Nessuna scusa per l’imprenditore che consapevolmente non versa i contributi

In tema di omesso pagamento del debito erariale, l’inadempimento non può essere ricondotto alla forza maggiore se la mancanza di liquidità è riconducibile ad una specifica politica imprenditoriale.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20855/17 depositata il 2 maggio. Il caso. Il Tribunale di Como assolveva l’imputato dal reato di omesso versamento di contributi previdenziali perché il fatto non sussiste in relazione alle imputazioni per gli anni 2007 e 2008 e perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per il 2009 ed il 2010. L’imputato impugna la sentenza in Cassazione dolendosi della mancata adozione della formula di assoluzione più favorevole del perché il fatto non sussiste per le imputazioni del 2009 e 2010 o perché il fatto non costituisce reato . In particolare il ricorrente sostiene di aver effettuato, nei termini per l’esclusione della punibilità, il versamento dei contributi dovuto all’INPS e dovevano dunque essere imputati secondo il principio del favor rei . Il ricorso deduce inoltre l’insussistenza del dolo del reato in virtù dei più rigorosi orientamenti giurisprudenziali sulla crisi di liquidità dell’azienda in funzione della necessità di assicurare la sopravvivenza e la continuità dell’impresa. Condono previdenziale. La Cassazione, ripercorrendo la vicenda, ribadisce il principio per cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali da parte del datore di lavoro, laddove quest’ultimo sia ammesso al cd. condono previdenziale sia per le ritenute sulle retribuzioni dei dipendenti che per le somme da lui direttamente dovute e provveda al versamento parziale della somma complessivamente dovuta, non trova applicazione la causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1- bis , l. n. 638/1983. Correttamente dunque il giudice di merito ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione con la formula invocata dal ricorrente. Causa di forza maggiore. Anche la seconda censura non trova condivisione da parte del Collegio. La sentenza impugnata ha infatti osservato che la crisi di liquidità della società di cui il ricorrente presiedeva il consiglio di amministrazione non poteva escludere il dolo perché rispondente ad una precisa strategia di politica aziendale. Risulta dunque correttamente applicato il principio per cui in tema di omesso pagamento del debito erariale, l’inadempimento può essere ricondotto alla forza maggiore solo se deriva da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico , circostanza esclusa in caso di mancanza della liquidità dovuta ad una specifica politica imprenditoriale, come appunto verificatosi nel caso di specie. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 gennaio – 2 maggio 2017, n. 20855 Presidente Di Nicola – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 21.3.2016 il Tribunale di Como ha assolto D.F.E. dal reato a lui ascritto, limitatamente alle condotte relative agli anni 2007 e 2008 perché il fatto non sussiste, e per le condotte relative all’anno 2009 e 2010 perché il fatto non è previsto dalla legge ed ha disposto la trasmissione degli atti all’INPS di Como per le determinazioni di sua competenza. D.F.E. era stato imputato del reato di cui all’art. 81 cpv c.p. e 2, comma 1,d.l. 463/83, conv. in L. 638/83 e successive modifiche, perché, in qualità di presidente del consiglio d’amministrazione della Sodecor, corrente in omissis , con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso aveva omesso di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte nel medesimo periodo ai lavoratori per i mesi e gli importi specificamente indicati nel capo d’imputazione accertato in omissis . 2. Premesso che l’originario capo d’imputazione era stato modificato in udienza dal Pubblico Ministero, dopo l’audizione del teste dell’INPS, eliminando il riferimento alle omissioni contributive del 2007 e 2008, limitando le omissioni contributive del 2009 alle mensilità di gennaio, febbraio e marzo, e confermando le omissioni contributive già contestate relative al 2010, il ricorrente lamenta di essere stato assolto con la formula il fatto non è previsto dalla legge come reato con conseguente trasmissione degli atti all’INPS, invece che con quella più favorevole del fatto non sussiste o del fatto non costituisce reato . Dopo aver motivato il suo interesse a ricorrere, formula due articolati motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p. in relazione all’art. 2, comma 1 bis, d.l. 463/83 per disapplicazione del principio del favor rei