Condannato l’uomo che picchia e rinfaccia alla compagna la perdita della verginità

Donna vittima di un incubo. Sei anni di reclusione per il compagno, che l’ha maltrattata sia fisicamente che psicologicamente, arrivando ad obbligarla ad avere anche tre rapporti intimi in due giorni.

Convivenza da incubo per una donna. Il compagno, preda dell’alcool, l’ha costretta a diversi rapporti sessuali, l’ha spesso maltrattata fisicamente e psicologicamente, rinfacciandole la perdita della verginità, e l’ha addirittura obbligata ad accettare il matrimonio con un altro uomo, così da consentire a quest’ultimo di evitare l’espulsione dall’Italia. Inevitabile la condanna, con una pena fissata in sei anni di reclusione Cassazione, sentenza n. 18908, sezione III Penale, depositata il 20 aprile 2017 . Incubo. Completamente degenerato il rapporto della coppia, con lei nella parte della vittima. Il compagno, uno straniero, l’ha obbligata a tre rapporti sessuali completi in due giorni , e l’ha sottoposta a continue vessazioni fisiche e psicologiche , arrivando addirittura a rinfacciarle il fatto di avere già perduto la verginità . Per completare il quadro, infine, l’obbligo di sposare ufficialmente un altro uomo per consentirgli di evitare l’espulsione . I racconti fatti dalla donna, vittima di questo incubo, sono sufficienti per inchiodare il suo compagno. A dare forza a quelle parole anche i resoconti della sua collega di lavoro e amica, con cui si è confidata raccontandole che il rapporto di convivenza era diventato un incubo. Nessuna difesa è possibile per l’uomo, che, ribadiscono i giudici della Cassazione, va condannato con sei anni di reclusione per le violenze perpetrate ai danni della compagna.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 novembre 2016 – 20 aprile 2017, n. 18908 Presidente Cavallo – Relatore Rosi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bologna con sentenza dell’8 aprile 2014, ha confermato la sentenza del 13 maggio 2011, con cui il Tribunale di Bologna aveva condannato K.H. alla pena di anni sei di reclusione in quanto ritenuto responsabile dei seguenti delitti capo b di cui all’art. 609 bis c.p., perché in stato di ubriachezza, colpendola con schiaffi e gettandola sul letto, colpendola con un cutter, costringeva P.J. a subire atti sessuali, consistiti in almeno tre rapporti sessuali completi, in nella notte tra il omissis capo c di cui all’art. 572 c.p., perché con la condotta descritta al capo precedente e comunque picchiando la convivente P.J. e rinfacciandole continuamente l’assenza della verginità al momento del loro incontro, la maltrattava con continue vessazioni fisiche e psichiche, in dal omissis in tale ultima fattispecie ritenuto assorbito il delitto di violenza privata contestato al capo a , per aver costretto P.J. , con violenza e minaccia, in concorso con K.W. , a contrarre matrimonio civile con quest’ultimo in data omissis , in particolare la violenza veniva attuata dall’imputato K.H. , convivente della donna attraverso continue pressioni ed attuando ritorsioni e soprattutto malmenandola e costringendola a seguire tutto l’iter burocratico fino alla celebrazione del rito . 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, dopo essere stato rimesso nei termini per l’impugnazione con sentenza della Corte di Cassazione del 13 gennaio 2016, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi 1 Violazione ex art. 606 lett. b c.p.p., anche in relazione all’art. 192 c.p.p., nonché contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nullità della sentenza ex art. 606 lett. e c.p.p. i giudici di appello hanno condiviso le argomentazioni del Tribunale pur ritenendole farraginose nell’esposizione in particolare, rispetto alla valutazione di attendibilità della testimonianza della persona offesa P. , nonostante le plurime contraddizioni delle sue dichiarazioni e tenuto conto che la visita ginecologia con esito negativo, che avrebbe dovuto riscontrare i fatti avvenuti nella notte tra il 28 febbraio e marzo, era stata effettuata cinque giorni dopo non si sarebbe tenuto conto che la denuncia della P. è legata temporalmente alle indagini che la questura di Bologna stava svolgendo sul matrimonio simulato contratto dalla P. e quindi avrebbe movente ritorsivo 2 Nullità della sentenza e mancanza ed illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche va considerato che era stata la parte offesa ad offrirsi di sposare W. per evitargli l’espulsione, mentre il comportamento del ricorrente non va considerato solo alla luce dei precedenti penali, sulla cui base i giudici di merito hanno negato il riconoscimento delle attenuanti. La pena non sarebbe infatti commisurata alla gravità dei fatti. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Gli stessi non forniscono elementi concreti e specifici di critica al compendio motivazionale svolto dai giudici di merito che risulta invece completo, esaustivo e coerente. Inoltre in sede di legittimità non è possibile svolgere un nuovo giudizio sui fatti, ricostruendoli secondo modelli valutativi di maggiore favore rispetto a quelli adottati dai giudici di appello, i quali con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento in adesione alle risultanze processuali acquisite e, pur facendo riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione esaustiva ed autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando le ragioni dell’attendibilità della persona offesa, alla luce dei principi giurisprudenziali che consentono al giudice di trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, comma 3 e 4 c.p.p. che richiedono la presenza di riscontri esterni cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016 . 2. Le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e nella interpretazione della fattispecie di reato qui in contestazione, della quale hanno fornito ampia motivazione in particolare la sentenza impugnata ha adeguatamente argomentato la propria decisione, pur facendo riferimento alla ricostruzione dei fatti ed alle argomentazioni della sentenza di primo grado, fornendo una valutazione esaustiva ed autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati,in particolare sull’attendibilità della persona offesa, tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo Così, Sez. 3, n. 21640 dell’8/6/2010, P., Rv. 247644 . 3. Peraltro nel caso di specie i giudici del merito hanno evidenziato che la ragazza aveva confidato della grave situazione nella quale il suo rapporto di convivenza con l’imputato era precipitato, riferendo della costrizione ai rapporti sessuali e delle botte alla collega di lavoro B.R. e finanche ai propri datori di lavoro, i quali, proprio dopo l’episodio finale che aveva posto fine alla convivenza, le avevano dato ospitalità né del resto l’attendibilità di tali testimonianze era stata mai messa in dubbio dal ricorrente, tenuto conto che, come correttamente evidenziato dalla Corte bolognese, non si tratta solo di testimonianze de relato, avendo la collega B. non solo raccolte le confidenza della P. , ma anche notato la frequenza dei lividi sul corpo della stessa. La sentenza impugnata è pertanto immune da censure avendo i giudici di secondo grado espresso con motivazione ampia ed adeguata il loro giudizio di piena attendibilità, ed assenza di malanimo, di quanto narrato dalla persona offesa nella deposizione dibattimentale, sia in relazione alle violenze sessuali, che ai maltrattamenti, che alla costrizione a contrarre un finto matrimonio con W. . 4. Risulta del pari manifestamente infondata la seconda censura la sentenza impugnata ha fornito una idonea motivazione sulle ragioni per le quali non è possibile riconoscere la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche, tenuto del resto conto che già il giudice di primo grado aveva sottolineato la mancanza dei presupposti per riconoscerle, in ragione della gravità del fatto di violenza sessuale, della durata dei maltrattamenti e del comportamento successivo al reato. La Corte di appello ha evidenziato le minacce e molestie recate alla testimone B. dall’imputato che la riteneva responsabile della rottura del suo legame con la P. e risulta anche manifestamente infondata la censura proposta laddove assume che la negazione delle circostanze attenunanti generiche sarebbe conseguenza dei soli precedenti penali, posto che la Corte di appello ha richiamato sia gli allarmanti impulsi aggressivi posti in essere in danno della ragazza sbattuta contro un armadio e minacciata e ferita con un cutter , sia la mancanza di seri e concreti segnali di resipiscenza in capo all’imputato nel prosieguo del processo penale. 5. Ciò è in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha affermato che la decisione sulle circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. è frutto di un apprezzamento di merito nel quale il giudice fa uso del proprio potere discrezionale e la relativa decisione non è mai impugnabile laddove sia stata adeguatamente motivata sulla base delle emergenze processuali, come avvenuto nel caso di specie. Né il ricorrente ha addotto innanzi alla Corte di appello elementi di segno positivo, che avrebbero potuto giustificare una diversa valutazione, l’assenza dei quali ha pienamente legittimato la conferma del diniego di concessione delle circostanze in parola Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotis, Rv. 265826 e sez. 3 Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610 . Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente ex art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.