Condannato per aver minacciato il vicino di casa fingendo di avere una pistola

La gravità della minaccia non è necessariamente collegata alle modalità indicate dall’art. 339 c.p. ma può derivare anche dalle espressioni verbali utilizzate quando, avuto riguardo al tenore delle parole e al contesto, abbiano provocato un grave timore o turbamento psichico nella persona offesa.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17779/17 depositata il 7 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado con cui l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di minaccia grave ed ingiuria nei confronti di un vicino di casa, rimodulava la pena e dichiarava estinto per prescrizione il reato di molestie, escludendo infine l’uso di un’arma nella condotta di minaccia. La difesa ricorre per la cassazione della pronuncia dolendosi per il fatto che, nonostante la Corte territoriale avesse escluso l’uso dell’arma, la minaccia era comunque stata confermata come grave, così come era stata confermata la pena inflitta in primo grado, senza alcuna rideterminazione. Veniva inoltre dedotta in giudizio la depenalizzazione del delitto di ingiuria. Ingiuria. La Corte osserva in primo luogo che il reato di ingiuria ascritto al ricorrente è stato depenalizzato nelle more del procedimento e che, come affermato costantemente dalla giurisprudenza, l’ abolitio criminis sopravvenuta alla sentenza impugnate deve essere rilevata anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile ed indipendentemente dall’oggetto del gravame alla luce del principio della ragionevole durata del processo. Minaccia aggravata. Per quanto attiene invece all’aggravante del delitto di minaccia ritenuta integrata dalla Corte d’appello nonostante l’esclusione dell’uso di un’arma, il Collegio sottolinea la – sottile - distinzione tra minaccia grave e minaccia effettuata in uno dei modi di cui all’art. 339 c.p., che nell’originaria contestazione era appunto l’uso di un’arma. Si tratta di due ipotesi che alternativamente comportano l’aumento della pena posto che il testo della norma le coordina con l’uso della disgiuntiva o . La giurisprudenza ha infatti affermato che la gravità della minaccia non è necessariamente collegata alle modalità indicate dall’art. 339 c.p. ma può derivare anche dalle espressioni verbali utilizzate quando, avuto riguardo al tenore delle stesse ed al contesto in cui sono state pronunziate, abbiano provocato un grave timore o turbamento psichico nella persona offesa con l'ulteriore puntualizzazione che anche una minaccia non circostanziata può ritenersi grave, in relazione alla personalità del soggetto attivo e passivo del reato . Nel caso di specie risulta che la minaccia era avvenuta senza l’utilizzo di un’arma ma comunque tramite l’uso di un oggetto maneggiato come tale dall’imputato accompagnando il gesto con espressioni verbali che lasciavano supporre e rafforzavano al contempo la condotta minatoria. La Corte ritiene dunque legittima la motivazione fornita dai giudici dell’appello. Per questi motivi, la Corte annulla senza rinvio la sentenza limitatamente all’imputazione di cui all’art. 594 c.p

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 gennaio – 7 aprile 2017, n. 17779 Presidente Palla – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Bologna ha parzialmente riformato la decisione di primo grado di condanna alla pena di giustizia nei confronti dell'imputato ed al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, per i delitti di minaccia grave ed ingiuria nei confronti di un vicino di casa, dichiarando non luogo a procedere per prescrizione del reato di molestie, ed escludendo l'uso dell'arma per la minaccia fatti di Ottobre 2010. 1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa, che, col primo motivo ha lamentato l'illogicità della motivazione, poiché la Corte aveva escluso la minaccia con uso di una pistola e confermato la minaccia grave ma senza esplicare le ragioni della ritenuta gravità per altro verso la sentenza, dopo aver escluso l'aggravante dell'uso di armi aveva, in modo contraddittorio, confermato la pena inflitta in primo grado, senza alcuna giustificazione in proposito. 