Troppa forza nel rapporto con la prostituta: sotto accusa per violenza sessuale

Due episodi simili attribuiti allo stesso uomo in una sola notte. I racconti fatti dalle vittime rendono solide le accuse. Esclusa la custodia cautelare in carcere, applicato l’obbligo di dimora.

Respinta l’ipotesi della custodia cautelare in carcere, sufficiente l’obbligo di dimora per l’uomo accusato di violenza sessuale ai danni di due prostitute. Inequivocabili e gravi gli episodi addebitatigli e verificatisi nell’arco di una sola notte, pare evidente la sua difficoltà nel limitare le proprie pulsioni sessuali Cassazione, sentenza n. 18494/2017, Sezione Terza Penale, depositata il 13 aprile 2017 . Pulsioni. In prima battuta il Gip ha respinto ogni richiesta di misura cautelare in carcere . Solo in Tribunale, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero, viene applicato l’obbligo di dimora all’uomo, di origini siriane, sotto accusa per le presunte violenze sessuali perpetrate ai danni di due prostitute. A rendere solide le accuse sono proprio le parole delle vittime. Entrambe hanno raccontato di avere chiesto all’uomo di fermarsi durante il rapporto sessuale, a causa della eccessiva forza da lui utilizzata, ottenendo però una risposta negativa. Anzi, l’uomo ha addirittura protratto la propria azione violenta , con tanto di stretta al collo , per ulteriori 15 minuti . A fronte di questo quadro indiziario emerge la gravità delle azioni compiute dall’uomo, giustamente sotto accusa, poiché, ricordano i giudici di Cassazione, si può parlare di violenza sessuale quando viene proseguito il rapporto nonostante il consenso della donna, originariamente prestato, venga poi meno a causa dello sconfinamento verso forme e modalità di consumazione da lei non condivise . Per chiudere il cerchio, infine, viene anche richiamato il fatto che l’uomo è stato incapace di contenere le proprie pulsioni sessuali nel breve arco temporale di una notte , tanto da prendere di mira due prostitute in poche ore. Legittima, quindi, secondo i magistrati del ‘Palazzaccio’, l’applicazione dell’ obbligo di dimora .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 gennaio – 13 aprile 2017, n. 18494 Presidente Savani – Relatore Ciriello Ritenuto in fatto 1. Il tribunale di Roma, sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, in parziale accoglimento dell’appello del pubblico ministero e in modifica dell’ordinanza del gip che, con ordinanza del 27.9.2016, aveva rigettato ogni richiesta di misura cautelare in carcere, applicava all’indagato l’obbligo di dimora nel comune di omissis con la prescrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione dalle 21 00 alle 7 00. 2. Contro tale ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’indagato chiedendone l’annullamento. 2.1. Con l’unico articolato motivo dedotto il ricorrente si duole della violazione di legge artt. 273 e 292 c.p.p. , nonché della manifesta illogicità e mancanza di motivazione in ordine all’applicazione agli articoli 274 lett. c , 275 c.p.p. del provvedimento impugnato che avrebbe enfatizzato i dati sfavorevoli all’indagato e, incorrendo in numerose lacune e contraddizioni degli atti di indagine, avrebbe ravvisato i sufficienti indizi per sostenere la misura coercitiva inflitta mentre gli stessi non erano gravi, precisi e concordanti, in violazione dell’art. 192 comma secondo c.p.p. . Osserva in particolare il difensore che le circostanze di fatto, ossia la stabile occupazione del ricorrente, il fatto che questi avesse volontariamente desistito dalla presunta violenza, lasciando andare via la prostituta in occasione del secondo episodio e la complessiva dinamica dell’accaduto, avrebbero dovuto portare il Tribunale a confermare il provvedimento già adottato dal GIP con l’esclusione di ogni misura cautelare, anche perché i fatti riferiti dalle presunte persone offese non sarebbero attendibili non avendo essi trovato compiuto riscontro né nelle deposizioni delle persone informate in particolare il teste A. avrebbe visto solo che il ricorrente e la protagonista del primo episodio si fronteggiavano né nei referti medici il certificato del pronto soccorso medico, relativo al primo episodio di aggressione non avrebbe evidenziato alcuna violenza sessuale . Non avrebbe ancora considerato il tribunale che la ricostruzione dei fatti narrati dalla seconda