Scampanellata fatale: padre sotto accusa per complicità nello spaccio del figlio

Il ragazzo ha segnalato con un singolare messaggio in codice la presenza dei carabinieri che volevano perquisire l’abitazione. Il genitore ha reagito prontamente, individuando la sostanza stupefacente e gettandola dal balcone di casa.

Quasi un messaggio in codice, la scampanellata. Mittente il figlio – accompagnato a casa dai carabinieri –, destinatario il padre. Obiettivo è nascondere la droga presente nell’abitazione. Logico accusare il genitore di complicità nello spaccio allestito dal ragazzo. Inequivocabile la sua reazione, concretizzatasi nella decisione di gettare la sostanza stupefacente dal balcone Cassazione, sentenza n. 10545/2017, Sezione Sesta Penale, depositata il 3 marzo 2017 . Accordo. Nessun dubbio sul fatto che la droga presente in casa, 18 grammi di cocaina e 280 grammi di marijuana, fosse di proprietà del figlio e destinata allo spaccio . Ciò nonostante, anche il padre è chiamato in causa, alla luce del comportamento tenuto in occasione della verifica che si apprestavano ad effettuare nell’abitazione i carabinieri. Più precisamente, è stato appurato che egli, a seguito della scampanellata ‘in codice’ da parte del figlio – accompagnato dai militari che intendevano effettuare una perquisizione –, ha prontamente individuato lo stupefacente per poi disfarsene gettandolo dal balcone . A inchiodare l’uomo sono stati i carabinieri rimasti in strada, che hanno così potuto assistere all’intera scena. Tutti gli elementi a disposizione sono sufficienti, secondo i giudici, per desumere l’esistenza di un pregresso accordo in famiglia sul da farsi in caso di intervento delle forze dell’ordine. Di conseguenza è logico considerare il genitore complice del figlio nella detenzione di droga destinata allo spaccio .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 gennaio – 3 marzo 2017, n. 10545 Presidente Paoloni – Relatore Di Stefano Motivi della decisione Con ordinanza del 1 luglio 2016 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato la misura degli arresti domiciliari applicata a P.S. per il possesso di circa 18 g di cocaina e circa 280 g di marijuana destinati allo spaccio. Più in particolare, esponeva il Tribunale che la sostanza era riferibile al figlio del ricorrente e, in occasione dell’intervento delle forze dell’ordine presso il domicilio comune dei due, il P.S. tentava di disfarsi della droga gettandola dal balcone ma era chiaramente visto dai carabinieri che recuperavano la sostanza. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale confermava la esistenza del rischio di recidiva sulla scorta dei dati indicativi del collegamento con ambienti di criminalità organizzata nonché non essendo state individuate le fonti di approvvigionamento dello stupefacente sulla base del sicuro collegamento dei P. con ambienti di criminalità specifica del settore, in corso di individuazione. La rimessa in libertà del ricorrente potrebbe portare nocumento alle indagini . P. ricorre contro tale decisione. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione sviluppando argomenti in ordine al fatto che, in assenza della prova di un accordo pregresso con il figlio, la condotta di impedire la scoperta da parte delle forze dell’ordine dello stupefacente - pacificamente appartenente al figlio - andava correttamente configurata come favoreggiamento personale. Con il secondo motivo contesta la applicazione della ipotesi di cui al comma 1 dell’articolo 73 legge droga e non quella del comma 5. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione nella valutazione delle esigenze cautelari, in assenza di elementi concreti che dimostrassero la affermata esistenza di legami con la criminalità organizzata del ricorrente ed in tema di assenza di opportunità della misura rispetto alla condizione di ultrasettantenne. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo sulle esigenze cautelari. Quanto al primo motivo, il Tribunale ha argomentato sul fatto che, avendo la polizia giudiziaria dato atto che la condotta del ricorrente era successiva ad uno scampanellio in codice da parte del figlio che era stato accompagnato alla porta di casa dai carabinieri che intendevano effettuare una perquisizione, ed avendo il ricorrente prontamente individuato stupefacente e bilancino di cui disfarsi, evidentemente vi era un pregresso accordo sul da farsi in caso di intervento della polizia giudiziaria. Tale accordo ha consentito al Tribunale di ricostruire il concorso nella detenzione dello stupefacente, e non soltanto la predisposizione di una condotta di favoreggiamento, proprio in applicazione dei principi della giurisprudenza di legittimità invocata dal medesimo ricorrente. Quanto al secondo motivo, il Tribunale ha svolto argomentazioni non illogiche in tema di qualificazione del fatto escludendo la fattispecie di minor gravità, non residuando valutazioni di pertinenza del giudice di legittimità. Quanto al terzo motivo, l’ordinanza innanzitutto è del tutto apodittica nell’indicare le esigenze cautelari riferite all’inquinamento probatorio. Difatti, tali esigenze andrebbero riferite al reato per cui si procede la detenzione della droga in sequestro per il quale, invece, è del tutto evidente come non vi siano particolari ed ulteriori esigenze probatorie. Né, peraltro, in alcun modo risulta la collocazione del fatto in un più ampio contesto di indagini sul traffico di stupefacenti. Quindi, quali siano le indagini a farsi, e sulle quali il ricorrente possa influire, né è detto né, comunque, si intuisce. Poi, e soprattutto, delle situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova e delle circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento che giustificano il paventare tale pericolo, nell’ordinanza non vi è neanche il solo inizio di motivazione. Per quanto riguarda le esigenze di prevenzione e rischio di recidiva, il Tribunale ha svolto argomentazioni in tema di esigenze cautelari che non riguardano il ricorrente nell’ordinanza, difatti, si dà atto di come il traffico di stupefacenti sia attività riferibile al figlio e solo indirettamente attribuisce anche al ricorrente i contatti con la criminalità organizzata, ma sul punto non indica alcun elemento concreto. Né utilizza altri parametri per ritenere la negativa personalità del ricorrente che vadano oltre la condotta di ausilio ai traffici illeciti del figlio tale ausilio, del resto, nella stessa descrizione del Tribunale, non va oltre l’occultamento della sostanza all’arrivo delle forze dell’ordine. Sulla scorta di tali elementi, risulta priva di effettiva valutazione la autonoma capacità criminale del ricorrente, necessaria per poter fondare il rischio di recidiva. Si impone quindi l’annullamento con rinvio per nuovo esame in punto di esigenze cautelari. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso.