Può esserci concorso di reati tributari e bancarotta fraudolenta

Non sussiste specialità tra il reato di bancarotta fraudolenta documentale e quello di occultamento o distruzione di documenti contabili le due fattispecie sono caratterizzate da alterità.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18927/17 depositata il 20 aprile. Il caso. L’imputato era stato condannato dal Tribunale di Milano per il reato di concorso di persona in bancarotta fraudolenta documentale in concorso con il fratello. Successivamente veniva perseguito per due fattispecie di reati tributari omessa dichiarazione art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ed occultamento o distruzione di documenti contabili art. 10 d.lgs. cit. . Relativamente ai reati tributari, dopo una prima condanna in primo grado, davanti alla Corte d’appello l’imputato veniva condannato solo per l’occultamento/distruzione veniva, invece, assolto, perché il fatto non sussiste, per il reato di omessa dichiarazione. Il condannato ricorreva, infine, davanti al Giudice di legittimità censurando la seconda condanna per reato tributario, sotto il profilo della violazione di legge penale sostanziale e, precisamente, del principio di specialità, ipotizzando una lesione del divieto di bis in idem sostanziale. Il fatto-reato tributario è sovrapponibile a quello di bancarotta? Secondo la tesi difensiva, la condotta incriminata sarebbe identica nella fattispecie di reato tributario ex art. 10 d.lgs. cit. e nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale, ravvisandosi in quest’ultimo il reato più grave per il quale era già intervenuta sentenza di condanna. Di qui, secondo tale tesi, l’assorbimento – sulla base del principio di specialità – del reato tributario di occultamento/distruzione di documenti contabili di cui è obbligatoria la conservazione. La condotta sottostante il reato tributario è ostativa” alla ricostruzione dei redditi e del volume d’affari. Ricorso inammissibile in rito Il motivo di ricorso non è stato proposto in appello, ergo non è proponibile per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione. La questione controversa riguarda un supposto caso di bis in idem sostanziale con la conseguenza che l’accertamento relativo all’identità del fatto” oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, che non compete alla Corte di legittimità. Già questo profilo consentirebbe alla Suprema Corte di respingere le richieste di esame avanzate dal ricorrente tuttavia la Corte – pur condannando il ricorrente, stante la causa di inammissibilità del ricorso che prevale su altri profili, al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende – si spinge ad esaminare la questione di puro diritto” censurata dal ricorrente. e manifestamente infondato nel merito. Come accennato, la Corte si intrattiene sulla questione controversa relativa ad un supposto bis in idem sostanziale asseritamente subito dal ricorrente in forza di una condanna non definitiva per reato fallimentare e una condanna per reato tributario avente ad oggetto, a suo dire, la medesima condotta criminosa distruzione/occultamento di documenti contabili . Divieto di bis in idem. Il divieto di bis in idem comporta che non possa essere promossa nuovamente l’azione penale per un fatto e contro una persona nei cui confronti sia già pendente un processo penale anche se in fase e grado diversi nella medesima sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero. Ne deriva che deve essere disposta l’archiviazione del procedimento eventualmente duplicato. Consumazione del potere. Se l’azione sia stata già esercitata, invece, la relativa causa di improcedibilità deve essere rilevata con sentenza. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal PM riguarda, pertanto, solo situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti davanti a giudici ugualmente competenti. Le disposizioni sui conflitti positivi di competenza, invece, restano applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo davanti a giudici di differenti sedi giudiziarie, uno dei quali sia incompetente. È una questione di puro diritto. Come anticipato la Corte si sofferma sulla questione sottesa richiamando giurisprudenza consolidata che ha escluso la sussistenza della specialità – e, quindi, del bis in idem sostanziale – tra il reato di occultamento/distruzione di documenti contabili obbligatori e la bancarotta documentale. Le due fattispecie incriminatrici hanno ratio diverse quella tributaria concerne l’impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari e, quindi, il risultato economico delle operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta mentre, diversamente, l’azione fraudolenta sottesa alla bancarotta documentale determina un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori che deve essere rapportato all’intero corredo documentale, non rilevando, altresì, l’obbligo normativo della tenuta delle scritture contabili, potendosi apprezzare anche la lesione derivante dalla sottrazione di scritture facoltative. Diverso è anche il dolo nel delitto fallimentare il soggetto agente vuole procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o recare pregiudizio ai creditori mentre tale finalità non è presente nella fattispecie penale-tributaria. Possibile il concorso di reati. In conclusione, la Corte ha implicitamente ribadito che il reato di bancarotta fraudolenta documentale può concorrere con il delitto di occultamento/distruzione di scritture contabili la cui conservazione è obbligatoria, non sussistendo specialità tra le due fattispecie astratte.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 febbraio – 20 aprile 2017, n. 18927 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 7 marzo 2016, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Milano 13 maggio 2013 assolveva S.L. dal reato sub A art. 5, d. lgs. 74 del 2000 -, limitatamente al periodo di imposta 2007, perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in anni 1 e mesi 10 di reclusione, riducendo le pene accessorie di conseguenza, confermava nel resto capo B, art. 10 d. lgs. 74/2000, capo C, art. 8, d. lgs. 74 del 2000 . 2. L’imputato propone ricorso per Cassazione, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p 2. 1. Applicazione del principio di specialità ex art. 15 cod. pen. tra il delitto di cui all’art. 216 legge fallimentare e quello dell’art. 10 d. lgs n. 74 del 2000. Il 16 marzo 2016 il Tribunale di Milano depositava le motivazioni della sentenza 13634/15 che aveva condannato il ricorrente, unitamente al fratello, per il reato di cui all’art. 223 e 216, comma 1, legge fallimentare. La fattispecie dell’art. 10 d.lgs. 74 del 2000 integra una fattispecie con condotta identica, combaciante con la bancarotta fraudolenta documentale. Dall’analisi delle imputazioni si ricava che trattasi della medesima condotta. Il reato più grave è quello fallimentare pena edittale superiore per il quale è intervenuta la condanna e quindi ex art. 15 cod. pen. quello dell’art. 10 d. lgs. 74 del 2000 deve ritenersi assorbito. Ha chiesto, quindi, l’annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile perché il motivo di ricorso non è stato proposto in appello e, comunque, per manifesta infondatezza e per la sua genericità. Il ricorrente pone una questione di ne bis in idem relativamente alla precedente condanna anche se non ancora definitiva per il reato fallimentare. Non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente anche se in fase o grado diversi nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato deve essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, deve essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M., ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali sia incompetente Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005 dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 23180001 . Orbene, così ricostruita la questione, divieto di un secondo giudizio per stesso fatto, si deve rilevare che la questione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità Non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione la violazione del divieto del ne bis in idem sostanziale, in quanto l’accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito Sez. 7, n. 41572 del 13/09/2016 dep. 04/10/2016, Tassone, Rv. 26828201 . 3. 1. Comunque, stante la questione di puro diritto e senza analisi della fattispecie concreta, la Corte già si è pronunciata sull’insussistenza della specialità e quindi del ne bis in idem sostanziale tra l’art. 10 d. lgs. n. 74 del 2000 e la bancarotta documentale Non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem art. 649 cod. proc. pen. , qualora alla condanna per illecito tributario nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penai tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216, n. 2 l. fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale . Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011 dep. 26/04/2011, Romele, Rv. 25017501 vedi anche Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015 dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 26613301 Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto Non sussite specialità, ex art. 15 cod. pen., tra la bancarotta fraudolenta documentale, art. 216, comma 1, n. 2, l.f. e l’occultamento o distruzione di documenti contabili, art. 10 d. lgs. n. 74 del 2000, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216, n. 2 l. fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale . Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.