Minacce, colpi di pistola e inseguimento non bastano per il tentato omicidio

L’utilizzo di un’arma da fuoco non è di per sé elemento sufficiente per configurare il delitto di tentato omicidio, posto che deve essere accertata la concreta idoneità della condotta a cagionare la morte di un uomo anche in relazione alla direzione degli spari.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14695/17 depositata il 24 marzo. La vicenda. Il Tribunale di Catania, in funzione di tribunale del riesame, confermava l’ordinanza con cui il GIP aveva applicato, in sede di convalida dell’arresto, la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere per il concorso dell’imputato nel reato di tentato omicidio aggravato, valorizzando le dichiarazioni rese dalla persona offesa e da altre persone informate sui fatti, nonché le immagini registrate da un sistema di videosorveglianza che aveva ripreso il fatto. In particolare, era emerso che l’imputato, dopo aver esploso alcuni colpi di pistola in direzione della vittima, già oggetto di minacce nei giorni precedenti all’evento, era entrato con un complice nel locale commerciale in cui la persona offesa si era rifugiata per nascondersi. Il provvedimento viene impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione dall’imputato che si duole per la mancata riqualificazione del fatto nel delitto di minaccia aggravata per l’assenza dell’intento omicida, oltre alla nullità del provvedimento per mancanza delle esigenze cautelari e inadeguatezza della misura disposta. Le caratteristiche della condotta. La prima doglianza viene condivisa dai Giudici di legittimità posto che il Tribunale del riesame non ha adeguatamente argomentato sul punto sottolineato dal ricorrente. L’idoneità dell’arma da fuoco a cagionare la morte non è infatti elemento sufficiente per ravvisare gli elementi essenziali del delitto di tentato omicidio, posto che l’esplosione di alcuni colpi di pistola non è di per sé idonea a cagionare la morte laddove non sia riscontrabile una concreta potenzialità dell’azione in tal senso, quantomeno in relazione alla direzione dei colpi. Devono dunque tenersi distinte le varie ipotesi di reato astrattamente configurabili nel caso di specie in relazione alle caratteristiche concrete della condotta e ai diversi beni messi in pericolo, oltre che al fatto che la vittima era già stata precedentemente minacciata. La Corte afferma in conclusione che il delitto di omicidio tentato non sussiste per inidoneità della condotta laddove l’agente, che aveva in precedenza minacciato la vittima di gravi conseguenze, abbia reiterato la minaccia indirizzando contro la persona offesa, da una distanza significativa, un’arma da fuoco idonea e funzionante, tanto da indurla a darsi alla fuga volgendo le spalle all’aggressore, per poi esplodere alcuni colpi di pistola di cui non sia accertata la direzione verso il corpo della persona offesa, a nulla rilevando il successivo inseguimento all’interno del luogo in cui quest’ultima si sia rifugiata. Per questi motivi la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Catania per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 gennaio – 24 marzo 2017, n. 14695 Presidente Mazzei – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catania, in funzione di tribunale del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell'interesse del ricorrente avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania del 25 giugno 2016 con la quale era stata applicata, in sede di convalida dell'arresto, la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in relazione al concorso - con M. I. - in tentato omicidio aggravato ai danni di B. M. artt. 110, 56, 575, 577, primo comma, n. 3 e n. 4, in relazione all'art. 61, primo comma, n. 1, cod. pen. . 1.1. Il Tribunale di Catania, richiamando espressamente l'ordinanza genetica emessa in sede di convalida dell'arresto da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, ha valorizzato il compendio indiziario derivante dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, nonché dalle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti e, da ultimo, dalle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza a circuito chiuso che ritraevano la parte finale dell'azione criminosa addebitata al ricorrente in concorso con M. I Non risultando controverso il fatto materiale consistente nell'esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco in presenza della persona offesa, che veniva poi inseguita all'interno di un esercizio commerciale ove la stessa si riparava, il Tribunale di Catania, così come già il Giudice per le indagini preliminari, valorizzava, al fine di ritenere la fattispecie delittuosa del tentato omicidio in luogo di minaccia aggravata, sia la minaccia profferita il giorno precedente, sia la fase finale della vicenda per cui si procede allorquando, dopo l'esplosione due o tre colpi di arma da fuoco, la persona offesa si rifugiava all'interno di una pizzeria dove la stessa si nascondeva per sottrarsi agli inseguitori che, nel medesimo luogo, si introducevano armati per individuare la vittima. Ad avviso del Tribunale, ferma restando l'idoneità dello strumento impiegato arma da fuoco e l'idoneità dell'azione posta in essere da due persone che fronteggiavano la vittima, l'esplosione dei colpi di arma da fuoco doveva essere qualificata quale tentativo di omicidio anche in considerazione dell'inseguimento della vittima che, palesemente terrorizzata, era fuggita dal luogo dei fatti e aveva cercato riparo altrove. Soltanto un'azione pervicacemente indirizzata a colpire con la pistola la persona offesa poteva spingersi, secondo il Tribunale, fino al punto da inseguire la vittima in un luogo pubblico, procedendo oltre alla ipotetica minaccia già ampiamente realizzata, secondo l'ottica difensiva, con l'esplosione dei colpi e la fuga della vittima. 