Incapacità di testimoniare: quando ricorre l’esimente della punibilità per falsa testimonianza?

La punibilità per falsa testimonianza può escludersi qualora ricorra un interesse tale da rendere una persona incapace a proporre una domanda e a contraddire, sotto l’aspetto sia di una legittimazione primaria che secondaria, mediante intervento adesivo indipendente.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 12404/17 depositata il 15 marzo. Il caso. L’imputato chiede l’annullamento della sentenza con la quale la Corte d’appello confermava la sua condanna, all’esito di giudizio abbreviato, per aver commesso il reato di falsa testimonianza. Egli, infatti, aveva dichiarato il falso nell’ambito di una causa civilistica relativa alla nullità di un contratto di compravendita. L’imputato ricorre per cassazione deducendo l’erronea esclusione da parte dei Giudici di merito dell’esimente derivante dalla sua incapacità di testimoniare nel processo civile. L’esimente della punibilità per falsa testimonianza. Gli Ermellini affermano che in tema di punibilità per falsa testimonianza, commessa in ambito civile, questa non può essere esclusa solo per un interesse di mero fatto non sorretto da una posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile. Al contrario, la punibilità per falsa testimonianza può escludersi qualora ricorra l’interesse che rende una persona incapace a deporre, quale quello giuridico personale, concreto e attuale a proporre una domanda e a contraddire, sia sotto l’aspetto di una legittimazione primaria, sia sotto quello di una legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo indipendente . Nella fattispecie, l’imputato non è in concreto portatore di tale interesse, considerato che ciò è stato anche accertato nel fatto che il preliminare di vendita da lui concluso stabiliva esattamente l’oggetto di quanto pattuito tra le parti. Pertanto, il Collegio di legittimità dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 gennaio – 15 marzo 2017, n. 12404 Presidente Carcano – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. B.D. chiede l’annullamento della sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza che lo aveva condannato, all’esito di giudizio abbreviato, per il reato di falsa testimonianza l’imputato aveva dichiarato il falso, chiamato a testimoniare in una vertenza civile avente ad oggetto la nullità di un contratto di compravendita stipulato tra i venditori D. e S. e la moglie del B. . Nel ricorso, il ricorrente deduce come unico motivo di annullamento, la violazione dell’art. 384, secondo comma, cod. pen. in relazione all’art. 246 cod. proc. civ. e vizio di motivazione i giudici dell’appello erroneamente non avrebbero applicato l’esimente derivante dall’incapacità dell’imputato a testimoniare nel processo civile avendo l’imputato stipulato con i venditori il preliminare di vendita ed essendo la convenuta legittimata ad chiamare in causa quest’ultimo per essere garantita dall’azione di annullamento contro di lei promossa e per essere risarcita dei relativi danni . 2. Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi. È stato più volte affermato che la punibilità della falsa testimonianza commessa in una causa civile non può essere esclusa, ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. pen., in presenza di un interesse di mero fatto, non sorretto da una posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile, ma solo ove ricorra l’interesse che rende una persona incapace a deporre a norma dell’art. 246 cod. proc. civ., ossia l’interesse giuridico personale, concreto e attuale a proporre una domanda e a contraddire, sia sotto l’aspetto di una legittimazione primaria, sia sotto quello di una legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo indipendente tra le tante, Sez. 6, n. 49542 del 11/11/2014, Flarà, Rv. 261221 Sez. 6, n. 45311 del 08/11/2011 Di Biase Rv. 250993 . Nel caso in esame, con giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, la sentenza impugnata ha escluso che l’imputato fosse in concreto portatore di un siffatto interesse considerato, tra l’altro, che è stato accertato che il preliminare stabiliva esattamente l’oggetto di quanto pattuito tra le parti . A ciò deve aggiungersi che correttamente la Corte di appello ha definito l’imputato mero terzo nella vicenda civilistica che aveva riguardato la di lui moglie, posto che, nel contratto per persona da nominare, quale doveva ritenersi quello stipulato tra l’imputato e i venditori, il terzo designato subentra nel contratto per effetto della nomina e della sua contestuale accettazione e, quindi, acquista i diritti ed assume gli obblighi già facenti capo al contraente originario con effetto retroattivo. Ne consegue che il terzo designato al momento della stipula del contratto definitivo deve essere considerato fin dall’origine unica parte contraente contrapposta al promittente venditore ed a questo legata dal rapporto costituito dallo stipulante nella sua interezza tra tante, Sez. 1, n. 8868 del 16/04/2014, Rv. 631156 . 3. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 1.500. Consegue, ancora, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese a favore della parte civile, liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende. Condanna il ricorrente B.D. al pagamento delle spese del grado in favore delle parti civili costituite D.E. e S.M. , spese che liquida in complessivi Euro duemila, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA E CPA.