La questione della procedibilità del reato come “nuova prova”

Quando è ammissibile l’istanza di revisione di una sentenza? Cosa si deve intendere per nuove prove”? La questione relativa alla procedibilità del reato a querela o d’ufficio rientra nel novero degli elementi in base ai quali l’istituto può essere richiesto.

Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza n. 17170/17 depositata il 5 aprile. Il caso. L’imputato ricorre in Cassazione avverso la decisione che dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza del Tribunale, in virtù del fatto che la questione oggetto della richiesta non poteva ritenersi una nuova prova”. La nuova prova”. La Corte di Cassazione rileva che l’istituto della revisione, nella sua attuale formulazione, comprende anche il caso in cui il condannato debba essere assolto perché l’azione penale non avrebbe potuto essere iniziata , ossia è consentita anche qualora è subentrata una condanna per un reato perseguibile a querela di parte e quest’ultima non è stata proposta. Pertanto, gli Ermellini affermano che, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di revisione, per nuove prove” devono intendersi non solo quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neppure implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice . In virtù di quanto appena detto, secondo i Giudici, la questione della procedibilità d’ufficio o meno deve ritenersi rientrante nella nozione di nuova prova”. Pertanto, la sentenza impugnata è annullata con rinvio al giudice competente.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 31 gennaio – 5 aprile 2017, n. 17170 Presidente Izzo – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto M.G. ricorre avverso la decisione di cui in epigrafe che ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza del Tribunale di Lucca, in data 3 maggio 2010, divenuta irrevocabile il 12 marzo 2014 a seguito della sentenza della Sezione III di questa Corte pronunciata in detta data , sul rilievo che la questione proposta a fondamento della richiesta l’essere il reato di cui all’articolo 609- bis,comma 2, cod.pen., per cui vi era stata la condanna, improcedibile per mancanza di querela, perché la vittima all’epoca dei fatti era sedicenne non rientrava nel paradigma della revisione, non trattandosi di una nuova prova ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 630, comma 1, lettera c , cod.proc.pen. Con il ricorso si censurano le conclusioni raggiunte, riproponendosi la dedotta questione relativa all’improcedibilità del reato. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. La Corte territoriale ha affermato il principio che non sono ammissibili in sede di revisione profili attinenti alla mancata valutazione di un elemento di fatto emergente dagli atti conoscibili dal giudice della cognizione, ove si prospettino, in relazione ad esso, questioni rilevabili di ufficio, giacché si deve presumere che di questo dato di fatto il giudice abbia tenuto conto proprio perché investito del dovere di trarne di ufficio le conseguenze in punto di applicazione della legge. In questa prospettiva ha affermato che la circostanza di fatto secondo la quale, ai fini della procedibilità del reato di violenza sessuale nei confronti di persona che aveva compiuto sedici anni, era necessaria la presentazione della querela, era direttamente ricavabile dal testo del capo di imputazione dove erano indicati il tempo del commesso reato e la data di nascita della vittima. In conclusione, il difetto di procedibilità non poteva considerarsi prova nuova . Tale tesi non è condivisibile. In materia di revisione l’art. 631 cod. proc. pen. prescrive che gli elementi in base ai quali essa viene richiesta siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto, oltre che nei casi ex artt. 530, 531,cod. proc. pen., anche nelle ipotesi di sentenza di non doversi procedere ex art. 529 cod. proc. pen stesso codice se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita . L’istituto della revisione, nella sua formulazione attuale, comprende, pertanto, anche il caso in cui il condannato debba essere assolto perché l’azione penale non avrebbe potuto essere iniziata o proseguita , per cui la revisione è consentita anche qualora venga a risultare che il fatto per il quale era stata riportata condanna costituisce reato perseguibile a querela di parte e la querela non sia stata proposta o sia stata rimessa e la remissione sia stata ritualmente accettata . Sotto tale ultimo profilo questa Corte con la sentenza, Sez. 5, n. 95 del 28/02/1995, Lazzeri, Rv. 201059, ha affermato l’ammissibilità della domanda di revisione quando l’estinzione dei reati per effetto di remissione di querela art. 531 cod. proc. pen. interviene dopo la pronuncia della sentenza, ma prima del suo passaggio in giudicato. Lo stesso principio è stato affermato da Sez.1, con la sentenza n. 46822 de113/11/2007, Urru, Rv. 238884 con la quale, esclusa la sussistenza delle condizioni per l’esercizio di ufficio del potere di rilevazione dell’errore materiale ex art. 625-bis, comma terzo, cod. proc. pen., nel caso in cui la Corte di Cassazione abbia dichiarato inammissibile il ricorso omettendo di considerare l’intervenuta remissione di querela, è stato ritenuto che detta ipotesi integra un errore di fatto, avente natura percettiva, suscettibile di revisione da parte del giudice competente ed in tal senso la Corte ha qualificato la domanda dell’interessato . Con la sentenza citata i giudici di legittimità hanno richiamato, a fondamento di tale ricostruzione, l’ipotesi di cui all’art. 630, comma 1, lett.c , cod. proc. pen., secondo la quale la revisione può essere richiesta se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 . Sul punto, in tema di revisione, per prove nuove rilevanti, a norma dell’articolo 630, comma 1, lettera c , cod. proc. pen., ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neppure implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice. Né, comunque, una prova nuova può essere dichiarata inammissibile solo perché l’omessa conoscenza da parte del giudice sia imputabile a comportamento processuale negligente del condannato cfr. Sez. U.,n. 624 del 26/09/2001, Pisano, Rv. 220443 cfr. altresì, Sez. 6, n. 40687 del 30/10/2006, Pratticò, n.m. . Alla luce dei principi sopra delineati, deve ritenersi che la questione della procedibilità d’ufficio o meno del reato sub iudice entra nella nozione di prova nuova di che trattasi, della quale va data una nozione sostanziale, e non meramente formale, rientrando quindi anche la questione della procedibilità del reato a querela o d’ufficio nel thema probandum del procedimento. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice competente, che si atterrà, nel rivalutare l’ammissibilità dell’istanza di revisione, ai principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.