Affitta degli appartamenti e diventano case di prostituzione. Condannato il locatore consapevole

I comportamenti tenuti da un soggetto a seguito della stipula del contratto sono valutabili in ordine all’esistenza dell’elemento soggettivo di dolo generico per il reato di concessione in locazione di immobili a scopo di esercizio di casa di prostituzione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10003/17 depositata il 1° marzo. Il caso. Un soggetto veniva condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per essersi reso colpevole del reato ex artt. 3, nn. 1, 2, 4, 7 e 7- bis , l. n. 75/1958, per aver concesso in locazione alcuni appartamenti a scopo di esercizio di casa di prostituzione. Nel ricorso in Cassazione, lamentava vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Il dolo generico del reato. Il ricorrente sostiene di non esser mai stato consapevole dell’esercizio continuativo della prostituzione nei propri immobili. Ma la Corte di Cassazione ribadisce l’orientamento della sentenza n. 27976/14 , secondo cui l’elemento soggettivo del reato in esame è costituito dal dolo generico, in quanto non è richiesto che lo scopo rientri nelle finalità dell’agente, ma è sufficiente che il locatore ceda l’immobile essendo a conoscenza dell’uso cui lo stesso sarà adibito . La dubbia inconsapevolezza del condannato. In ogni caso è difficile sostenere l’inconsapevolezza del condannato, in quanto, dalle risultanze processuali, egli era cliente di una prostituta e ne aveva indirizzato un’altra peraltro tossicodipendente verso la gestrice della casa di prostituzione affinché esercitasse lì il meretricio. Questi comportamenti tenuti dal ricorrente rendono manifesta la conoscenza dei fatti illeciti che avvenivano negli immobili di sua proprietà. Nei confronti di questa conoscenza, però, egli aveva assunto un atteggiamento di inerzia, continuando a percepire gli affitti e garantendo anche la migliore fruizione dei locali . Per questi motivi, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 luglio 2016 – 1 marzo 2017, n. 10003 Presidente Amoresano – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il sig. B.S. ricorre per l’annullamento della sentenza del 03/04/2014 della Corte di appello di Bologna che, integralmente confermando quella del 04/04/2005 del Tribunale di quello stesso capoluogo, lo ha definitivamente condannato alla pena ridotta per il rito abbreviato di due anni e otto mesi di reclusione e 2.000,00 Euro di multa per il reato di cui agli artt. 3, nn. 1 e 2 , 4, nn. 7 e 7-bis, legge 20 febbraio 1958, n. 75 a lui attribuito per aver concesso in locazione diversi appartamenti a scopo di esercizio di casa di prostituzione fatto contestato come commesso in Bologna dal dicembre 1996 al luglio 1997. 1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., l’erronea applicazione delle norme incriminatrici e dell’art. 192, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione manifestamente illogica in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Lamenta, in particolare, lo scollamento tra il condivisibile principio di diritto secondo il quale il dolo del reato in questione è integrato dalla consapevolezza della destinazione dei locali all’esercizio della prostituzione e i fatti processualmente accertati dai quali non è lecito desumere la sussistenza di tale consapevolezza. Richiamate a tal fine le singole emergenze probatorie indicate dalla Corte territoriale per confermare la condanna, denunzia la loro valenza ambigua, non univocamente utilizzabile a sostegno della tesi accusatoria della iniziale conoscenza del successivo utilizzo dei locali, ed il malgoverno del criterio di giudizio imposto ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen 1.2. Con il secondo motivo, sviluppando gli stessi argomenti già utilizzati a sostegno del primo, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., l’erronea applicazione delle circostanze aggravanti e dell’art. 59, cod. pen., nonché vizio di motivazione manifestamente illogica in ordine alla ritenuta sussistenza della conoscenza degli elementi di fatto che le integrano lo stato di tossicodipendenza di una delle prostitute e il numero di più donne dedite al meretricio . 2. Con motivi nuovi 2.1. eccepisce il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche delle quali invoca la concessione, quantomeno con giudizio di equivalenza con le aggravanti contestate, avuto riguardo quanto meno alla sua età avanzata e al suo buon comportamento anche successivo alla consumazione dei fatti 2.2. ribadisce la non comunicabilità alla sua persona della circostanza aggravante di cui all’art. 4, commi 7 e 7-bis, legge n. 75 del 1958. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato. 4. L’imputato è stato dichiarato colpevole del reato a lui ascritto per aver concesso in locazione alcuni appartamenti a scopo di esercizio di casa di prostituzione , nella consapevolezza dell’utilizzo che di essi sarebbe stato fatto. 4.1. Incontestata l’attività di meretricio svolta negli appartamenti in questione, la Corte di appello, fatto proprio l’ormai consolidato principio di diritto che deve esser qui ribadito secondo il quale l’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 3 n. 2 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, che sanziona la condotta di chiunque, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa o altro locale, li conceda a scopo di esercizio di una casa di prostituzione, è costituito dal dolo generico, in quanto non è richiesto che lo scopo rientri nelle finalità dell’agente, ma è sufficiente che il locatore ceda l’immobile essendo a conoscenza dell’uso cui lo stesso sarà adibito Sez. 3, n. 27976 del 26/03/2014, Fabbiani, Rv. 262041 Sez. 3, n. 12787 del 30/09/1999, Occhipinti, Rv. 215634 , ha indicato ed illustrato le prove che, a suo giudizio, univocamente dimostrano, secondo una valutazione unitaria e complessiva, la consapevolezza dell’imputato circa la destinazione degli appartamenti sin dal momento in cui li aveva concessi in locazione. 4.2. Il ricorrente esclude che tali elementi, analizzati singolarmente e nella loro concordanza, siano sufficienti a provare il dolo del reato. 4.3. L’eccezione è manifestamente infondata. 4.4. L’analisi che può essere compiuta da questa Corte sulla scorta del testo della motivazione della sentenza impugnata incontra il limite della natura non manifesta delle argomentazioni utilizzate dal giudice di merito per sistemare razionalmente il materiale probatorio a sua disposizione e risalire dal fatto noto a quello ignoto. Tale limite definisce l’ambito del sindacato di legittimità impedendo che la logica della Corte di cassazione si sovrapponga a quella del giudice di merito. Non sono perciò consentite letture alternative dello stesso materiale probatorio, quand’anche, in ipotesi, maggiormente persuasive. 4.5. Orbene, una considerazione logica prevale su tutte ed è dotata di efficacia persuasiva tale da privare di consistenza qualsiasi contraria ipotesi l’imputato, pur a conoscenza dell’attività di meretricio che si svolgeva non casualmente nei suoi tre appartamenti al punto che era anche cliente di una prostituta e aveva indirizzato un’altra di esse alla gestrice della casa, F.L. , perché vi esercitasse il meretricio , ha deliberatamente assunto un atteggiamento di inerzia, continuando a percepire gli affitti e garantendo anche la migliore fruizione dei locali, peraltro formalmente affittati a persone diverse dalla loro conduttrice effettiva la tenutaria F.L. . 4.6. La valenza difensiva della deduzione proposta solo in primo grado secondo cui egli aveva informalmente segnalato ai Carabinieri il via vai dei clienti è stata disattesa, per la sua assoluta genericità, dal Tribunale che ne ha fatto anche argomento per validare l’accusa ed è significativo il fatto che tale deduzione non sia stata nemmeno proposta in secondo grado . 4.7. Ora, i comportamenti tenuti successivamente alla stipula del contratto di locazione possono certamente essere valutati quale prova delle iniziali intenzioni delle parti contraenti si tratta di canone ermeneutico suggerito non solo dalla logica e dal buon senso ma positivamente codificato dal legislatore art. 1362, comma 2, cod. civ. . Sicché non è manifestamente illogico trarre dai comportamenti tenuti dall’imputato quali quelli sopra sinteticamente descritti la conclusione che egli fosse ben consapevole dell’utilizzo che degli appartamenti sarebbe stato fatto in ossequio all’iniziale programma contrattuale. 4.8. Il primo motivo è dunque manifestamente infondato. 5. Il secondo motivo, oltre ad essere manifestamente infondato, pecca di genericità. 5.1. Quasi che la sentenza nulla dica al riguardo, l’imputato trascura completamente il dato che l’aver indirizzato una prostituta verso la tenutaria , l’esser stato cliente non occasionale di un’altra tossicodipendente , l’aver chiesto ad altre donne prestazioni sessuali, rende non solo non manifestamente illogica la conclusione che egli fosse a conoscenza che al meretricio fossero dedite più donne e che una di esse fosse tossicodipendente, ma rende manifestamente illogica e irrazionale la conclusione contraria. 5.2. Peraltro, la circostanza aggravante di cui all’art. 4, n. 7-bis, legge n. 75 del 1958 ha natura oggettiva perché riguarda le condizioni personali della persona offesa art. 70, comma 1, cod. pen. ed in quanto tale si estende a tutti i correi che anche solo per colpa la ignorino art. 59, comma 2, cod. pen. . 6. Trattandosi di sentenza pendente in grado di appello al momento della entrata in vigore della legge 2 dicembre 2005, n. 251, si applica il regime prescrizionale precedente alle modifiche apportate con la suddetta legge art. 10, comma 3 Sez. U, n. 47008 del 29/10/2009, D’Amato, Rv. 244810 , secondo il quale la prescrizione matura, in questi casi, nel termine massimo di ventidue anni e sei mesi dalla data del fatto. 7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso che, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., preclude l’esame dei motivi nuovi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.