La natura di sanzione amministrativa della demolizione del manufatto abusivo

La demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale, ha natura di sanzione amministrativa, in virtù del fatto che integra una sanzione ripristinatoria del bene giuridico leso.

Così si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 20873/17 depositata il 2 maggio. Il caso. Il Tribunale di Napoli rigettava con ordinanza la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’ingiunzione a demolire opere abusive realizzate in ampliamento di un preesistente immobile dall’imputata accusata di aver commesso il reato di esecuzione di opere edili in assenza di concessione edilizia. Contro detta ordinanza l’imputata propone ricorso in Cassazione. La natura amministrativa. Nel dichiarare il ricorso inammissibile, la Suprema Corte, ribadisce il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo cui la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale quando non si stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa tenuto conto che integra una sanzione ripristinatoria del bene giuridico leso . In particolare, la demolizione si concretizza in un obbligo di fare impartito per ragioni di tutela del territorio e riveste, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto diretto con il bene indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo autore dell’abuso, natura reale . In tal senso, non può ritenersi una pena nell’accezione individuata dalla giurisprudenza della CEDU , con la conseguente inassoggettabilità alla prescrizione di cui dall’art. 173 c.p.p. recante Tempi a pena di decadenza. Abbreviazione .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 novembre 2016 – 2 maggio 2017, n. 20873 Presidente Ramacci – Relatore Galterio Ritenuto in fatto Con ordinanza del 4.12.2015 il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’ingiunzione a demolire opere abusive realizzate in ampliamento di un preesistente immobile sito nel Comune di Ercolano disposta dalla Procura della Repubblica in data 24.12.2014 in esecuzione della sentenza di condanna del 5.3.1997 pronunciata dal Pretore di Napoli, Sezione distaccata di Portici ed integralmente confermata dalla Corte d’Appello con pronuncia in data del 24.4.1998 nei confronti di N.C. per il reato di esecuzione di opere edili in assenza di concessione edilizia. Rilevava il Tribunale a fondamento della pronuncia di rigetto che l’ordine di demolizione ricopre natura di sanzione amministrativa la cui esecuzione è eccezionalmente demandata, qualora non abbia provveduto la P.A., al Giudice penale e che proprio in ragione della natura rivestita non soggiace alle norme previste per la prescrizione delle è assoggettabile al termine di prescrizione previsto per i reati contravvenzionali dall’articolo 173 c.p Avverso detta ordinanza ricorre in Cassazione N.C. con un unico motivo di ricorso. Nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articolo 172 e 173 c.p. in relazione ai vizi di cui all’articolo 606 lett. b , c ed e c.p.p. la ricorrente sostiene, mutuando quanto già affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo investita della questione concernente la compatibilità della confisca ex articolo 44 d.p.r. 380/2001 con l’articolo 7 della CEDU, che l’ordine di demolizione rivesta natura di pena a tutti gli effetti atteso il suo collegamento diretto con un reato accertato dal giudice penale, la sua funzione di repressione e prevenzione dell’abuso edilizio commesso e la gravità della sanzione volta a ripercuotersi direttamente sul patrimonio del condannato. Lamenta pertanto l’omessa motivazione in cui sarebbe incorso il Tribunale nell’affermare sia l’inestensibilità, senza specificarne le ragioni, della disciplina della confisca in tema di lottizzazione abusiva, qualificata dalla Corte Europea come pena a tutti gli effetti, all’ordine di demolizione, sia nell’escludere sol perché trattasi di un obbligo di facere, l’inassoggettabilità al regime della prescrizione quinquennale prevista per le sanzioni amministrative di cui alla l. 689/1981 pervenendo alla indebita conclusione di ritenere, in palese contrasto con il principio di legalità, l’ordine di demolizione facente parte di una categoria a se stante di sanzioni amministrative, priva di qualsiasi riconoscimento nel diritto positivo. Considerato in diritto La corretta applicazione da parte del tribunale partenopeo del principio di diritto reiteratamente affermato da questa Corte, secondo il quale la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale quando non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa tenuto conto che integra una sanzione ripristinatoria del bene giuridico leso, che si concretizza in un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio e che riveste, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto diretto con il bene indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo autore dell’abuso, natura reale, e che proprio in ragione di dette caratteristiche non può ritenersi una pena nell’accezione individuata dalla giurisprudenza della Corte EDU, con conseguente inassoggettabilità inassoggettabilità alla prescrizione stabilita dall’articolo 173 c.p. non consente di ritenere il ricorso fondato. Con riferimento alle specifiche censure mosse dalla ricorrente al provvedimento impugnato occorre puntualizzare, nel solco della successiva giurisprudenza chiarificatrice dei giudici di legittimità, che la natura amministrativa della demolizione giudiziale è ricavabile dall’identità di oggetto e di contenuto della demolizione disposta dall’autorità amministrativa trattandosi di misura disposta ed eseguita dal giudice penale - quantunque titolare di un potere autonomo e non alternativo a