Le indagini patrimoniali nei confronti di coniuge e figli del proposto non hanno limiti temporali

In tema di misure di prevenzione patrimoniali, la possibilità di compiere indagini patrimoniali nei confronti del coniuge o dei figli del proposto non incontra il limite quinquennale di cui all’articolo 19, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, precipuamente previsto per i terzi conviventi che non siano legati da rapporti di coniugio o filiazione.

I Giudici di legittimità con la sentenza n. 18365/2017, depositata l’11 aprile u.s., si sono espressi in tema di misure di prevenzione patrimoniale, con particolare attenzione alle ipotesi in cui vengano involti soggetti legati al proposto da rapporti di coniugio o filiazione. La quaestio. Il Tribunale di Trapani, con decreto del 29 maggio 2013, applicava ad un soggetto, titolare di una ditta, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni tre, imponeva il versamento di una cauzione ed ordinava la misura dio prevenzione patrimoniale della confisca dell’azienda del proposto, nonché di una serie di beni e di due ditte intestati alla moglie e al figlio del medesimo. La Corte territoriale adita tanto dal proposto quanto dai suoi familiari, in qualità di intervenienti, sostanzialmente confermava il provvedimento del Tribunale di Trapani. Ricorre per Cassazione il proposto, lamentando violazione di legge in relazione all’assenza dei presupposti legittimi tanti le misure applicate. Ricorrono, altresì, ala Suprema Corte gli intervenienti, moglie e figlio del soggetto destinatario, i quali, a mezzo del proprio difensore, chiedono l’annullamento del decreto in ragione di plurimi motivi di doglianza. In particolare, i familiari del prevenuto lamentano la violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 19 d.lgs. n. 159/2011, in quanto la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato la prefata norma al coniuge e al figlio del proposto, non più conviventi a far data dall’anno 2002, dunque oltre cinque anni prima rispetto alla richiesta di applicazione della misura. I ricorsi meritano parziale accoglimento. I Consiglieri della I sezione ritengono fondati gli atti di gravame, limitatamente ad alcune censure non oggetto di disamina. In effetti, con la sentenza in commento la Suprema Corte ribadisce, con riferimento ad un motivo di ricorso non meritevole di accoglimento nel caso di specie, un principio di diritto di fondamentale importanza in tema di misure di prevenzione patrimoniali, la possibilità di compiere indagini patrimoniali nei confronti del coniuge o dei figli del proposto non incontra il limite quinquennale di cui all’articolo 19, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, precipuamente previsto per i terzi conviventi che non siano legati da rapporti di coniugio o filiazione. Gli Ermellini pronunciano tale assunto partendo dal tenore letterale dell’articolo 19, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 che recita le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell'ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti indicati al comma 1 nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente . La Corte d’appello siciliana, quindi, ha correttamente applicato la norma de qua , anche in ragione della giurisprudenza formatasi sul punto, secondo la quale il sospetto di intestazioni fittizie in capo a soggetti del tutto estranei al proposto, ma che col medesimo intrattengano un rapporto di fatto ed una comunanza di interessi, trova giustificazione solo laddove tra il prevenuto ed il terzo sia in corso una convivenza o questa sia cessata da non più di cinque anni. In materia di misure di prevenzione patrimoniali il regime di presunzione di sospetto, in definitiva, opera diversamente per coniuge o figli del proposto rispetto al terzo convivente.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 gennaio – 11 aprile 2017, numero 18365 Presidente Mazzei – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Palermo, sezione misure di prevenzione, ha accolto gli appelli proposti da M.C. , S.I. e M.D. , limitatamente a un terreno in relazione al quale ha disposto la revoca del sequestro e della confisca, avverso il decreto del Tribunale di Trapani del 29 maggio 2013 con il quale è stata applicata a M.C. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre, imponendo il versamento di una cauzione, nonché ordinata la misura patrimoniale della confisca della ditta individuale del proposto denominata M. Marmi, nonché di una serie di beni intestati a S.I. , moglie del proposto, e a M.D. , figlio del proposto, anche con riferimento alle ditte individuali intestate a questi ultimi, rispettivamente denominate SIDA MARMI e SERVICE EDIL, confermando, nel resto, il provvedimento di primo grado. 2. Hanno presentato ricorso il proposto M.C. , nonché, mediante un distinto atto, gli intervenienti S.I. e M.D. . Questi ultimi hanno anche depositato memoria in data 22 dicembre 2016. 2.1. Ricorre M.C. , a mezzo del difensore avv. Giovanni Mannino, che chiede l’annullamento del decreto impugnato lamentando la violazione dell’art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. penumero , per mancanza di motivazione, illogicità manifesta della stessa in relazione alla assenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione personale e di quella patrimoniale della confisca. 