1.2. Sotto l'angolo visuale delle esigenze cautelari, il Tribunale evidenziava la gravità della condotta, posta in essere per un futile motivo sulla pubblica via e con il successivo epilogo in un esercizio commerciale, da cui traeva la convinzione dell'attitudine a porre in essere condotte violente per la soluzione anche di modeste questioni private, impiegando armi da fuoco. Tali elementi inducevano a ritenere la sussistenza del pericolo di reiterazione e la inadeguatezza di misure coercitive di minore rigore le quali richiedono necessariamente l'autocontrollo del ricorrente il quale, nel caso di specie, ha dimostrato di essere totalmente privo di freni inibitori e dunque inaffidabile. 2. Ricorre G. L., personalmente, che chiede l'annullamento dell'ordinanza, formulando due distinti motivi. 2.1. Osserva, con il primo motivo, che l'ordinanza è nulla per la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., con riferimento alla mancata riqualificazione giuridica dei fatti alla stregua del delitto di minaccia aggravata a norma dell'art. 612, secondo comma, cod. pen Il ricorrente richiama in particolare le argomentazioni già svolte in sede di appello in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e alla mancanza dell'intento omicida. 2.2. Osserva, con il secondo motivo, che l'ordinanza è nulla per la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., con riferimento alle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura della custodia in carcere. Considerato in diritto 1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato con riferimento al primo motivo di ricorso, avente carattere assorbente. 2. Il primo motivo di ricorso ripropone le argomentazioni già sviluppate in sede di riesame con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti, argomentazioni che sono state esaminate dal Tribunale di Catania e superate con una motivazione che appare, tuttavia, viziata per quanto concerne la ritenuta sussistenza dell'ipotesi del concorso in tentato omicidio aggravato. 2.1. La dinamica dei fatti, come si è visto, non è controversa dopo un precedente scontro fisico, conclusosi anche con la minaccia di prossime ritorsioni, L. e I. si recavano armati di pistola nel centro abitato ove sapevano di poter incontrare M. mostrando minacciosamente l'arma puntata ad altezza uomo, L. minacciava la persona offesa che, dopo un iniziale abbozzo di difesa mediante un bastone, avvedutasi dell'avvicinarsi dei due, volgeva le spalle e si dava alla fuga nel frangente udiva alcuni colpi di arma da fuoco venivano poi rinvenuti due bossoli esplosi e si rifugiava all'interno di una pizzeria L., che impugnava sempre la pistola, e I. entravano, quindi, anch'essi nell'esercizio pubblico alla ricerca di M., ma non riuscendo a trovarlo si allontanavano. Va subito evidenziato che non è stato possibile accertare, allo stato delle indagini, se i colpi di pistola siano stati esplosi all'indirizzo di M. o, quanto meno, ad altezza d'uomo non sono state individuate le tracce materiali concernenti le ogive esplose, né dichiarazioni di testimoni da cui possa desumersi l'esatto svolgimento della dinamica di tiro. 2.2. Sotto tale profilo, la generica, indiscutibile, idoneità dell'arma da fuoco a cagionare la morte di un uomo, non consente di affermare, tuttavia, che nella condotta specificatamente posta in essere siano ravvisabili gli elementi essenziali del delitto di tentato omicidio. L'esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco non costituisce condotta, di per sé, idonea a cagionare la morte di un uomo, laddove non sia stata verificata la concreta idoneità dell'azione a porre in pericolo il bene protetto, quanto meno sotto l'angolo visuale della direzione dei colpi. Il criterio discretivo tra le varie fattispecie di reato ipotizzabili nel caso di specie tentativo di omicidio, tentativo di lesioni volontarie aggravate, minaccia aggravata deve essere individuato in relazione alla concreta idoneità della condotta a porre in pericolo i diversi beni oggetto di protezione l'integrità fisica, nel caso del tentato omicidio e delle lesioni, e la libertà morale, nell'ipotesi della minaccia ovvero il medesimo bene, ma in differente grado la vita, nel caso del tentativo di omicidio, oppure l'integrità fisica, nel caso del tentativo di lesioni . Non appare risolutivo, in tal senso, valorizzare la minaccia formulata il giorno precedente, né l'inseguimento posto in essere dopo l'esplosione dei colpi, in quanto di tratta di elementi non attinenti l'idoneità dell'azione omicidiaria che, al più, possono essere evidenziati per indagare l'elemento psicologico. 3. L'ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Catania che, nel procedere a nuovo esame con riferimento alla qualificazione giuridica della condotta, si atterrà al seguente principio di diritto non sussiste il delitto di omicidio tentato, per inidoneità della condotta, allorché l'agente, che aveva in precedenza minacciato la vittima di gravi conseguenze, abbia dapprima nuovamente minacciato la stessa indirizzandole contro da significativa distanza un'arma da fuoco, idonea e funzionante, tanto da indurla a darsi alla fuga volgendo le spalle all'aggressore, e quindi esploso ripetuti colpi di pistola, senza che sia stata accertata la direzione di essi verso il corpo della persona offesa, a nulla rilevando, per ritenere l'idoneità della condotta, il successivo inseguimento della stessa all'interno del luogo ove aveva trovato riparo . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catania. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'Istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma I-ter, disp. Att. c.p.p