La linea di confine tra il delitto di lesioni personali e l’illecito sportivo

La scriminante atipica del rischio consentito non è applicabile qualora, nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di un’aggressione fisica intenzionale, per ragioni avulse dalla dinamica sportiva.

Così si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 11991/17 depositata il 13 marzo. Il caso. La Corte d’appello, nella parziale riforma della decisione relativamente alla riduzione della pena e dell’entità del risarcimento del danno, confermava la condanna degli imputati per i delitti di lesioni personali cagionati alla vittima durante una partita di calcio. Gli imputati ricorrono in Cassazione deducendo il mancato riconoscimento della scriminante atipica del rischio consentito in virtù del contesto in cui il fatto è avvenuto. In particolare, essi affermano che le condotte si sono verificate durante la partita di calcio come sviluppo fisiologico di un’azione di gioco concitata costituendo, pertanto, un illecito sportivo . La scriminante atipica del rischio consentito. Il Collegio di legittimità, ritenendo corretta la valutazione svolta dalla Corte territoriale, afferma che in tema di competizioni sportive, non è applicabile la scriminante atipica del rischio consentito, qualora nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva . Nella disciplina calcistica, infatti, l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero di movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche . Non si può, poi, prescindere dalla concreta valutazione dell’elemento psicologico dell’agente, il quale può aver agito, a seconda dei casi, colposamente o dolosamente. Nella fattispecie, l’azione di gioco è terminata con l’impossessamento del pallone da parte del portiere, gettatosi a terra per difenderlo, e gli imputati intenzionalmente lo avevano colpito ripetutamente, esorbitando dal rispetto delle regole di gioco . Pertanto, la Corte respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 novembre 2016 – 13 marzo 2017, n. 11991 Presidente Nappi – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Caltanisetta ha parzialmente riformato la decisione di primo grado di condanna nei confronti degli imputati P. , R. e B. , dando atto che il reato di lesioni di cui al capo c non era stato contestato al primo ed al terzo ma solo a R. , riducendo la pena e l’entità del risarcimento del danno a carico di costoro e confermando le restanti disposizioni per i delitti di lesioni personali cagionati a G. e M. , nel corso di una partita di calcio. Epoca del fatto, omissis . 1. Avverso la decisione ha proposto ricorso con unico atto la difesa degli imputati, che ha lamentato la violazione di legge in relazione agli 192 cp e 546, comma 1, lett e ed il vizio di motivazione. La Corte avrebbe, infatti, escluso dal materiale di valutazione ogni elemento a favore degli imputati, e tralasciato le numerose contraddizioni emerse dalle deposizioni delle parti civili e di alcuni testi. In particolare il ricorso ha posto in luce le incongruenze delle testimonianze delle parti civili T. , L. e G. circa l’aggressione subita da quest’ultimo ed il contrasto che emergerebbe con quelle dei testi neutrali, l’arbitro C. ed uno dei carabinieri presenti all’incontro di calcio per servizio. 1.1 Col secondo motivo si è lamentato il vizio di motivazione e la violazione di legge, per il mancato riconoscimento della scriminate atipica del rischio consentito, poiché le condotte attribuite agli imputati si sarebbero verificate durante la partita di calcio come sviluppo fisiologico di un’azione di gioco concitata costituendo, pertanto, un illecito sportivo. 1.2 Tramite il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 133 cp, poiché la pena avrebbe dovuto essere commisurata vicino al minimo edittale, in considerazione delle modalità del fatto e della personalità degli imputati. All’odierna udienza il PG, dr Fraticelli, ha concluso per l’inammissibilità e l’avvocato Greco per le parti civili si è associato alla richiesta ed ha depositato conclusioni e nota spese. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1.Deve osservarsi che il primo motivo di ricorso risulta generico, nel senso che non si è confrontato con la chiara motivazione resa dai Giudici del merito riguardo alla ipotizzata parcellizzazione delle prove, argomento identico a quello proposto nei motivi di appello. Ad esso la Corte ha già risposto, sottolineando la genericità del gravame, che, tra l’altro, non aveva chiarito in quali punti il racconto dei testi parti civili sarebbe stato contraddittorio, e puntualizzando che il primo Giudice non era tenuto a riportare tutte le dichiarazioni rese durante l’istruttoria dibattimentale, avendo evidenziato i passaggi delle deposizioni ritenuti idonei a far emergere gli elementi di prova circa la responsabilità degli imputati. 1.1 Sulla base delle testimonianze indicate la Corte ha operato una sintetica ma chiara descrizione dei fatti, la cui tenuta logica non è messa in crisi dalle doglianze aspecifiche proposte in ricorso. Sul punto il ricorrente ha ipotizzato incongruità nelle testimonianze delle parti civili e contraddizioni con le deposizioni dei testi neutrali, deducendo il vizio di manifesta illogicità della motivazione tuttavia ha supportato tali censure attraverso l’inserimento nell’atto di ricorso di brevi passi degli esami testimoniali, con ciò rendendosi inadempiente all’onere di completa allegazione o trascrizione che grava sulla parte che voglia far valere il predetto vizio. Così da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 46979 del 10/11/2015 Ud. dep. 26/11/2015 Rv. 265053 Massime precedenti Conformi N. 45036 del 2010 Rv. 249035, N. 26725 del 2013 Rv. 256723, N. 43322 del 2014 Rv. 260994, N. 23308 del 2015 Rv. 263601. 2. Col secondo motivo è stata invocata la scriminate atipica del cosiddetto rischio consentito il competizioni sportive, la cui sussistenza è stata correttamente esclusa dalla Corte territoriale, che ha richiamato i principi enucleati dal Giudice di legittimità circa i presupposti e limiti della predetta scriminante. Essi sono stati individuati nella realizzazione di un evento lesivo tramite una volontaria violazione delle regole di gioco, tale da superare la precondizione su cui si fonda. la partecipazione alla gara stessa, del rispetto della lealtà sportiva. In tal senso, con massima ne,-precisi termini della fattispecie in esame, Sez. 5, Sentenza n. 42114 del 04/07/2011 Ud. dep. 16/11/2011 Rv. 251703 In tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito, qualora nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero di movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc. . In motivazione è stato precisato che l’area del rischio consentito è delimitata in rapporto all’osservanza delle regole tecniche del gioco praticato, la, violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente, il cui comportamento può essere - pur nel travalicamento di quelle regole - colposo ossia involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrarie consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario, approfittando delle circostanze del gioco cfr. Cass. sez. 5, 20.1.2005, n. 19473, rv. 231534. 2.1 Applicando tali condivisi principi al processo in esame deve annotarsi che nella fattispecie concreta, per come congruamente ritenuta accertata nella fase di merito, pur essendo l’azione di gioco sicuramente terminata con l’impossessamento del pallone da parte del portiere, che si era gettato in terra per difenderlo, gli imputati lo avevano colpito più volte, di gran lunga, esorbitando dal rispetto delle regole di gioco e denotandosi, così, dal loro concreto e ripetuto agire violento l’elemento intenzionale del delitto di lesioni in danno di G. . Mentre per quanto attiene le lesioni in danno delle altre parti lese, furono cagionate come reazione al loro intervento in difesa del compagno di squadra e, quindi, in un contesto ormai avulso da ogni fisiologica dinamica di gioco e sportiva. 3. Per quanto attiene al terzo motivo, esso è manifestamente infondato, poiché la pena inflitta agli imputati, di sette mesi di reclusione, è vicina al minimo edittale di tre mesi e la motivazione ha congruamente chiarito che la sanzione è stata proporzionata alla gravità dei fatti, caratterizzati da ripetuti atti violenti compiuti dagli imputati nel corso della competizione sportiva. Alla luce delle considerazioni che precedono i ricorsi vanno dichiarati inammissibili ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende. In ragione del principio della soccombenza i ricorrenti devono essere, altresì, condannati alla refusione delle spese di costituzione di parte civile, che sono liquidate in complessivi Euro 3000. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende. Li condanna, altresì, alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro tremila.