1.1. Col secondo motivo il ricorrente ha dedotto l'errata applicazione della legge per la mancata rideterminazione della pena a fronte della ritenuta insussistenza dell'aggravante dell'uso di arma. 1.2. Tramite il terzo motivo il ricorso ha rappresentato la depenalizzazione del delitto di ingiuria. All'odierna udienza il Pg dr.ssa D. N. ha concluso per l’ annullamento senza rinvio per il reato ex art 594 cp e con rinvio per la determinazione della pena. L'avvocato C. per l'imputato si è riportato al ricorso. Considerato in diritto 1. Deve osservarsi, in primis, che il reato di ingiuria ascritto, con gli altri, al ricorrente, è stato nelle more abolito con l'intervento legislativo del D.Lgs. 15.1.2016. In proposito deve citarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale l'abolitio criminis sopravvenuta alla sentenza impugnata deve essere rilevata anche nel caso di ricorso inammissibile ed indipendentemente dall'oggetto del gravame, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, che impone di evitare una pronunzia di inammissibilità, che, come unico effetto, sposterebbe la pronuncia di abrogazione del reato alla fase esecutiva. Così di recente, in tema di ingiuria, Sez. 5, Sentenza n. 44088 del 02/05/2016 Ud. dep. 18/10/2016 Rv. 267751. In senso conforme , Sez. 5 Sentenza n. 31911 del 16/03/2001 Ud. dep. 27/08/2001 Rv. 220226. Sez. 5, Sentenza n. 39767 del 27/09/2002 cc. dep. 26/11/2002 Rv. 225702. Per il resto il ricorso è infondato. 1. I primi due motivi riguardano la sussistenza dell'aggravante del delitto di minaccia, che la Corte territoriale ha ritenuto integrata, pur avendo escluso l'uso dell'arma in base alle imprecise deposizioni sul punto. 1.1 Le censure mosse in ricorso non appaiono condivisibili, poiché sono fondate sull'inespresso presupposto della identità tra minaccia grave e minaccia effettuata in uno dei modi di cui all'art. 339 cp, che nel caso in esame sarebbe consistito, secondo l'originaria imputazione, nell'uso di una pistola. L'interpretazione proposta in ricorso, peraltro, non risponde alla lettera delle legge, poiché il testo della norma incriminatrice indica chiaramente che le ipotesi aggravate del reato, che importano l'aumento di pena fino ad un anno e la procedibilità d'ufficio, sono quelle in cui la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi di cui all'art 339 cp, e l'uso della disgiuntiva ha l'inequivocabile significato dell'alternativa, ontologicamente possibile, tra le due condizioni di aggravamento della pena. 1.2 In proposito la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la gravità della minaccia non è necessariamente collegata all'esercizio dei modi indicati nell'art 339 cp, ma può derivare anche dalle sole espressioni verbali adoperate dall'agente quando, avuto riguardo al tenore delle stesse ed al contesto in cui sono state pronunziate, abbiano provocato un grave timore o turbamento psichico nella persona offesa con l'ulteriore puntualizzazione che anche una minaccia non circostanziata può ritenersi grave, in relazione alla personalità del soggetto attivo e passivo del reato. Così Sez. 6, Sentenza n. 35593 del 16/06/2015 Ud. dep. 25/08/2015 Rv. 264341 Sez. 5, Sentenza n. 44382 del 29/05/2015 Ud. dep. 03/11/2015 Rv. 266055. 1.3 Applicando tali principi al caso concreto deve evidenziarsi che dal complessivo ordito motivazionale delle sentenze di merito, nonché da quanto riportato nello steso atto di ricorso, emerge che la minaccia era avvenuta - se pure senza arma come opinato in secondo grado - tuttavia tramite l'uso di un oggetto che l'imputato maneggiava come fosse tale, accompagnando il gesto con l’ espressione ti sparo in bocca e con le ingiurie di cui in imputazione, a rafforzare il contenuto complessivamente aggressivo ed offensivo della sua azione. La condotta minatoria del resto si era, altresì, sviluppata in un contesto nel quale i rapporti tra le parti erano da tempo molto tesi - come si ricava dalle epoche dei reati in origine contestati - verosimilmente a causa dell'interesse mostrato dall'imputato verso la moglie della persona offesa e, quindi, per una causa non banalizzarle. In relazione a tutte le suddette circostanze oggettive e soggettive della fattispecie concreta, emergenti dalle pronunzie dei Giudici del merito, deve ritenersi legittima la motivazione, che implicitamente è stata fornita dalla sentenza di secondo grado, sulla sussistenza del requisito di gravità della minaccia rivolta dall'imputato alla parte civile. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, poiché la pena detentiva inflitta, di mesi tre di reclusione, è conforme alla previsione sanzionatoria del ritenuto delitto di minaccia grave, che pone il limite massimo edittale ad un anno di reclusione. Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto di cui all'art. 594 cp non è previsto come reato e la relativa pena di mesi uno di reclusione deve essere eliminata. Il ricorso nel resto va rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto di cui all'art 594 cp non è previsto come reato ed elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.