2.2. Ricorrono S.I. e M.D. , a mezzo del difensore e procuratore speciale avv. Paolo Popolini, che chiedono l’annullamento del decreto impugnato, formulando cinque motivi di ricorso. 2.2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , per inosservanza erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 19, comma 3, decreto legislativo numero 159/2011, laddove la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato la norma indicata al coniuge e al figlio del proposto, i quali non erano più conviventi a far tempo dall’anno 2002 e dunque oltre cinque anni prima della proposta di applicazione della misura. 2.2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. penumero , per mancanza di motivazione, ovvero illogicità manifesta della stessa, in relazione all’affermata sussistenza di sperequazione finanziaria nella misura di Euro 573.671,13 priva di copertura, in forza degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, includendo nel calcolo economico oltre ai quattro figli e la madre della S. , anche i due genitori del proposto, sebbene non rientranti nel nucleo familiare della stessa ricorrente, come pure il coniuge, M.C. , non più convivente con la moglie dal 2002. 2.2.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , per inosservanza erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 4, comma 9, della legge numero 1423/1956 in relazione all’articolo 190, cod. proc. penumero , non avendo la Corte consentito alla difesa di produrre la documentazione attestante la percezione delle pensioni svizzere e a fronte del diniego opposto dall’ente erogatore di tali pensioni di rilasciare documentazione alla ricorrente S.I. , non avendo provveduto d’ufficio a ordinare la produzione della suddetta documentazione. 2.2.4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 20, comma 1, decreto legislativo numero 159/2011, in relazione alla disposta confisca dei beni della ditta individuale SIDA MARMI di S.I. . 2.2.5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 24, comma 1, del decreto legislativo numero 159/2011, in relazione alla ritenuta assenza di giustificata provenienza della somma di Euro 200.000, che si assume corrisposta alla ricorrente S.I. da tale C.F. a titolo risarcitorio. Considerato in diritto 1. Osserva il Collegio che il ricorso di M.C. è in parte fondato, come pure quello proposto congiuntamente da S.I. e M.D. sono in parte fondati, seppure limitatamente alla disposta confisca della azienda di cui è proprietario M.C. con la ditta M. MARMI di M.C. e della azienda di cui è proprietaria S.I. con la ditta SIDA MARMI di S.I. . 1.1. Va, preliminarmente, rammentato, in relazione alle impugnazioni in sede di legittimità delle misure di prevenzione personali, il disposto dell’art. 10, comma 3, decreto legislativo numero 159/2011, il quale espressamente stabilisce Avverso il decreto della corte d’appello, è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell’interessato, entro dieci giorni. La Corte di cassazione provvede, in camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso. Il ricorso non ha effetto sospensivo . Per quanto riguarda le misure di prevenzione patrimoniali, a norma dell’art. 7, comma 2, decreto legislativo numero 159/2011, deve farsi riferimento alla espressa disposizione che stabilisce Per le impugnazioni contro detti provvedimenti si applicano le disposizioni previste dall’articolo 10. I provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l’esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitività delle relative pronunce”. Alla luce di tali chiarissime disposizioni deve concludersi che il ricorso per cassazione nei confronti di provvedimenti che applicano misure di prevenzione personali e patrimoniale è limitato alla sola violazione di legge, essendo preclusa qualsiasi impugnativa concernente vizi di motivazione. Con l’occasione va ricordato che la giurisprudenza di legittimità, essendosi eccepita l’incostituzionalità di tale limitazione, ha affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma undicesimo, della L. 27 dicembre 1956, numero 1423 e 3 ter, comma secondo, della legge 31 maggio 1965, numero 575 attualmente artt. 10, comma terzo, e 27, comma secondo, del D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159 - per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione - nella parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca adottati nell’ambito del procedimento di prevenzione, in quanto la ratio della normativa vigente trova il suo presupposto in una scelta legislativa che non è in contrasto con i dettami costituzionali né con la normativa di carattere internazionale, in ragione della sostanziale differenza dei presupposti sui quali si fondano le misure di prevenzione e, in genere, le misure cautelari di natura reale, rispetto agli altri ordinari provvedimenti giudiziari Sez. 2, Sentenza numero 2566 del 19/12/2014 dep. 2015, Leotta, Rv. 261954 . Conclusivamente, con riferimento ai limiti d’impugnazione in sede di legittimità dei provvedimenti che applicano misure di prevenzione, deve essere ricordato il costante orientamento di legittimità secondo il quale nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, numero 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, numero 575 ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e , cod. proc. penumero , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge numero 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente Sez. 1, Sentenza numero 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365 . 