Vietato indurre in tentazione...

Costituisce condotta illecita e, come tale, perseguibile, l'istigazione alla corruzione per una funzione o un potere già esercitati.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 19319, depositata il 21 aprile 2017. Un caffè corretto, o un caffè scorretto”? La più italiana delle bevande, ma evidentemente anche la più insidiosa non ci riferiamo – è ovvio – alle sue ben note controindicazioni cardiologiche o gastroenterologiche quanto piuttosto alla potenzialità dell'invito a bere quel corroborante infuso di trasformarsi in una notizia di reato per istigazione alla corruzione. Certo, il caffè de quo era corretto, e non con la grappa bensì con una banconota da 50 euro, offerta ad un poliziotto da un imprenditore pugliese, gestore di una ditta di soccorso stradale. Era un modo – certamente ingenuo e altrettanto certamente male interpretato – per ringraziare il pubblico ufficiale che lo aveva chiamato per rimuovere una macchina in realtà, la ditta dell'imputato era stata sorteggiata sulla base di una turnazione stabilita dalla Prefettura. Giudicato nelle forme del rito abbreviato, l'incauto imprenditore veniva dichiarato non punibile per particolare tenuità del fatto. Una sentenza che non poteva soddisfarlo, dato che implica l'affermazione di sussistenza degli estremi di reato. Ed ecco prontamente giungere il ricorso per cassazione. Di riforma in riforma. Il catalogo dei delitti contro la pubblica amministrazione, oltre a detenere senza dubbio il primato dell'audience per avere monopolizzato una ormai lontana stagione della cronaca italiana, è uno dei più interessati da riforme e novelle, tutte animate dall'encomiabile – ma, dobbiamo constatare, irraggiungibile - obiettivo di arginare quanto più possibile il malcostume e la corruttela. La decisione che oggi commentiamo si segnala anzitutto per la pregevole – e utilissima – sintesi dei principali interventi di riforma riguardanti la figura delittuosa della corruzione in tutte le sue varianti e della istigazione a commetterla. Non possiamo qui ripercorrere certamente tutte le tappe della evoluzione normativa – ci vorrebbe una monografia, e ve ne sono di pregevolissime in circolazione - basterà rilevare, innanzitutto, che la scelta di punire l'istigazione alla corruzione dimostra l'intenzione del legislatore di voler anticipare il più possibile la soglia di punibilità per il mercimonio”, come si usa denominarlo, dell'attività della pubblica amministrazione. L'istigazione, cioè il far sorgere in altri un proposito criminoso, costituisce un'induzione in tentazione che va repressa forse perché – si potrebbe malignare – ben si sa che la natura umana è debole meglio, quindi, arretrare il più possibile la individuazione della rilevanza penale del fatto. Naturalmente, questa non è la ratio ufficiale dell'esistenza di una simile fattispecie di reato, che si colloca, invece, nella necessità di proteggere il retto funzionamento ed il prestigio della pubblica amministrazione . Lo schema della norma incriminatrice, per forza di cose, ricalca quello delle corrispondenti fattispecie corruttive. E qui entriamo nei distinguo che tradizionalmente si accompagnano allo studio dei delitti in esame tutti ricorderanno la differenza tra corruzione impropria e propria, fondata sulla conformità o contrarietà dell'atto compravenduto” ai doveri d'ufficio nonché l'ulteriore distinzione tra corruzione antecedente o susseguente, secondo che la dazione illecita preceda o segua il compimento dell'atto pubblico. Prima della riforma del 2012 erano sanzionate, per quanto riguarda il privato, soltanto le condotte di istigazione alla corruzione impropria antecedente. Non era punita la corruzione impropria susseguente correlativamente, la stessa ipotesi non era punibile in chiave istigativa a causa del ritenuto minor disvalore della condotta. Con la novella del 2012, però, lo stato dell'arte cambia radicalmente. Con il testo in vigore nessun dubbio sulla punibilità. La derivazione del delitto di istigazione da quello di corruzione ha fatto sì che, modificato il secondo con il rimodellamento della corruzione impropria”, anche il primo ne abbia risentito in termini di esatta individuazione delle condotte