nell’imputazione dei pagamenti fatti dal datore di lavoro in conto dei contributi previdenziali e dell’art. 606, comma 1, lett. e per manifesta illogicità della motivazione sul pagamento dei contributi prima della scadenza del trimestre della diffida. Ricostruisce il sistema in questi termini a la contribuzione previdenziale sulle retribuzioni dei lavoratori subordinati si compone di una quota per legge a carico del datore di lavoro ed un’altra a carico del dipendente, che il datore di lavoro è obbligato a trattenere sulle retribuzioni correnti ed a versare all’Istituto previdenziale, b nel caso di ritardato versamento, l’importo capitale è maggiorato degli interessi e delle cosiddette somme aggiuntive, c ai fini dell’accertamento della sussistenza del reato, nel caso in cui il datore, nei termini per la esclusione della punibilità, abbia versato, anche solo parte dei contributi, si deve considerare che per il principio del favor rei il giudice penale deve imputare automaticamente il versamento, per primo ad estinzione della quota contributiva a carico dei dipendenti, il cui mancato versamento oltre il termine di diffida, costituendo condizione di punibilità, determina l’applicazione della sanzione penale a prescindere da qualsiasi diversa imputazione che al versamento abbiano dato l’INPS o il Concessionario della riscossione d sempre il principio del favor rei implica anche la deroga dei criteri legali di imputazione del versamento nel caso in cui il debitore solvente abbia più debiti verso l’INPS con la doverosa imputazione di ogni versamento prioritariamente all’estinzione del debito per il quale è prevista la più grave sanzione, cioè quella penale. Nella fattispecie, espone che a la società aveva eseguito il pagamento di Euro 90.423,08 in un’unica soluzione, a copertura dei soli contributi dovuti all’INPS, per un importo tale da estinguere l’intera quota dei contributi a carico dei dipendenti per il periodo gennaio-febbraio 2009 b si trattava di un versamento in un’unica soluzione e non di un versamento in esecuzione di una rateizzazione, come erroneamente ritenuto dal Giudice c il pagamento era stato fatto a copertura del debito INPS, distinto da quello oggetto di successiva rateizzazione, come chiarito dalla dipendente della società d la società aveva già versato all’INPS, prima della scadenza del termine delle diffide, una somma ben superiore all’intero debito contributivo per la quota dipendenti 2008-2010 e l’INPS, per il mancato raccordo con l’archivio Equitalia dei pagamenti, aveva emesso una diffida di pagamento per i contributi gennaio-marzo 2009 che erano stati oggetto di una precedente rateizzazione in precedenza accordata dall’Equitalia e regolarmente adempiuta dalla società, almeno per quanto concerneva la quota a carico dei lavoratori, prima della diffida con il conseguente venir meno della causa di punibilità f in ogni caso, la rateizzazione era giuridicamente incompatibile con la diffida al pagamento da parte dell’INPS g per tutti questi motivi, il Giudice doveva pronunciare una sentenza di proscioglimento con la formula dell’insussistenza del fatto, astenendosi dalla trasmissione degli atti all’INPS, perché i versamenti erano stati eseguiti e dovevano essere imputati secondo il favor rei . 2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p. in relazione al dolo generico del reato di cui all’art. 2, comma Ibis, d.l. n. 463/83. Consapevole del rigoroso orientamento giurisprudenziale sulla crisi di liquidità, espone la seguenti considerazioni a che l’obbligo contributivo previdenziale di cui all’art. 38 Cost. dev’essere bilanciato con la necessità di assicurare la sopravvivenza e continuità dell’impresa, ai sensi dell’art. 41 Cost. b l’ordinamento nel suo complesso dev’essere uniformato al principio di non contraddizione sicché non si può ammettere che sia sanzionata in via penale o amministrativa una condotta, non solo doverosa in base al valore poziore, rispetto ad ogni altro concorrente obbligo, di cui all’art. 36 Cost., ma anche legittimata dalle norme civilistiche sull’ordine dei privilegi c l’art. 67, comma 3, lett. a , legge fall., nel sottrarre ad azione revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso, indica l’opzione contraria alla prevalenza del dovere di destinazione delle risorse anche al pagamento dei contributi d l’obbligo di destinare le risorse finanziarie, in parte al pagamento dei contributi ed in parte al pagamento delle retribuzioni, non trova quindi nessuna conferma nell’ordinamento, anzi vi trova una smentita, perché il pagamento delle retribuzioni deve sicuramente