2. Il ricorso di M.C. , salvo per quello che concerne la disposta confisca dell’azienda al medesimo intestata di cui si dirà al paragrafo numero 2.1. , è infondato poiché formalmente e concretamente rivolto a criticare la motivazione del decreto impugnato, censura del tutto inammissibile in sede di legittimità. In particolare, con riguardo alla misura di prevenzione personale, non è inesistente o apparente e, quindi, non integra il vizio di violazione di legge, la motivazione in punto di pericolosità qualificata di M. , già condannato con sentenza irrevocabile alla pena di anni tredici di reclusione per i delitti previsti dagli artt. 73 e 74 d.P.R. numero 309/1990, commessi negli anni 2004-2006. 2.1. In merito alla disposta confisca della azienda di cui è proprietario M.C. con la ditta M. MARMI di M.C. , va ricordato che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato Sez. U, Sentenza numero 4880 del 26/06/2014 dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605 . Inoltre, va ricordato che sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, indipendentemente, dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta di prevenzione. Siffatta conclusione discende dall’apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita restando, così, affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da patologia ontologica ed è, dunque, pienamente coerente con la ribadita natura preventiva della misura in esame così, in motivazione, la sentenza SU Spinelli . Tanto premesso, in ordine alla confisca dell’azienda di cui è proprietario M.C. con la ditta M. MARMI di M.C. , il ricorso è fondato poiché è stata totalmente omessa la motivazione circa il nesso temporale tra l’acquisizione dei beni aziendali prima dell’emersa devianza criminale la accertata pericolosità sociale del proposto. Tale assoluta omissione determina una chiara violazione di legge che impone l’annullamento. Il decreto va, conseguentemente, annullato sul punto con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame. 3. Saranno, ora, esaminati, i ricorsi proposti da S.I. e M.D. . 3.1. Il primo motivo di ricorso formulato da S.I. e M.D. è infondato poiché, oltre a formulare censure inammissibili perché non proposte in sede di appello, assume che la Corte di appello abbia compiuto un’errata interpretazione e applicazione della norma di legge art. 19, comma 3, decreto legislativo numero 159/2011 la quale, secondo la prospettazione difensiva, prevederebbe un limite quinquennale, decorrente dalla cessazione della convivenza, alla possibilità di compiere le indagini patrimoniali sul coniuge e i figli. La disposizione in esame stabilisce Le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti indicati al comma 1 nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi o associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente . La Corte di appello ha correttamente interpretato la disposizione normativa in discorso che, come si desume dal chiaro tenore della legge, prevede il limite quinquennale esclusivamente per i conviventi del proposto e non anche per il coniuge e i figli. Infatti, la giurisprudenza è da sempre orientata nel ritenere giustificata, in forza del rapporto di coniugio e di filiazione, la presunzione d’intestazione fittizia da ultimo Sez. 1, Sentenza numero 5184 del 10/11/2015 dep. 2016, Trubchaninova, Rv. 266247, secondo la quale In materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista dall’art. 2-bis, comma terzo, della Legge numero 575 del 1965, l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo, rispetto a tutte le altre persone fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione in precedenza, già Sez. 2, Sentenza numero 4916 del 05/12/1996 dep. 1997, Liso, Rv. 207118 . Alla luce del dettato normativo, l’estensione del sospetto a soggetti del tutto estranei al proposto, ma che con lo stesso intrattengono un rapporto di fatto da cui si desume una concreta e recente comunanza degli interessi, trova giustificazione soltanto nel caso in cui la convivenza sia in atto o sia cessata da non più di cinque anni. Del tutto errato è il richiamo, contenuto nel ricorso, a un precedente giudiziario Sez. 2, Sentenza numero 17933 del 2014, Marino, non massimata che, in realtà, esamina la questione della convivenza del proposto con un terzo e non con riguardo al coniuge e ai figli. Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto in tema di misure di prevenzione patrimoniali, la possibilità di compiere indagini patrimoniali nei confronti del coniuge e dei figli del proposto non incontra il limite quinquennale, di cui all’art. 19, comma 3, d.lgs. numero 159/2011, previsto per i terzi conviventi che non siano legati da rapporti di coniugio o filiazione . 3.2. Il secondo motivo di ricorso formulato da S.I. e M.D. è inammissibile poiché formalmente e concretamente rivolto a criticare la motivazione del decreto impugnato, censura del tutto inammissibile per essere il ricorso ammesso solo per la violazione di legge, come si è detto. 