presunta vittima non sarebbe coincidente con i tempi biologici tali da giustificare la seconda aggressione con penetrazione e che, l’indagato, al momento della scarcerazione sarebbe stato trovato privo di somme di denaro mentre la seconda vittima riferiva di avergli restituito 30 Euro, prezzo del rapporto, al fine di farlo desistere dalla sua condotta . Infine sotto un terzo profilo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen., nonché la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione quanto alle esigenze cautelari. L’asserito rischio di reiterazione delle condotte sarebbe stato ritenuto sussistente sulla base dell’assunto generico per cui l’imputato era incapace di controllare le sue pulsioni in relazione al tipo di reato, in assenza di elementi concreti, nonostante l’indagato fosse incensurato e a distanza di quattro mesi dal fatto. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento. 3.1. I motivi di ricorso sono prevalentemente riferiti alla valutazione del quadro probatorio ai fini della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati e sono diretti ad ottenere da questa Corte una non consentita rivalutazione del merito del provvedimento impugnato. Il provvedimento reca una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, perché valorizza i convergenti elementi raccolti nel corso delle indagini. In particolare, il Tribunale evidenzia che le dichiarazioni accusatorie delle due vittime hanno trovato ampli riscontri, forniti, rispetto al primo episodio, prima dal testimone soccorritore, quindi dai Carabinieri intervenuti e ulteriormente confermati dai referti del pronto soccorso che hanno confermato lesioni al collo compatibili con la dinamica dei fatti riferita dalla vittima stessa, ossia che l’indagato di fronte alle sue richieste di interrompere la sua condotta perché tutta quella forza utilizzata nella penetrazione le cagionava dolore, aveva protratto al sua azione violenta, stringendola al collo e alle mani per ulteriori 15 minuti . Ancora, ha chiarito, la ordinanza impugnata, ai fini del quadro indiziario, come proprio in seguito alla ricerca disposta dai carabinieri è stata individuata la vittima del secondo episodio che, a sua volta ha fornito una versione dei fatti perfettamente coincidente con la dinamica già riferita dalla prima. A fronte di tale quadro indiziario gli elementi valorizzati dal ricorrente non solo sono stati già esaminati dal Tribunale che ha per esempio evidenziato come non vi fu desistenza o resipiscenza, ma che il ricorrente fu interrotto dalla guardia giurata richiamata dalle grida della prima vittima e, comunque, per la loro genericità e irrilevanza tali allegazioni non valgono a inficiare il quadro indiziario ampiamente e articolatamente motivato dalla ordinanza impugnata. Il Tribunale ha, inoltre, correttamente applicato la giurisprudenza di questa corte in base alla quale, integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegue un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, viene poi meno a causa dello sconfinamento verso forme o modalità di consumazione dalla stessa non condivise cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5768 del 16/01/2014 . 3.2. Del pari infondato è il motivo relativo alle esigenze cautelari individuate nel pericolo di reiterazione del reato. Il ricorrente non contesta, se non sulla base di mere affermazioni relative alla pretesa mancanza del pericolo insita nel tempo trascorso quattro mesi , e alla sua incensuratezza, le considerazioni del Tribunale, che valorizzano il dato decisivo rappresentato dal fatto che l’indagato è stato incapace di contenere le proprie pulsioni sessuali nel breve arco temporale di una notte, in quanto, dopo essere stato interrotto dall’intervento del vigilante in relazione al primo episodio ha provveduto immediatamente a ripetere la condotta con altra prostituta, in termini non dissimili. Ha dunque motivato adeguatamente il Tribunale circa la misura prescelta che risulta conforme ai principi sviluppati in relazione all’art. 275 c.c. risultando essa la meno afflittiva rispetto all’esigenza cautelare da tutelare e consentendo all’imputato di svolgere la propria attività lavorativa Sez Un 16085/2011 . Pertanto il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali manda alla cancelleria per l’applicazione dell’art. 28 del reg. att. c.p.p