Se il matrimonio cessa i maltrattamenti diventano stalking?

Il caso della separazione legale o di fatto differisce, tra le altre cose, da quello del divorzio anche per la presenza di obblighi di rispetto reciproco, assistenza morale e materiale e solidarietà nati dal matrimonio. E questo può essere rilevante anche dal punto di vista della configurazione del reato di stalking oppure di maltrattamenti in famiglia.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10932/17 depositata il 6 marzo. Il caso. Avendo sottoposto la moglie a maltrattamenti e lesioni, il marito veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere. La condanna veniva confermata con ordinanza dal Tribunale di Napoli, sezione per il riesame, avverso la quale il soggetto proponeva ricorso in Cassazione. I maltrattamenti in famiglia e lo stalking. Egli lamenta la violazione di legge per la ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato ex art. 572 c.p. maltrattamenti contro familiari o conviventi , dato che il ricorrente e la persona offesa erano legalmente separati. Ma la Corte di Cassazione ribadisce che, in tema del reato appena menzionato e quello di atti persecutori ex art. 612- bis , comma 2, c.p., è configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare o a questa assimilata , ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo, o comunque della sua attualità temporale sentenza n. 30704/16 . Il Giudice di legittimità, inoltre, precisa che ciò è particolarmente valevole in caso di divorzio, ravvisandosi viceversa il reato di maltrattamenti in caso di condotta tenuta in presenza di separazione legale o di fatto, che non vale a porre nel nulla i doveri di rispetto reciproco, assistenza morale e materiale, e di solidarietà nascenti dal matrimonio . La situazione in esame è connotata da molteplici e reiterate sofferenze, sia fisiche che morali, subite dal minore ad opera dell’indagato, da cui è derivato uno status di vessazione psicologica. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 febbraio – 6 marzo 2017, n. 10932 Presidente Ippolito – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Napoli, sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, ha confermato l’ordinanza del 23 agosto 2016 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.C. , sottoposto ad indagini per i reati di cui agli artt. 572, 582 e 585 cod. pen., commessi fino al 18 agosto 2016 in danno della moglie P.C. . 2. Con i motivi di ricorso, qui sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., sottoscritti dal difensore di fiducia, il ricorrente deduce 2.1 violazione di legge, in relazione agli artt. 309, commi 9 e 10, cod. pen. poiché erroneamente il Tribunale ha disatteso la richiesta difensiva di dichiarare la inefficacia della misura per la mancata trasmissione di uno degli elementi sui quali si fondava la richiesta e, cioè, il certificato medico relativo alle lesioni subite dalle persona offesa il 18 agosto 2016 2.2 violazione di legge per la ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato di cui all’art. 572 cod. pen. non configurabile a carico dell’ex coniuge separato legalmente e non convivente 2.3 contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di sussistenza delle esigenze cautelari e proporzionalità della misura disposta avuto riguardo allo stato di formale incensuratezza dell’indagato. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. Con riguardo al primo motivo, al di là dei non puntuali riferimenti giurisprudenziali richiamati nell’ordinanza impugnata, occorre premettere che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, la mancata trasmissione, al Tribunale del riesame, di parte degli atti acquisiti al procedimento cautelare determina la caducazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., qualora gli atti non trasmessi siano stati ritenuti determinanti ai fini dell’applicazione della misura cautelare cfr., ex plurimis , Sez. 6, 12 dicembre 2013, dep. 21 febbraio 2014, De Simone, n. 8657 . Ciò posto, rileva il Collegio che, per come è dato evincere dalla motivazione del provvedimento impugnato, il Tribunale ha ritenuto fondante, ai fini della conferma della misura cautelare, le dichiarazioni rese dalla persona offesa, a prescindere dal riscontro documentale alle lesioni infedele, valutazione che non è affatto attinta dai motivi di ricorso con la conseguenza che il dedotto motivo di ricorso non è ammissibile per la sua genericità in quanto non spiega la incidenza del vizio ai fini della corretta motivazione dell’ordinanza e, quindi della logicità, coerenza e congruenza del percorso logico-argomentativo sulla base del quale il giudice del riesame ha confermato l’applicazione della misura custodiale. 3. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato nel proposto ricorso, pur riferendosi alla persona offesa come ex coniuge, si aggiunge che il ricorrente e la persona offesa erano solo legalmente separati. In materia di rapporti tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori di cui all’art. 612-bis, comma 2 cod. pen., secondo un orientamento espresso da questa Corte ed al quale si intende aderire, è configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori prevista dall’art. 612-bis, comma secondo, cod. pen. in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare o a questa assimilata , ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo, o comunque della sua attualità temporale Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D’A., Rv.267942 . Con la precisazione che ciò può valere, in particolare, in caso di divorzio, ravvisandosi viceversa il reato di maltrattamenti in caso di condotta posta in essere in presenza di una separazione legale o di fatto che non vale a porre nel nulla i doveri di rispetto reciproco, assistenza morale e materiale, e di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale e in presenza di una situazione, diffusamente richiamata nell’ordinanza impugnata, caratterizzata dalle reiterate e abituali sofferenze fisiche e morali inferte dall’indagato alla moglie e dallo status di vessazione psicologica che ne è scaturito. 5. Né è ravvisabile il vizio di illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c cod. proc. pen. e alla inadeguatezza di misure autocustodiali a salvaguardare la incolumità personale della persona offesa. Ai fini della motivazione del pericolo di reiterazione del reato, il Tribunale ha plausibilmente valorizzato l’indole violenta del C. , desunta dai fatti che gli sono contestati, e la sua refrattarietà al rispetto delle regole di civile convivenza, prima che giuridiche, alla stregua della condanna riportata in primo grado per reati dello stesso genere e della violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi abitati dalla persona offesa applicatogli in separato procedimento. 4. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 – comma 1- ter disp. att. cod. proc. pen