punibili. Secondo l'attuale testo del codice penale è penalmente rilevante la mercificazione della funzione” o dei poteri” del pubblico ufficiale, che deve quindi restare indenne da ogni seduzione indecente. Tanto è vero che il corruttore viene oggi ritenuto passibile di pena tout court , senza distinzione di conformità/difformità del frutto dell'accordo illecito con i doveri d'ufficio e senza che rilevi se la mazzetta” venga consegnata prima o dopo. Ecco perché gli Ermellini ci dicono che l'istigazione alla corruzione impropria susseguente è penalmente rilevante. Ciò che conta, infatti, oggi è la funzione” pubblica in quanto tale. Il temperamento del rigore è nella valutazione dell'offensività della condotta. Una scelta normativa senza dubbio netta, forse troppo. Quindi il correttivo – sempre necessario per evitare risposte penali sproporzionate per eccesso al singolo caso concreto – non può che essere quello della concreta valutazione del grado di offensività di una condotta. Non sono così penalmente rilevanti quelle istigazioni alla corruzione in cui l'offerta si sia rivelata inidonea potenzialmente a ledere o a porre in pericolo l'interesse protetto dalla norma . Tra le righe la Cassazione ci vuol dire che l'offensività è una componente essenziale della struttura dell'illecito, e questo è molto importante. Così, introducendo una sana e inevitabile dose di valutazione di merito nel giudizio di legittimità, quei miseri cinquanta euro - maldestro tentativo dell'imputato di manifestare all'agente di polizia la propria gratitudine per l'attività compiuta - consentono un annullamento della decisione di primo grado per insussistenza del fatto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 febbraio – 21 aprile 2017, n. 19319 Presidente Conti – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani assolveva, all’esito di giudizio abbreviato, L.G. dal reato di cui all’art. 322 cod. pen. perché non punibile per la particolare tenuità del fatto. All’imputato era stato contestato di aver offerto il 23 aprile 2014 ad un assistente capo della Polizia di Stato la somma di 50 Euro per il compimento di un atto del suo ufficio . In particolare, l’imputato, responsabile di una ditta di soccorso stradale, era stato contattato dalla Sala operativa della Questura - sulla base di un ordine di turnazione stabilito dalla locale Prefettura - per la rimozione di veicoli di provenienza furtiva. Al termine delle operazioni, dopo che gli agenti della Polizia presenti sul posto avevano ultimato le pratiche burocratiche presso la ditta del L., quest’ultimo li aveva invitati a prendere un caffè al bar. All’accettazione da parte di uno degli agenti, il L. aveva estratto dalla tasca una banconota di 50 Euro, offrendola a quest’ultimo come il caffè . Alla reazione contrariata dell’agente per il gesto, il L. aveva riposto in tasca la banconota scusandosi per la condotta. Secondo il Giudice dell’udienza preliminare, la rigida regola di turnazione stabilita per il servizio di recupero dei mezzi tra le ditte accreditate, faceva escludere che la finalità dell’atto fosse quella di far compiere al pubblico ufficiale un atto contrario al proprio ufficio, dovendosi piuttosto presumere che con tale gesto maldestro l’imputato avesse voluto manifestare la propria gratitudine agli agenti. Trattandosi di fatto di minima offensività, il Giudice dell’udienza preliminare lo riteneva non punibile ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen 2. Il difensore dell’imputato, avv. Francesco Paolo Sisto, ricorre per l’annullamento della suddetta sentenza, per i seguenti motivi - violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in quanto non sarebbe configurabile la fattispecie penale di cui all’art. 322, comma 1, cod. pen. per un atto del proprio ufficio già compiuto - violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., avendo il Giudice apoditticamente ritenuto che la condotta fosse idonea a creare un turbamento psichico nel pubblico ufficiale - violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., per mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo del reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate. 2. Appare assorbente la questione posta dal ricorrente con il primo motivo di annullamento, ovvero se costituisca reato, secondo la vigente formulazione dell’art. 322 cod. pen., l’istigazione alla corruzione passiva in relazione ad un atto già compiuto. 2.1. Va rilevato che il reato di istigazione alla corruzione, di cui all’art. 322 cod. pen., è stato oggetto di più interventi di novellazione, di cui l’ultimo ad opera della legge n. 190 del 2012. Secondo una condivisa esegesi, formatasi nella vigenza della precedente formulazione della norma, l’art. 322 cod. pen. viene ad estendere la punibilità dell’agente, sia privato che pubblico, in fattispecie in cui l’ipotesi base di corruzione non sia neppure realizzata sotto forma di tentativo. La corruzione è infatti reato plurisoggettivo di natura bilaterale o, per così dire, a concorso necessario tra tante, Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234361 , nel quale l’elemento caratterizzante dell’illecito è ritenuto la stipulazione tra il privato e il pubblico ufficiale di un pactum sceleris , avente ad oggetto i doveri funzionali del secondo le condotte convergenti e, per così dire, speculari del privato e del pubblico funzionario si integrano a vicenda, dando vita ad un unico delitto a compartecipazione necessaria, la cui configurazione è strettamente collegata alla sussistenza di entrambe le condotte il pubblico ufficiale percepisce l’utilità o ne accetta la promessa e dà in cambio l’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio nella posizione inversa viene a trovarsi il privato . Come chiarito dalla giurisprudenza ora citata, tale impostazione trae conferma dall’art. 322 cod. pen., norma altrimenti superflua, in quanto l’autonoma punibilità dell’azione del privato, che invano promette od offre denaro a un pubblico ufficiale o quella di quest’ultimo che sollecita vanamente tale promessa o dazione, discenderebbe dalla norma generale sul tentativo. L’art. 322, invece, viene ad assolvere proprio alla funzione di sottoporre a sanzione fatti tendenti ad insidiare il senso di rettitudine e di disinteresse che deve sempre accompagnare l’esercizio delle pubbliche funzioni Sez. 6, n. 1593 del 19/11/1968, dep. 1969, Varricchio, Rv. 109976 altrimenti non punibili per effetto del disposto dell’art. 115 cod. pen La ratio di tale scelta riposa sull’interesse a proteggere il retto funzionamento ed il prestigio della pubblica amministrazione contro il pericolo di unilaterali iniziative che, in quanto rivolte alla conclusione di un pactum sceleris , possono rappresentare un grave turbamento della funzione pubblica o della concreta attività della pubblica amministrazione Sez. 6, n. 36077 del 27/05/2009, Torre, Rv. 244868 . Venendo pertanto ad anticipare l’intervento repressivo di attività dirette a conseguire i risultati tipici della corruzione, il reato di cui all’art. 322 cod. pen. è stato dal legislatore strutturato specularmente alle fattispecie-base degli artt. 318 e 319 cod. pen 2.2. Già nella precedente formulazione della norma, quale risultante dalla legge del 12 aprile 1990, n. 86, l’art. 322 cod. pen. prevedeva quattro diverse fattispecie autonome di reato monosoggettivo ai primi due commi, le ipotesi di istigazione alla corruzione passiva commessa dall’ extraneus , e, ai successivi, quelle di istigazione alla corruzione attiva commessa dall’ intraneus . Il tenore letterale della suddetta norma aveva portato concordemente la giurisprudenza e la dottrina ad escludere dal perimetro delle condotte punibili l’istigazione ad opera del privato alla corruzione impropria susseguente ovvero per un atto di ufficio già compiuto , posto che l’offerta o la semplice promessa doveva essere effettuata per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio a compiere un atto conforme ai doveri dell’ufficio o del servizio . In tal senso militava anche il riferimento che la stessa norma faceva alla pena stabilita nel primo comma dell’art. 318 cod. pen., ovvero alla fattispecie di corruzione impropria antecedente Sez. 6, n. 8398 del 25/06/1996, Balboni, Rv. 205564 . Tale scelta inoltre appariva coerente con la esclusione dall’area del penalmente rilevante della corruzione impropria susseguente ad opera del privato, come dimostrava il rinvio dell’art. 321 cod. pen. pene per il corruttore alla sola pena del primo comma dell’art. 318 cod. pen Il legislatore aveva inoltre, sin dal testo originario della norma, optato per una simmetrica soluzione anche per l’istigazione alla corruzione propria ad opera del privato, limitandone la punibilità alla sola forma antecedente, come dimostra nel secondo comma dell’art. 322 cod. pen. il ricorso alla stessa formulazione offerta o promessa per indurre . Diversamente dalla corruzione propria, per l’istigazione la opzione di politica criminale di non punire l’ extraneus è stata motivata dalla dottrina con il minore disvalore della relativa condotta l’avvenuto compimento dell’atto d’ufficio, quant’anche illecito od illegittimo, da parte del soggetto pubblico, al di fuori di ogni possibile intesa con il privato, era ritenuta una situazione di pericolo presunto che non giustificava la punizione del privato per unilaterali iniziative volte a retribuire , invano, l’agente pubblico. Con la riforma del 1990, la norma si è arricchita delle ulteriori ipotesi di istigazione ad opera dell’agente pubblico, attraverso le quali il legislatore ha voluto eliminare i dubbi sulla possibilità di punire il tentativo di corruzione passiva, in presenza della condotta di quest’ultimo che si attiva, senza successo, nel richiedere al privato un corrispettivo indebito per il compimento di atti conformi o contrari ai doveri di ufficio. Con riferimento a tali ipotesi, disciplinate dal terzo e quarto comma dell’art. 322 cod. pen., la pur non limpida lettera della norma, che ha fatto registrare, in assenza di pronunce giurisprudenziali, diverse interpretazioni nel dibattito dottrinario, prevedeva la punibilità di condotte sollecitatorie da parte del pubblico agente anche con riferimento ad un’attività già compiuta, come era dato argomentare dal richiamo alle finalità previste dagli interi articoli 318 e 319 cod. pen. a cui la norma rinviava, e quindi anche a quella di farsi retribuire illecitamente per un atto già compiuto. 2.3. La riforma intervenuta ad opera della legge n. 190 del 2012 sulla fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. ha necessariamente riguardato anche il reato di istigazione. L’art. 318 cod. pen. viene a contemplare nel testo vigente un’unica fattispecie di identico di disvalore di corruzione per l’esercizio della funzione , nella quale il legislatore ha eliminato il riferimento all’ atto d’ufficio che aveva giustificato la previsione di due distinte ipotesi, connotate da differente gravità, a seconda della collocazione temporale dell’accordo corruttivo rispetto all’atto dell’ intraneus . Inoltre, il legislatore ha eliminato dalla fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. il riferimento alla retribuzione , così vietando ogni forma di mercimonio delle funzioni, indipendentemente dalla esistenza di un rapporto di proporzione di tipo sinallagmatico mentre, non modificando l’art. 321 cod. pen. a dir il vero, neppure coordinando la lettera della norma alla nuova veste dell’art. 318 cod. pen. , ha escluso spazi di impunità per il corruttore. Il nuovo articolo 318 cod. pen., attraverso la locuzione per l’esercizio , viene ora a punire non solo le condotte già previste dal vecchio testo, ma anche tutti i casi in cui l’indebita dazione o la sua promessa si colleghino, causalmente o finalisticamente, all’esercizio della funzione o del potere da parte dell’intraneus Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, Rv. 255073 Sez. 6, n. 11792 del 11/02/2013, Castelluzzo, in motivazione , indipendentemente dal compimento di singoli atti dell’ufficio. Come è stato osservato dalla dottrina, la preposizione per viene ad indicare non solo la finalità in vista della quale la remunerazione è effettuata o promessa, ma anche la causa dell’indebita dazione di denaro o altra utilità o la sua promessa, costituita dall’esercizio della funzione o del potere da parte dell’agente pubblico. A ciò deve aggiungersi che, proprio perché l’accordo corruttivo è sganciato da uno specifico atto d’ufficio, la distinzione della corruzione impropria in antecedente o susseguente non ha più un decisivo rilievo. Il riferimento all’esercizio dei poteri o delle funzioni viene in realtà a cogliere, anche in situazioni in cui la dazione indebita sia successiva al manifestarsi di tale esercizio, la proiezione dell’accordo corruttivo verso il futuro la remunerazione del pubblico agente in funzione dell’avvenuto esercizio dei suoi poteri o funzioni rappresenta infatti un insidioso modo per creare una relazione così da assicurarsene i futuri favori. L’elaborazione giurisprudenziale si è particolarmente soffermata sui rapporti della nuova fattispecie dell’art. 318 cod. pen. con quella, pressoché immutata, disciplinata dall’art. 319 cod. pen Nella precedente formulazione, il perimetro assegnato all’art. 318 cit. era sostanzialmente disegnato dall’art. 319 cod. pen., nel senso che rientravano nel fuoco della prima incriminazione tutti quei casi di corruzione per i quali non erano ravvisabili gli estremi della fattispecie propria . Dunque, l’ipotesi criminosa della corruzione impropria veniva in considerazione, in via tipicamente residuale, in presenza di mercimonio riferito ad un atto non solo legittimo, ma anche conforme ai doveri di ufficio del pubblico agente tra tante, Sez. 6, n. 23804 del 17/03/2004, Sartori, Rv. 229642 . Secondo un’interpretazione condivisa dal Collegio, il legislatore con la riscrittura dell’art. 318 cod. pen. non ha inteso rovesciare l’assetto dei rapporti fra le due citate fattispecie di corruzione, assegnando alla prima il ruolo di norma di portata generale, con la quale sanzionare ogni forma di mercimonio della funzione, fatti salvi i casi in cui il pactum sceleris abbia ad oggetto i singoli, specifici atti indicati nell’art. 319 cod. pen Pertanto, anche nel testo vigente la fattispecie prevista dall’art. 318 ha un ambito di operatività residuale rispetto alla fattispecie principale della corruzione propria, ricorrendo in tutte quelle ipotesi in cui il mercimonio della funzione non abbia ad oggetto atti contrari ai doveri d’ufficio Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, Ferrante, Rv. 266510, secondo cui lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio, ancorché non predefiniti, né specificamente individuabili ex post, ovvero mediante l’omissione o il ritardo di atti dovuti, integra il reato di cui all’art. 319 cod. pen. e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen. . 2.4. Riformulato l’art. 318 cod. pen., il legislatore ha conseguentemente rimodellato le ipotesi di istigazione alla corruzione impropria , collegandole non più al singolo atto dell’ufficio, ma all’esercizio delle funzioni o dei poteri. Si tratta ora di stabilire se la trasposizione nel primo e nel terzo comma dell’art. 322 cod. pen. della stessa locuzione per l’esercizio delle funzioni o dei poteri di cui all’art. 318 cod. pen. consenta di ritenere punibile anche l’istigazione alla corruzione impropria in relazione ad una funzione o un potere i già esercitati. Il Collegio ritiene di dare a tale questione risposta affermativa. Non vi è ragione infatti per interpretare la suddetta proposizione in modo diverso rispetto all’art. 318 cod. pen Il tenore letterale della novella non offre alcun appiglio testuale per ritenere che il legislatore abbia voluto riferirsi alla sola istigazione alla corruzione impropria proiettata verso il futuro esercizio dei poteri o funzioni del destinatario dell’offerta o promessa. Né appare dirimente l’argomento evidenziato da parte della dottrina della irragionevole mancanza di simmetria con le restanti ipotesi previste dall’art. 322 cod. pen. ed in particolare con la quella della istigazione ad opera del privato alla corruzione propria susseguente. Orbene, sono proprio i rapporti tra il primo ed il secondo dell’art. 322 cod. pen., che replicano quelli tra le fattispecie-base di corruzione, a consentire di dare contenuto alla previsione del primo comma quest’ultimo viene a coprire ogni forma di istigazione del privato per l’esercizio delle funzioni o dei poteri che non ricada nella ipotesi più grave sanzionata dal secondo comma in cui il privato abbia messo in atto una pericolosa spinta, attraverso la offerta o la promessa di denaro o utilità, verso il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri di ufficio. Come si è detto in precedenza, il termine per , ancor più nella istigazione, appare, anche quando l’iniziativa unilaterale del privato si riferisca ad un potere o una funzione già esercitati, proiettare la condotta verso il futuro esercizio dei poteri e delle funzioni del soggetto pubblico. Il rigore della soluzione interpretativa qui accolta relativamente alla posizione del privato appare in ogni caso ragionevolmente attenuato dal principio di offensività, che ha già tempo portato la giurisprudenza di legittimità ad escludere dall’area del penalmente rilevante ipotesi di istigazione in cui l’offerta si sia rivelata inidonea potenzialmente a ledere o a porre in pericolo l’interesse protetto dalla norma Sez. 6, n. 1935 del 04/11/2015, dep. 2016, Shirman, Rv. 266498 e, ciò in particolar modo quando, versandosi in situazioni di cui al primo comma dell’art. 322, si sia in presenza di piccole regalie di cortesia o d’uso Sez. 6, n. 30268 del 09/07/2002, Rossi, Rv. 222746 . D’altra parte è la stessa legge n. 190 del 2012 a ritenere lecita l’accettazione di regali d’uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia art. 1, comma 44 . 3. Così ricostruito il quadro normativo, va esaminata la vicenda in esame. La sentenza impugnata, nel rilevare la piena conformità dei comportamenti o atti posti in essere dagli agenti di polizia ai loro doveri di ufficio, ha ravvisato nell’offerta di denaro per il caffè solo il maldestro modo dell’imputato di manifestare all’agente di polizia la propria gratitudine per l’attività compiuta. Ha altresì constatato che, in ogni caso, dalla dazione non poteva derivare all’imputato alcun vantaggio futuro, stante la rigida regola di rotazione per il recupero dei mezzi su strada. Il Giudicante ha pertanto concluso che la condotta veniva a ricadere nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 322 cod. proc. pen., in quanto la finalità della offerta doveva ritenersi quella di indurre il pubblico ufficiale a compiere un atto conforme ai doveri di ufficio. È evidente il non lineare percorso motivazionale della sentenza impugnata, che da una condotta di mera gratitudine ha poi finito per qualificare l’azione in forma induttiva, pur sempre nell’ambito del primo comma dell’art. 322 cod. pen Tuttavia il vizio motivazionale appare irrilevante in quanto per entrambe le forme delittuose prefigurate deve pervenirsi ad un annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Quanto alla prospettata attività induttiva, non è dato comprendere quale sia la funzione o il potere il cui esercizio l’imputato intendesse sollecitare all’agente di polizia non dipendeva certo da quest’ultimo la possibile futura chiamata per l’intervento del soccorso stradale. Ma anche a fronte del gesto di mera gratitudine dell’imputato per l’attività compiuta dagli agenti nel caso in esame avevano scortato il mezzo di soccorso ed ultimato presso gli uffici del L. le pratiche per l’affidamento della custodia giudiziaria e della constatata minima offensività del fatto, in relazione anche alla somma offerta, il Giudicante avrebbe dovuto prendere in considerazione l’inoffensività della condotta dell’imputato. Come si è detto in precedenza, è stato lo stesso legislatore a prevedere eccezioni per i munuscula o donativi di modico valore secondo il d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, da identificarsi per i pubblici dipendenti nell’ordine massimo di 150 Euro , così escludendo la rilevanza penale dell’accettazione di utilità provenienti dal privato nell’ambito delle normali relazioni di cortesia. A maggior ragione deve ritenersi priva di offensività la condotta del privato che manifesti con donativi di modesto valore il proprio apprezzamento per la attività svolta dal pubblico agente. Non fa velo a questa conclusione la più restrittiva disciplina adottata per le forze di polizia secondo il nuovo codice di comportamento per i dipendenti del Ministero dell’interno, in vigore dall’11 agosto 2016, è fatto divieto di accettare regali in danaro di qualsiasi importo , sia perché successiva ai fatti in esame, sia perché in ogni caso ragionevolmente incidente sulla condotta del pubblico agente e non automaticamente trasponibile su quella dell’ extraneus . 4. Da quanto precede, la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.