Il falso “made in Italy” del fertilizzante proveniente dalla Cina

L’importazione e l’esportazione ai fini di commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p In particolare, la dicitura made in Italy” apposta su prodotti e merci non originari dall’Italia costituisce falsa indicazione ogni qual volta induca in inganno il consumatore nel ritenere che il prodotto sia di origine italiana.

Così ha ribadito la Suprema Corte con sentenza n. 15249/17 depositata il 28 marzo. Il caso. Nell’ambito di un sequestro probatorio di circa 20.000 sacchi di fertilizzante NICAL provenienti dalla Cina, le cui pedane in legno su cui erano trasportate riportavano la falsa dicitura fertilizers made in Italy” , la Corte di Cassazione ha l’occasione di ribadire le costanti giurisprudenziali relative alle fallaci indicazioni di provenienza di prodotti oggetto di importazione o esportazione. Fallaci indicazioni di provenienza. Innanzitutto, la Cassazione afferma che l’importazione e l’esportazione ai fini di commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p. . In particolare, la dicitura made in Italy” apposta su prodotti e merci non originari dall’Italia, come nel caso di specie, costituisce, ai sensi della normativa europea, falsa indicazione, qualora possa indurre in inganno il consumatore nel ritenere che il prodotto sia di origine italiana. Il Collegio, rileva poi la giurisprudenza di legittimità che al riguardo ha potuto chiarire che la fallace indicazione del marchio di provenienza o di origine impressi sui prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra il reato previsto dall’art. 4, comma 49, l. n. 350/2003 qualora, attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni e figure, il consumatore è indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana . Non solo, tale fatto integra anche l’illecito amministrativo di cui all’art. 4, comma 49- bis, della medesima legge qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise, ma non ingannevoli, il consumatore è indotto in errore sull’effettiva origine dei prodotti .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 ottobre 2016 – 28 marzo 2017, n. 15249 Presidente Di Nicola – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 14 aprile 2016 il Tribunale di Bari ha respinto la richiesta di riesame avanzata da M.T. , nei confronti del decreto del 24 febbraio 2016 del Pubblico Ministero del medesimo Tribunale, di convalida di sequestro probatorio di 20.160 sacchi da 25 chilogrammi ciascuno di fertilizzante denominato NICAL nitrato di calcio 15.5-0-0 26 , pari a complessivi chilogrammi 510.216, provenienti dalla Cina, eseguito in relazione al reato di cui all’art. 4, comma 49, L. n. 350 del 2003, a causa del fatto che le diciture stampate sul nastro adesivo utilizzato per confezionare le pedane in legno su cui erano caricati i sacchi contenenti il prodotto nella quali era indicata la produzione in Italia dei fertilizzanti fertilizers made in Italy costituivano false indicazioni di origine del prodotto, e anche della ulteriore circostanza che sui medesimi sacchi era stampata la dicitura fabbricante M.T. , ingannevole nei confronti dei consumatori in ordine all’origine e alla provenienza del prodotto importato. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la M. , prospettando violazione di legge penale a proposito dell’errata interpretazione dell’art. 4, comma 49 bis, I. n. 350 del 2003 e dell’art. 2, comma 2, lett. m , d.lgs. n. 75 del 2010, e violazione dell’art. 517 cod. pen., e lamentando anche l’omessa distinzione da parte del Tribunale tra le fasi di sdoganamento e commercializzazione e l’errata interpretazione della circolare del Ministero per lo Sviluppo Economico del 9/11/2009. Ha lamentato, in particolare, la mancata considerazione da parte del Tribunale della facoltà riconosciuta all’importatore di accompagnare il prodotto, su cui sia stato apposto il marchio falso, con una appendice informativa, idonea a evitare l’inganno dei consumatori, mediante indicazioni più puntuali circa l’origine o la provenienza del prodotto. In relazione alla indicazione della M.T. S.a.s., quale fabbricante del fertilizzante, ha contestato che la stessa costituisse fallace indicazione, in quanto assolveva a una funzione di garanzia circa la qualità del prodotto nei confronti dei consumatori, e ha richiamato la definizione di fabbricante contenuta nel d.lgs. n. 75 del 2010 concernente il riordino e la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti , da intendersi come la persona fisica o giuridica responsabile dell’immissione del fertilizzante sul mercato, e cioè il produttore, l’importatore, il confezionatore che lavora per conto proprio, od ogni persona che modifichi le caratteristiche di un fertilizzante, escludendo dalla nozione di fabbricante solamente il distributore che non modifichi le caratteristiche del fertilizzante, con la conseguenza che doveva essere esclusa la natura fallace della indicazione al riguardo apposta sui sacchi di fertilizzante sequestrati. Ha censurato anche il richiamo all’art. 517 cod. pen., trattandosi di fattispecie di carattere sussidiario, applicabile solo se il fatto non sia previsto come reato da altre disposizioni e solamente in relazione alla commercializzazione con segni ingannevoli di opere dell’ingegno, e anche l’affermazione relativa alla qualificabilità come modalità di confezionamento della apposizione del nastro adesivo sul cellophane che avvolgeva le pedane di legno sulle quali erano stati posati i sacchi contenenti il fertilizzante, in quanto tale nastro di supporto era stato utilizzato solamente per tenere compatti i sacchi, ma non era destinato a essere impiegato anche nella fase di commercializzazione dei prodotti. 