precedere il pagamento dei contributi, altrimenti l’impresa sarebbe costretta a cessare e l’ordinamento giuridico penale non può imporre all’imprenditore una condotta in contrasto con altre norme di legge sicché, nel caso documentato di crisi di liquidità, l’imprenditore può legittimamente pagare i dipendenti con precedenza rispetto all’assolvimento del concorrente obbligo contributivo f la giurisprudenza impone di valutare, ai fini del dolo, le condizioni economico-finanziarie in cui si trovi il datore di lavoro al momento della scadenza del debito contributivo oppure del termine triennale di diffida. Nello specifico, evidenzia che a tra l’esercizio 2008 e 2009 il fatturato aziendale aveva subito un crollo verticale b il crollo del fatturato era accompagnato alla riduzione del credito bancario con inizio di richiesta di rientro da parte degli istituti bancari c la società aveva già fatto ripetutamente ricorso alla Cassa integrazione guadagni ordinaria CIG d dai bilanci erano emersi plurimi versamenti dei soci e l’importo versato all’INPS era stato possibile grazie alla sua contribuzione personale e la particolare complessità della contabilità dei debiti contributivi maturati e dei versamenti effettuati nonché dei crediti per l’anticipo della CIGO, da recuperare sui versamenti contributivi correnti, escludeva la certa conoscenza dell’esistenza del debito delle quote contributive a carico dei dipendenti e, a maggior ragione, del dolo per gli omessi versamenti per i limitati periodi anni 2009 e 2010 indicati nel capo d’imputazione f il Giudice di primo grado avrebbe dovuto quindi pronunciare il proscioglimento perché il fatto non costituisce reato con esclusione della trasmissione degli atti all’INPS. 3. Con i motivi aggiunti, chiede sollevarsi la questione di legittimità costituzionale degli art. 1, 8, comma 1 e 3, 9, d. Lgs. 8/16 per eccesso di delega legislativa, ai sensi dell’art. 76 Cost., rispetto all’art. 2, L. n. 67/14 che non prevedeva l’applicazione retroattiva della trasformazione da illecito penale in illecito amministrativo per contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost., siccome la sanzione amministrativa poteva essere più gravosa di quella penale, dal momento che in sede penale si poteva applicare la sospensione condizionale della pena, mentre l’ordinanza ingiunzione costituiva sempre un titolo esecutivo nei confronti del contribuente per somme ingenti. Richiama gli argomenti dell’ordinanza del Tribunale di Varese che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale in data 9.2.2016 GU 11.5.2016, n. 19 ed afferma che non poteva essere accolta la giustificazione del legislatore della presunta violazione di parità di trattamento tra i soggetti che commettono l’illecito depenalizzato dopo l’entrata in vigore della depenalizzazione e quelli che lo hanno commesso in precedenza, i quali non potevano prevedere di essere assoggettati a sanzioni amministrative pecuniarie così gravose, anzi più gravose di quelle penali, anche per omissioni di scarso rilievo, o pagate dopo la scadenza dell’intimazione dell’INPS. Evidenzia che la questione non era irrilevante o non manifestamente infondata, se la Corte non intendeva annullare la pronuncia con riferimento alla trasmissione degli atti all’INPS. Nel caso in esame, il processo era in corso al momento dell’entrata in vigore della depenalizzazione sicché egli aveva diritto ad essere giudicato ed assolto secondo le norme del diritto penale per un motivo diverso dalla sopravvenuta mancanza della norma incriminatrice, con esclusione quindi della conversione del reato nel nuovo illecito amministrativo e della trasmissione degli atti all’INPS se il giudice naturale accertava l’esistenza del reato con una motivazione diversa da quella della depenalizzazione non vi poteva poi essere la trasformazione nel nuovo illecito amministrativo. Ribadisce in fatto che la società aveva versato tutte le quote contributive a carico dei lavoratori prima della scadenza legale delle diffide monitorie e che l’omissione contributiva non sussisteva per i pochi mesi dell’annualità 2009 gennaio-marzo e 2010 aprile-maggio . Deduce infine che negli anni 2009 e 2010 la società aveva subito il crollo repentino del fatturato, l’interruzione totale dei fidi bancari, il fallimento dei clienti più importanti, sicché, senza il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, questi avrebbero dovuto essere licenziati. La scelta compiuta di pagare i dipendenti era da considerarsi, quindi, legittima, necessitata ai sensi dell’art. 51 c.p., e sintomatica dell’assenza del dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. Il Giudice di Como ha accertato con motivazione immune da censure logiche il fatto materiale dei mancati integrali versamenti entro il termine di legge per le mensilità successive al febbraio 2008. Ha affermato che il teste dell’INPS aveva precisato che, in caso di versamenti parziali, le somme versate dovevano imputarsi secondo il favor rei ed estinguere le voci che potevano avere un’incidenza penale sulla situazione del debitore che il pagamento della somma di Euro 92.000,00 a favore dell’Equitalia non rilevava a fini della tesi difensiva, siccome andava a coprire anche altri debiti nei confronti dell’Erario mentre per i diversi debiti INPS era stato chiesto il pagamento rateale che, analogamente, non poteva avere efficacia estintiva il pagamento rateale concesso all’INPS proprio perché parziale. Orbene, a fronte di tale ricostruzione dei fatti, non smentita in modo puntuale dalle pur ampie difese dell’imputato, il quale non ha dimostrato un travisamento della prova del Giudice con riferimento alla circostanza del pagamento integrale di quanto dovuto all’INPS, non può che ribadirsi l’orientamento di questa Corte secondo cui In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel caso in cui l’imputato ammesso al cosiddetto condono previdenziale sia in relazione alle ritenute che alle somme da lui direttamente dovute, provveda solo al versamento parziale della somma complessivamente indicata, non opera la causa di non punibilità prevista dal comma primo bis dell’art. 2 della Legge 11 novembre 1983 n. 638, così come modificato dal D.Lgs. n. 211 del 1994 Cass., Sez. 3, n. 12995/05, Rv 231388 e n. 23086/11, Rv 250649 . In altri termini, il Giudice di prime cure ha accertato che per le omissioni contributive anni 2009 e 2010 contestate non vi erano i presupposti per l’assoluzione con la formula del fatto non sussiste come richiesto dal ricorrente. Anche con riferimento all’insussistenza del dolo generico, la motivazione censurata appare del tutto condivisibile. Il Giudice di primo grado ha osservato che la crisi di liquidità determinata dal calo del fatturato per la concorrenza del mercato cinese e dal restringimento degli affidamenti bancari non escludeva il dolo quando ciò derivava da una strategia di politica aziendale. La società aveva infatti scelto, per conservare il proprio personale dipendente, di autofinanziarsi non versando le ritenute, oltre che ricorrendo al versamento soci. La cassa integrazione era stata chiesta solo nel 2011 mentre il fallimento era del 2013. Tanto escludeva la pronuncia assolutoria con la formula perché il fatto non costituisce reato. Osserva la Corte che, sebbene il Giudice non vi abbia fatto espresso riferimento, ha tuttavia correttamente applicato il principio di diritto affermato in plurime occasioni da questa Sezione, in particolare con riferimento all’omesso pagamento del debito erariale, secondo cui In tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico fattispecie, nella quale la Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8352/15, Rv 263128, n. 3124/14, Rv 258842, n. 20266/14, Rv 259190 . Il suddetto principio va applicato anche al caso in esame dell’omesso versamento dei contributi previdenziali, non scriminando in termini di forza maggiore o stato di necessità, le condizioni di difficoltà economico-finanziarie e le strategie imprenditoriali per farvi fronte. Né può ritenersi, nei termini prospettati, una contraddizione del sistema giuridico nel suo complesso, perché plurimi sono gli strumenti approntati dall’ordinamento civilistico, in specie dalla legislazione fallimentare, per favorire la ristrutturazione aziendale ed evitare all’amministratore di incorrere in responsabilità civili e penali ed esula dalla cognizione di questo Giudice il sindacato sul merito delle scelte effettuate. Peraltro, non può non evidenziarsi che con riferimento al profilo del dolo generico, le deduzioni del ricorrente si risolvono in considerazioni di politica criminale nel settore della crisi d’impresa ma non scardinano la motivazione del Giudice di primo grado in termini di travisamento della prova, il quale Giudice, quindi, correttamente, ha applicato la formula di proscioglimento imposta dalla sopravvenuta normativa di depenalizzazione. La congruità della decisione impugnata in ordine all’accertamento del reato sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo rende del tutto irrilevante, nel presente giudizio, l’articolata questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Difesa. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.