende del tutto certa la circostanza che la misura fosse stata all’epoca revocata, e quindi astrattamente possibile la presenza del L. nel domicilio dichiarato. La circostanza, unitamente alla persistente validità della dichiarazione di domicilio, non contraddetta da difforme indicazione, almeno a quel che è dato ricavare dagli atti del processo, imponeva che il decreto di fissazione del giudizio di appello venisse notificato a quell’indirizzo e, solo ove lo stesso fosse accertato inidoneo, per assenza dell’interessato, al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157 comma 8 bis cod. proc. pen In senso contrario invece tale comunicazione, avvenuta presso il difensore, è stata effettuata in mancanza di previi tentativi nel domicilio indicato, e con l’errata indicazione che il L. fosse domiciliato presso il professionista, circostanza, come si è visto, non veritiera. I dati riferiti evidenziano quindi che si verte nella specie non in un caso di notifica irregolare, ma di omessa notifica all’interessato, validamente eccepita nel grado successivo trattandosi di nullità di ordine generale a regime intermedio che può ritenersi sanata nei soli casi in cui risulti provato che la notificazione nulla non abbia impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, nonché nei casi in cui la stessa non sia stata tempestivamente dedotta, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma 1, cod. proc. pen. alle sanatorie generali di cui all’art. 183 cod. proc. pen., alle regole di deducibilità di cui all’art. 182 cod. proc. pen., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen. v. Sez. Un., Sentenza n. 19602 del 27/03/2008, Rv. 239396 e negli stessi termini da ultimo Sez. 4, n. 18098 del 01/04/, Crapella, Rv. 263753 . Cosicché, pur essendo le deduzioni in fatto espresse in ricorso parzialmente non fondate - con particolare riferimento all’intervenuta nomina di un diverso difensore di fiducia, di cui non v’è traccia in atti - quel che rileva ai fini dell’accertamento della nullità della notifica è che la stessa sia stata eseguita per L. presso l’avv. Massimo Basile, erroneamente qualificato domiciliatario, senza un previo tentativo di comunicazione presso il domicilio dichiarato e che l’interessato non sia stato in grado di dedurlo all’udienza dinanzi alla Corte d’appello, che è stata celebrata in assenza del diretto interessato, del difensore di fiducia, sostituito dal difensore di ufficio ai sensi dell’art. 97 cod. proc. pen 3. La circostanza esposta impone, accertata la causa di nullità del procedimento di appello di cui all’art. 178 lett. c cod. proc. pen., l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio a diversa sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio di secondo grado il richiamato accertamento supera, per il suo carattere pregiudiziale, i rilievi svolti con gli ulteriori motivi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.