Estorsione all'impresa, la fedina penale sporca non rende automatico il “metodo mafioso”

Vittoria per l’uomo sotto accusa per lui arresti domiciliari, e non più custodia in carcere. Decisiva l’esclusione dell’aggravante. Irrilevanti la gravità delle minacce e il fatto che l’autore sia un pregiudicato.

Sotto accusa per l’estorsione messa in atto ai danni di alcune impese. Fedina penale e approccio utilizzato non sono sufficienti però per ritenere sia stato utilizzato il cosiddetto metodo mafioso”. Ciò comporta la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari Cassazione, sentenza n. 20197, sezione II Penale, depositata il 27 aprile 2017 . Metodo. Riflettori puntati sulla presunta appartenenza dell’estorsore al clan dei casalesi. Su questo punto i giudici del Tribunale del riesame smentiscono le valutazioni compiute dal Gip e ritengono applicabile una misura cautelare più lieve, cioè gli arresti domiciliari invece della custodia in carcere . La decisione poggia sulla esclusione della aggravante del metodo mafioso . E su questo punto concordano anche i magistrati della Cassazione, nonostante il ricorso e i ragionamenti messi sul tavolo dal Procuratore della Repubblica. Significativo per i giudici del Palazzaccio” il fatto che mai, in occasione delle condotte minacciose, è stata evocata l’appartenenza a clan né la riferibilità dei comportamenti posti in essere a qualsivoglia associazione criminale . Viene poi aggiunto che per parlare di metodo mafioso non è sufficiente perpetrare minacce gravi , come quella di incendiare un furgone , né è rilevante che le minacce provengano da soggetti appartenenti ad un sodalizio criminale o aventi una spiccata caratura delinquenziale , altrimenti, spiegano i giudici, si finirebbe per configurare il metodo mafioso tutte le volte in cui le minacce estorsive abbiano una certa gravità e provengano da pregiudicati, le cui storie delinquenziali siano pur note alle vittime .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 febbraio – 27 aprile 2017, n. 20197 Presidente Davigo – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con ordinanza del 18.10.2016 il Tribunale del riesame di Napoli ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari in relazione al capo 2 concernente la contestazione dell’appartenenza all’associazione di tipo camorristico, denominata clan dei casalesi e, in relazione ai capi 4 e 5, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991, in riforma dell’ordinanza impugnata, ha sostituito la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari presso la propria abitazione. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, deducendo la violazione dell’art. 7 D.L. n. 152/1991, convertito con la L. n. 203/1991, e l’illogicità della motivazione. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale del riesame, nell’escludere l’aggravante contestata del metodo mafioso, avrebbe illogicamente piegato i fatti accertati, dandone una lettura minimalistica, contrastante con la normale lettura degli stessi, e avrebbe utilizzato massime di esperienza infondate in luogo di quelle tipiche in materia di criminalità organizzata, oltre ad aver effettuato una valutazione inferenziale atomistica dei dati probatori acquisiti. Di contro, la condotta dell’indagato, per la sua modalità, per i settori economici oggetto della stessa e per la personalità dell’agente è tipico delle organizzazioni mafiose - come avvenuto nel caso in esame - operare per condizionare settori delle attività economiche e bloccare i mezzi usati per l’espletamento di attività economiche, che le organizzazioni intendono controllare non poteva non generare la percezione nelle vittime di essere esposti all’operatività di organizzazioni mafiose. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché presentato per motivi manifestamente infondati. 1.1 Deve premettersi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la carenza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando proponga censure che riguardino la ricostruzione dei fatti accolta nel provvedimento impugnato, risolvendosi in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito Sez. V, n. 46124 dell’8.10.2008, CED Cass. n. 241997 Sez. VI, n. 11194 dell’8.3.2012, CED Cass. n. 252178 , sempre che detta ricostruzione non sia decisivamente inficiata da documentati travisamenti. Tanto premesso, nel caso di specie va osservato che il Tribunale del riesame ha escluso la ricorrenza dell’aggravante mafiosa, contestata sotto il profilo del metodo, osservando che mai, in occasione delle condotte minacciose perpetrate dai coindagati è stata evocata appartenenza a clan né la riferibilità dei comportamenti posti in essere a qualsivoglia associazione criminale. Non è sufficiente invero, ai fini dell’integrazione del metodo mafioso, perpetrare minacce gravi quale quella di incendiare un furgone o di portare danni alla persona né che le minacce provengano da soggetti appartenenti ad un sodalizio criminale tra l’altro l’intraneità del M. - l’unico per il quale l’accusa ha ipotizzato l’appartenenza al clan dei casalesi - non è supportata convincentemente dal materiale investigativo, come si è innanzi chiarito o aventi spiccata caratura delinquenziale. Occorre invero ingenerare nella vittima attraverso la condotta minacciosa la consapevolezza che l’agente appartenga ad un’associazione di stampo mafioso ed è necessario che vi sia esteriorizzazione del metodo. Siffatta argomentazione non è inficiata da vizi logici né è in contrasto con la norma dell’art. 7 D.L. n. 152/1991, ponendosi, invece, in linea con quanto enunciato da questa Corte cfr., ex multis, Sez. 6, n. 50064 del 16.9.2015, Rv 265656 , secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 7 citato, il c.d. metodo mafioso deve necessariamente avere una sua esteriorizzazione quale forma di condotta positiva richiesta dalla norma con il termine avvalersi . D’altra parte, come rilevato dalla stessa ordinanza impugnata, se non fosse necessaria l’esteriorizzazione del metodo mafioso, si finirebbe per configurare il metodo mafioso tutte le volte in cui le minacce estorsive abbiano una certa gravità e provengano da pregiudicati, le cui storie delinquenziali pur siano note alle vittime . Ne discende che, in difetto di violazioni di legge o di vizi motivazionali, il ricorso proposto non può trovare accoglimento. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Manda alla cancelleria di effettuare gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1 ter disp. att. cod. proc. pen Sentenza con motivazione semplificata.