Bar “perseguitato”, cliente scuce alcolici gratis per un anno e viene punito per estorsione

Premiata la ribellione del commerciante. Definitiva la condanna per il criminale che con fare minaccioso ha ottenuto quotidianamente di consumare senza pagare.

Ha bevuto alcolici gratis per quasi un anno, minacciando esplicitamente o in modo velato il proprietario del bar. Il commerciante, però, alla fine si è ribellato, e la sua reazione è stata premiata. Il piccolo criminale è stato condannato per estorsione Cassazione, sentenza n. 16568/2017, Sezione Seconda Penale, depositata il 3 aprile 2017 . Intimidazione. Ricostruita la condotta tenuta dall’uomo nei confronti del proprietario del bar da lui considerato terra di conquista” dal maggio 2013 al marzo 2014 si è recato, con frequenza quotidiana, presso l’esercizio commerciale , presentandosi con fare intimidatorio, minaccioso ed aggressivo e ottenendo sempre di bere alcolici senza pagare . Nessun dubbio per i giudici si può parlare, a ragion veduta, di estorsione . Legittima, quindi, la condanna nei confronti del criminale che ha preso di mira il titolare del bar. E questa visione viene ora condivisa dalla Cassazione. Respinta la tesi difensiva, secondo cui si sarebbe dovuto parlare di semplice violenza privata . Per i magistrati, difatti, è emerso in modo chiaro il clima di intimidazione creato dal criminale nel bar, clima finalizzato ad ottenere un’utilità, a danno, ovviamente, del commerciante.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 marzo – 3 aprile 2017, n. 16568 Presidente Davigo – Relatore Filippini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 27.1.2016 la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia del 9.6.2015, riconoscendo all’imputato le attenuanti generiche, quella di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen. ed escludendo la recidiva, riduceva la pena inflitta in primo grado a T.F. in relazione ai reati di estorsione capo A e minaccia aggravata capo B, così riqualificando il fatto originariamente ascritto come ulteriore episodio di estorsione . 1.1. La Corte territoriale respingeva le ulteriori censure mosse con l’atto d’appello in punto di riconosciuta penale responsabilità dell’imputato. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi 2.1. violazione ed erronea applicazione della legge penale nonché mancanza ed illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e 629 cod. pen., per essere stata affermata la sussistenza del reato di estorsione di cui al capo A in difetto di dimostrazione dell’elemento soggettivo in particolare, dall’istruttoria dibattimentale non è emerso che le condotte minacciose fossero rivolte all’ottenimento del vantaggio patrimoniale indebito nella specie il bere alcolici senza pagare . Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile in quanto basato su un motivo manifestamente infondato. 1. Tutte le questioni proposte attengono a valutazioni di merito che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794 Sez. U. n. 12 del 31.5.2000, Rv. 216260 Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Rv. 226074 . 1.1. Ed inoltre, nel caso di specie, ci si trova dinanzi ad una doppia conforme e cioè doppia pronuncia di eguale segno, per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , introdotta dalla legge n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice sez. 2 n. 5223 del 24/1/2007, Rv. 236130 . Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione in ordine alla responsabilità dell’imputato per i fatti allo stesso ascritti. 2. Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata regge al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione, ovvero travisamento del fatto o della prova. In particolare la Corte territoriale dà, adeguatamente, atto, del vaglio di credibilità al quale è stata sottoposta la deposizione della persona offesa con motivazione in fatto immune da vizi di legittimità sez. 3 n. 8382 del 22/1/2008, Rv. 239342 in tal senso si è fatto riferimento alle dichiarazioni rese dal Colussi, il quale ha riferito del clima di pesante e prolungata intimidazione creato dall’imputato nel periodo compreso tra il maggio 2013 e il marzo 2014, durante il quale quest’ultimo, con frequenza quasi quotidiana, si recava presso l’esercizio commerciale della vittima con fare intimidatorio, minaccioso ed aggressivo, ottenendo di bere senza pagare, talvolta con richiesta esplicita, talaltra con comportamento concludente cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata . Le ulteriori deposizioni raccolte hanno poi confermato il clima di intimidazione creato dall’imputato nel bar della vittima e in altri analoghi locali del territorio. Del resto, anche sotto il profilo dell’inquadramento normativo, non vi è dubbio sul fatto che sia configurabile il delitto di estorsione, e non quello di violenza privata, nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico Si veda, in termini, Sez. 2, n. 5668 del 15/01/2013, Rv. 255242, pronunciata in fattispecie nella quale l’imputato aveva costretto, mediante violenza e minaccia, la P.O. a fornirgli cibo e bevande senza pagare il corrispettivo, così procurandosi un ingiusto profitto con danno della P.O. stessa . 3. Quanto ora detto comporta l’inammissibilità dell’impugnazione per manifesta infondatezza dei motivi proposti. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 a favore della Cassa delle ammende.