quello della P.A. tanto da essere chiamato ad impartire il relativo ordine anche quando la demolizione sia stata già disposta dall’autorità amministrativa - se ancora non sia stata altrimenti eseguita e poiché la dimensione accessoria rispetto al procedimento penale unitamente ai caratteri della revocabilità ove divenga incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore, dell’impermeabilità a tutte le eventuali vicende estintive del reato e della pena, della funzione ripristinatoria del bene giuridico leso trattandosi di misura finalizzata alla tutela del preesistente assetto del territorio mediante il ripristino dello status quo ante, della natura reale che ne connota l’irrogazione producendo effetti sul soggetto che è in rapporto diretto con il bene immobile indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo autore dell’abuso costituiscono tutti elementi incompatibili con la natura punitiva che caratterizza le sanzioni penali, ne consegue l’infondatezza dell’assoggettabilità dell’istituto in esame, attesa la natura amministrativa dal medesimo rivestita, al termine di prescrizione quinquennale prescritto dall’articolo 173 c.p. per le sanzioni penali dell’arresto e dell’ammenda cfr. Cass. Sez.3^ 36387/2015, Cass. Sez. 3^ 49331/2015 e Cass. Sez. 3^ 41498/2016 . Peraltro nessun ricorso all’interpretazione analogica è possibile nel caso di specie mancando sia l’eadem ratio tra il caso previsto e quello non disciplinato atteso che la causa di estinzione sancita dall’articolo 173 c.p. al pari del precedente articolo 172 per le sole pene principali non è una norma di favore generale tanto è vero che ne è preclusa l’applicabilità alle pene accessorie, che pure rivestono natura penale, sia una lacuna normativa non potendo ritenersi indefettibile la previsione di una causa estintiva della sanzione amministrativa in conseguenza del decorso del tempo. Invero, l’elemento temporale se può valere ad affievolire l’interesse dello Stato alla punizione derivante dalle sanzioni penali in considerazione della minore efficacia che via via assumerebbe rispetto all’ampliamento del lasso temporale decorso dalla commissione del reato, diventa invece irrilevante, allorquando si tratti di procedere alla demolizione del manufatto abusivo dal territorio e dunque alla reintegra dell’ordine urbanistico. Inconferente risulta pertanto il riferimento alla sentenza pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha qualificato la confisca urbanistica prevista dall’articolo 44 d.lgs.380/2001 come sanzione di natura penale cfr. CEDU, Sez.2^ 19.10.2013 Varvara c.Italia atteso che i connotati individuati dalla stessa Corte di Strasburgo, quali la funzione repressiva perseguita e la severità della sanzione mai potrebbero attagliarsi, proprio in ragione della finalità ripristinatoria sottesa all’ordine di demolizione, con conseguente preclusione dell’invocata applicazione del procedimento analogico. Conclusione questa che peraltro vanifica alla radice l’ulteriore rilievo relativo all’eccessiva severità della pena ritenuta dalla Corte di Strasburgo elemento costitutivo della natura penale della sanzione non perseguendo l’ordine di demolizione, a differenza delle sanzioni pecuniarie applicate nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici Europei, alcuna finalità punitiva ne consegue l’insuscettibilità della medesima ad essere declinata in termini quantitativi che consentano di evidenziarne la particolare afflittività rispetto al patrimonio del condannato. Né d’altra parte potrebbe ritenersi, sempre con riferimento all’ordinamento sovrannazionale, che la pronuncia resa dalla Corte di Strasburgo in ordine alla violazione dell’articolo 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e del conseguente principio del ne bis in idem discendente dal sistema del doppio binario, amministrativo e penale, relativo alle norme di diritto interno volte alla repressione degli abusi di mercato in seguito alle modifiche apportate dalla L. 18.4.2005, n. 62 al d.lgs. 24.2.1998, n. 58 per essere stati i ricorrenti perseguiti, dopo l’applicazione delle sanzioni amministrative particolarmente afflittive sul piano patrimoniale, nell’ambito di un procedimento penale per gli stessi fatti - possa avere ricadute dirette sulla fattispecie in esame cfr. Corte EDU 4.3.2014, Grande Stevens c. Italia nella quale in tanto scatta, nell’ottica di garantire le esigenze di celerità sottese alla riduzione in pristino dell’assetto del territorio, l’ordine di demolizione giudiziale in quanto non abbia trovato esecuzione quello amministrativo lungi dall’attuare una duplicazione sanzionatoria per il medesimo fatto illecito, la sanzione in esame resta sempre la medesima, e dunque di natura amministrativa, ancorché irrogabile dal giudice penale all’esito dell’affermazione della responsabilità penale che peraltro opera a prescindere dal fatto come sopra evidenziato che l’opera abusiva sia di proprietà del soggetto condannato. Del pari deve escludersi l’assoggettabilità dell’ordine di demolizione alla prescrizione quinquennale prevista per le violazioni amministrative dall’articolo 28 1.689/1981 aventi ad oggetto il pagamento di somme di danaro atteso che l’ordine di demolizione non riveste natura di sanzione con finalità punitiva, ma configura un obbligo di facere con finalità ripristinatoria, imposto per ragioni di tutela del territorio cfr. Cass. Sez.3^ 16537/2003 e Cass. 41498/2016 . In definitiva tutte le censure svolte, palesemente in contrasto con la reiterata interpretazione adottata da questa Corte, portano a concludere per l’inammissibilità del ricorso. A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e ad una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.