3.3. Il terzo motivo di ricorso formulato da S.I. e M.D. è infondato. Nel corso del procedimento in grado di appello è stata acquisita, su richiesta anche degli odierni ricorrenti, varia documentazione ed è stata disposta ed espletata una perizia tecnico contabile volta a ricostruire i flussi finanziari attivi e passivi del proposto e dei suoi stretti congiunti dal 1994 al 2011. Per l’effettuazione di tale perizia la Corte di appello ha disposto la sospensione dei termini di perenzione del sequestro e della confisca per quasi un anno nel corso del quale è stata espletata l’attività peritale in contraddittorio. Come riferisce puntualmente la Corte d’appello, la perizia tecnico contabile ha accertato un disavanzo costante fino al 2001 e dal 2002 al 2007. Ad avviso della Corte di appello, nella perizia è stata considerata la pensione percepita dalla madre convivente della ricorrente, ma ciò nonostante il difensore di S.I. all’udienza di discussione ha contestato che non fosse stata tenuta in considerazione ulteriore pensione corrisposta dallo Stato svizzero. In proposito, la Corte d’appello ha rilevato che la difesa non ha allegato neppure un principio di prova delle proprie asserzioni, pur avendo avuto a disposizione un periodo amplissimo che va dal 23 ottobre 2012 - data in cui il Pubblico ministero ha formulato la proposta comunicandola alle parti, passando per il 29 maggio 2013, data cui il Tribunale di Trapani ha accolto la proposta di applicazione della misura di prevenzione - al 17 aprile 2015, data dell’udienza davanti alla Corte di appello di Palermo che conclude il giudizio di merito. In particolare, la Corte di appello ha osservato che la difesa della ricorrente non aveva prodotto neppure un principio di prova proprio nel periodo di tempo, durato quasi un anno, nel corso del quale è stata svolta la perizia in contraddittorio, con ciò rendendo palese la inconsistenza probatoria delle proprie asserzioni. La Corte di appello ha, inoltre, evidenziato - con motivazione logica - che il periodo interessato dall’allegazione difensiva in merito alla pretesa pensione svizzera dall’anno 1994 all’anno 2002 attiene a una conformazione del nucleo familiare del quale faceva ancora parte il proposto, sottolineando che in detto periodo di tempo il perito ha accertato la sperequazione finanziaria la quale si attesta su valori incolmabili , pur considerando le asserite percepite pensioni della madre della ricorrente. Non vi è stata, quindi, alcuna violazione del diritto di difesa, essendo stato concesso un amplissimo termine alla ricorrente per allegare la documentazione a sostegno delle proprie, seppur tardive, allegazioni difensive, restando, peraltro, dimostrato - per mezzo dell’effettuata prova di resistenza - che anche prendendo in considerazione le - meramente asserite - pensioni svizzere della madre della ricorrente sussisteva un’ampia sperequazione finanziaria in capo al proposto e ai suoi familiari, donde il pur giustificato negato ricorso all’attivazione dei poteri di acquisizione di ufficio della documentazione afferente alle medesime pensioni. 3.4. Il quarto motivo di ricorso formulato da S.I. e M.D. è fondato, limitatamente alla disposta confisca dell’azienda di S.I. . Come si è già ricordato al paragrafo numero 2.1., la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo, tanto che deve essere espressamente formulato un giudizio in tal senso che coinvolga le acquisizioni patrimoniali nello specifico ambito temporale. Premesso che la Corte di appello di Palermo ha omesso la motivazione attinente tale nesso con riguardo alla azienda di M.C. , tanto che si è disposto l’annullamento del provvedimento impugnato per violazione di legge sotto tale aspetto, deve rilevarsi come analogo difetto sia ravvisabile con riguardo alla disposta confisca della azienda di cui è proprietaria S.I. con la ditta SIDA MARMI di S.I. , essendosi incentrata la motivazione unicamente sul profilo della fittizietà dell’affitto di azienda intervenuto tra il proposto e il coniuge in data 4 giugno 2007, senza che si sia in alcun modo indagato in ordine alla data di acquisizione degli incrementi patrimoniali aziendali e, specialmente, alla manifestazione di pericolosità sociale di M. ad essi temporalmente correlata. Tanto premesso, in ordine alla confisca dell’azienda di cui è proprietaria S.I. con la ditta SIDA MARMI di S.I. il ricorso è fondato poiché è stata totalmente omessa la motivazione circa il nesso temporale tra l’acquisizione dei beni aziendali e la accertata pericolosità sociale. Il decreto va, conseguentemente, annullato sul punto con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame. 3.5. Il quinto motivo di ricorso formulato da S.I. e M.D. è inammissibile poiché viene formalmente censurata l’interpretazione della norma art. 20, comma 1, e 24, comma 1, d.lgs. numero 159/2011 , mentre di fatto è criticata la motivazione del decreto impugnato, tanto che il ricorso si dilunga nell’evidenziare gli elementi che attengono la - dedotta - erroneità della motivazione, senza contestare l’applicazione delle norme di legge fatta dalla Corte di appello. 4. Essendo stato disposto il parziale annullamento non si deve provvedere sulle spese. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato, limitatamente alla azienda di cui è proprietario M.C. con la ditta M. MARMI di M.C. e alla azienda di cui è proprietaria S.I. con la ditta SIDA MARMI di S.I. e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Palermo rigetta nel resto i ricorsi.