3. Il Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta ha concluso per il rigetto del ricorso, evidenziando l’improprietà della equiparazione da parte della ricorrente tra fabbricante e importatore, fondata sulla definizione di cui all’art. 2, comma 2, lett. m , d.lgs. n. 75 del 2010, non avendo la ricorrente concorso alla modificazione delle caratteristiche del fertilizzante, e non potendo di conseguenza essere considerata fabbricante, escludendo anche la configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 4, comma 49 bis, I. 350/2003, in quanto i prodotti, al momento della loro presentazione in dogana, non erano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o la provenienza estera, o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento sull’origine degli stessi. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è ammissibile, a causa della genericità e della manifesta infondatezza delle censure cui è stato affidato. 2. Va ricordato che, secondo la uniforme e costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568 , cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109 . Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre a pena di inammissibilità del ricorso che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime. È quindi onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti s’intende delle censure di legittimità. 3. Nella vicenda in esame il Tribunale ha premesso, in fatto, che il 12 febbraio 2016 erano stati presentati per l’importazione presso l’Ufficio delle Dogane di Bari, per conto della M.T. S.a.s., 510.216 chilogrammi di fertilizzanti provenienti dalla Cina, posti all’interno di 21 containers, all’interno di ognuno dei quali vi erano 20 pedane di legno, su ciascuna delle quali erano caricati 48 sacchi da 25 chilogrammi ciascuno, contenenti fertilizzanti per uso agricolo ogni pedana era avvolta da cellophane trasparente e nastro adesivo di supporto, riportante il marchio registrato della ditta importatrice e la dicitura M.T. S.A.S., FERTILIZERS MADE IN ITALY, S.S. OMISSIS su ciascuno dei sacchi contenenti il fertilizzante era poi apposta la dicitura fabbricante/importato da M. SAS fertilizer e FABBRICANTE M.T. S.A.S., omissis . Le diciture stampate sul nastro adesivo, utilizzato per confezionare le pedane di legno sulle quali erano stati caricati i sacchi contenenti il prodotto, erano state ritenute false indicazioni di origine, ai sensi dell’art. 4, comma 49, L. n. 350 del 2003, in quanto riportanti l’indicazione made in Italy non corrispondente alla reale provenienza della merce le diciture stampate sui sacchi erano state qualificate fallaci indicazioni di origine, in quanto l’indicazione della ditta M. come fabbricante era stata ritenuta ingannevole nei confronti dei consumatori, riguardo all’origine e alla provenienza dei prodotti importati. Sulla base di tali elementi di fatto il Tribunale ha, quindi, ritenuto sussistenti gli indizi del reato di cui all’art. 4, comma 49, L. n. 350 del 2003, considerando le indicazioni apposte sul nastro adesivo utilizzato per confezionare le pedane su cui erano stati posati i sacchi di fertilizzante M.T. S.A.S., FERTILIZERS MADE IN ITALY, OMISSIS falsa indicazione di origine, in quanto tali confezioni sono utilizzate anche per la commercializzazione all’ingrosso, ritenendone inverosimile l’apposizione all’insaputa della M. il Tribunale ha, inoltre, considerato l’ulteriore indicazione apposta sui sacchi FABBRICANTE M.T. S.A.S. una fallace indicazione di origine, idonea a trarre in inganno gli acquirenti dei fertilizzanti, provenienti dalla Cina e alla cui composizione la ditta della indagata con aveva concorso in alcun modo, con la conseguente esclusione della applicabilità della previsione dell’art. 2, comma 2, lett. m d.lgs. n. 75 del 29 aprile 2010. 4. Tali considerazioni, con le quali la ricorrente ha omesso un autentico confronto critico, limitandosi a riproporre i rilievi già svolti mediante la memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di riesame, risultano corrette, avendo il Tribunale esattamente ravvisato gli indizi del reato di cui all’art. 4, comma 49, L. n. 350 del 2003. 4.1. Tale disposizione incrimina l’importazione o l’esportazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza, stabilendo che L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura made in Italy su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis, ovvero l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l’asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant’altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull’origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l’esatta indicazione dell’origine o l’asportazione della stampigliatura made in Italy . Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica . 4.2. Del tutto correttamente, dunque, il Tribunale ha ravvisato gli indizi del reato previsto da tale disposizione, sottolineando come la dicitura apposta sul nastro adesivo utilizzato per confezionare le pedane su cui erano stati posati i sacchi di fertilizzante M.T. S.A.S., FERTILIZERS MADE IN ITALY, OMISSIS costituisca falsa indicazione di origine nel senso della disposizione anzidetta, essendo pacifica sia la provenienza dalla Cina dei fertilizzanti, sia la apposizione sul nastro adesivo, utilizzato per il confezionamento dei sacchi in cui il prodotto era stato suddiviso, della dicitura non rispondente al vero made in Italy . Il Tribunale ha, poi, logicamente, evidenziato la rilevanza della apposizione di tale falsa indicazione sul nastro adesivo utilizzato per il confezionamento, in considerazione dello svolgimento da parte della M.T. S.a.s. anche di attività di commercio all’ingrosso, e quindi, della destinazione al pubblico delle pedane così come confezionate dunque con il nastro adesivo riportante detta falsa indicazione , con la conseguente rilevanza della dicitura presente sul nastro adesivo utilizzato per il confezionamento. Infine il Tribunale ha, altrettanto logicamente, escluso la verosimiglianza dell’utilizzo di tale nastro adesivo all’insaputa della M. , e tale rilievo non è stato espressamente censurato dalla ricorrente. 4.3. Altrettanto correttamente il Tribunale ha ravvisato una fallace indicazione, idonea a trarre in inganno i consumatori, nella apposizione sui sacchi di fertilizzante della dicitura FABBRICANTE M.T. S.A.S. , escludendo che la società della ricorrente possa qualificarsi come fabbricante, non avendo concorso a modificare le caratteristiche del prodotto, come invece richiesto dall’art. 2, comma 2, lett. m , del d.lgs. n. 75 del 29 aprile 2010, essendosi, pacificamente, limitata a importarlo. Tale disposizione, infatti, qualifica come fabbricante di fertilizzanti la persona fisica o giuridica responsabile dell’immissione del fertilizzante sul mercato in particolare, è considerato fabbricante il produttore, l’importatore, il confezionatore che lavora per conto proprio, o ogni persona che modifichi le caratteristiche di un fertilizzante tuttavia, non è considerato fabbricante un distributore che non modifichi le caratteristiche del fertilizzante poiché la società M.T. S.a.s. si è, pacificamente, limitata a importare i fertilizzanti sequestrati, senza concorrere in alcun modo alla modificazione delle loro caratteristiche, correttamente il Tribunale ne ha escluso la qualificabilità come fabbricante, con la conseguente non rispondenza al vero della dicitura apposta sui sacchi del prodotto, e la fallacia della stessa nel senso della disposizione anzidetta. 4.4. Ciò ha condotto, altrettanto coerentemente, a escludere la configurabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 4, comma 49 bis, della citata L. n. 350 del 2003, secondo cui Costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000 . Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la fallace indicazione del marchio di provenienza o di origine impressi sui prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra a il reato previsto dall’art. 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003 qualora, attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni e figure, il consumatore è indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana b l’illecito amministrativo previsto dall’art. 4, comma 49-bis, della medesima legge qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise, ma non ingannevoli, il consumatore è indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti. Sez. 3, n. 21256 del 05/02/2014, Uberti, Rv. 259721, richiamata anche nell’ordinanza impugnata conf. Sez. 4, n. 3789 del 17/10/2014, Martini, Rv. 263199 . Ne consegue la sussistenza degli indizi del reato prospettato nei confronti della ricorrente anche a cagione di tale fallace indicazione di provenienza, stante la falsità della indicazione di fabbricante apposta sulle confezioni del prodotto importato e la chiara portata ingannevole della stessa, non trattandosi di indicazione meramente insufficiente o imprecisa, bensì ingannevole, stante la sua univocità, sicché correttamente il Tribunale ha escluso al riguardo la configurabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 4, comma 49 bis, L. n. 350 del 2003. 4.5. Coerentemente, poi, il Tribunale ha escluso la rilevanza della possibilità, contemplata dalla circolare esplicativa del Ministero dello Sviluppo Economico del 9 novembre 2009, di rendere le informazioni ai consumatori in ordine alla effettiva origine del prodotto in un momento successivo alla importazione, nella fase di commercializzazione, affermando, logicamente, giacché diversamente tale circolare finirebbe per avere portata abrogativa della disposizione incriminatrice, che di tale facoltà l’importatore può avvalersi solamente quando tali attività non siano possibili nella fase anteriore alla commercializzazione, tra l’altro presentando una specifica attestazione nella fase di transito presso gli uffici doganali, da allegare alla dichiarazione doganale, cosa nella specie avvenuta solo successivamente al sequestro, con la conseguente insussistenza dei presupposti per potersi avvalere di tale disposizione. 5. Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza delle censure, peraltro generiche, mosse dalla ricorrente alla ordinanza impugnata, che comporta l’inammissibilità del ricorso. 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente Corte Cost. sentenza 7 13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.