Alle Sezioni Unite: vale la spedizione o la ricezione dell’istanza per restituire in termini l’imputato?

Per la restituzione in termini ex art. 175 c.p.p. risulta prevalente l’orientamento più rigoroso e severo per l’imputato vale la ricezione dell’atto presso la cancelleria del giudice. Ma il più garantista vento comunitario depone nella direzione contraria. La parola alle Sezioni Unite.

Così la Cassazione, Prima Sez. Penale, n. 8805/2017, depositata il 22 febbraio. Il caso processuale. Il Giudice dell’esecuzione e la Corte d’appello avevano dichiarato inammissibile l’istanza di restituzione del termine per impugnare sentenza contumaciale emessa nei confronti dell’irreperibile imputato, siccome mossa oltre il termine di 30 giorni previsto dall’art. 175, comma 2, c.p.p L’imputato avrebbe potuto contestare alcuni difetti di notifica del decreto di citazione a giudizio – notificato presso il difensore nonostante l’imputato ivi non avesse mai eletto domicilio ed il decreto di irreperibilità dell’imputato fosse stato illegittimamente emesso -, la nullità degli atti conseguenti ex art. 178 lett. c c.p.p. e la mancata conoscenza della sentenza contumaciale che aveva definito il giudizio. L’imputato avrebbe potuto chiedere la declaratoria di non esecutività della sentenza e l’applicazione del nuovo art. 625- ter c.p.p. – introdotto con la legge n. 67/2014 – che consente la rescissione del giudicato qualora l’imputato provi l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo a suo carico. La Cassazione nega che ratione temporis possa applicarsi il nuovo istituto ex art. 625- ter c.p.p., tuttavia ravvisa una distonia giurisprudenziale in punto di decorrenza del termine per proporre istanza di restituzione del termine ex art. 175 c.p.p. Rinvia dunque alle Sezioni Unite per la definitiva trattazione. La più severa opinione maggioritaria fa fede la data di ricezione dell’istanza ex art. 175 c.p.p. presso la cancelleria del giudice. Nel caso specifico l’imputato aveva inviato l’istanza nel termine di 30 giorni dalla conoscenza dell’atto contumaciale e l’atto medesimo, spedito mediante il servizio postale, era stato ricevuto nella cancelleria del giudice già decorsi quei trenta giorni. L’orientamento largamente maggioritario fa valere la data della ricezione dell’atto. Risulterebbe inapplicabile l’art. 583, comma 2, c.p.p. - cui andrebbe negata un’interpretazione estensiva – il quale, al contrario, fa esplicitamente valere la data di spedizione. L’art. 583 cit. ha tuttavia specificamente menzionato tale forma a distanza di inoltro della comunicazione, assente per la restituzione in termini ex art. 175 cit Evidentemente, quando non ha previsto la spedizione, la legge ha inteso riferirsi alla sola presentazione/ricezione dell’atto presso l’ufficio di cancelleria designato. Nessuna operazione estensiva dell’art. 583 cit. sarebbe consentita. Non vi sarebbero ragioni letterali che consentirebbero di estendere la più favorevole disciplina ex art. 583 c.p.p. all’istituto della restituzione in termini ex art. 175 c.p.p Quest’ultimo non costituisce mezzo impugnatorio, propriamente disciplinato dall’art. 583 cit La più generosa opinione contraria. Qualche difforme giurisprudenziale ha indotto la Corte ad invocare le Sezioni Unite. Il respiro si fa garantista, in nome del giusto processo e della necessità di far prevalere orientamenti volti a tutelare i diritti dell’imputato. Si demanda ad un generale criterio di ragionevolezza per cui pare irrazionale consentire o negare l’avanzamento di una richiesta in favore dell’imputato/condannato in dipendenza del solo mezzo di comunicazione dell’istanza utilizzato. L’opinione maggioritaria finirebbe per comprimere, senza ragione, i diritti dell’imputato, che la giurisprudenza comunitaria intende invece valorizzare. La riforma del 2005 dell’art. 175 c.p.p. traccia una linea già chiara a favore dell’imputato, apparirebbe irrazionale ora sostenerne una ermeneutica restrittiva. La parola alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 dicembre 2016 – 22 febbraio 2017, n. 8805 Presidente Cortese – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 2 luglio 2015 il Tribunale di Monza, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, disponeva la correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza emessa dallo stesso Tribunale in data 26 marzo 2014, irrevocabile il 30 settembre 2014, a carico di P.C.I. con l’inserimento nel dispositivo della statuizione di concessione della sospensione condizionale della pena, dichiarava inammissibile, in quanto tardiva, l’istanza di restituzione nel termine per impugnare la predetta sentenza e respingeva quella finalizzata a conseguire la declaratoria d’ineseguibilità della medesima sentenza. Con ordinanza in data 31 luglio 2015 la Corte di appello di Milano, cui la P. si era ulteriormente rivolta, dichiarava inammissibile l’istanza proposta dalla stessa in relazione alla precedente decisione emessa dal giudice dell’esecuzione, trattandosi di decisione impugnabile soltanto mediante ricorso per cassazione. 2. Avverso detti provvedimenti ha proposto ricorso l’interessata a mezzo del difensore, il quale ha dedotto a violazione di legge per avere il Tribunale di Monza erroneamente rilevato la tardiva proposizione dell’istanza formulata ai sensi dell’art. 175 cod.proc.pen. in dipendenza dell’erronea valutazione delle risultanze processuali e dell’omessa considerazione del fatto che la sentenza contumaciale, emessa a suo carico, era venuta a conoscenza dell’imputata condannata soltanto in data 22 febbraio 2015, e non il 22 febbraio 2014, come ritenuto nell’ordinanza impugnata, data rispetto alla quale l’istanza di restituzione nel termine, inoltrata a mezzo del servizio postale il 20 marzo 2015 e pervenuta il successivo 31 marzo 2015, doveva essere considerata tempestiva b violazione di legge per non essere stati rilevati gli errores in procedendo commessi nel giudizio conclusosi con la sentenza contumaciale, poiché il verbale di vane ricerche ed il decreto d’irreperibilità erano stati illegittimamente emessi e la notificazione del decreto di citazione a giudizio era avvenuta all’allora imputata presso il difensore ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., senza che la stessa fosse stata effettivamente a conoscenza del processo a suo carico e della sentenza emessa nei suoi confronti la nuova legge n. 67/2014 ha lo scopo di impedire che il processo sia celebrato nei confronti di soggetti non volontariamente irreperibili e ha sostituito l’istituto della contumacia con quello dell’assenza pertanto, avrebbe dovuto valutarsi se, divenuta irrevocabile la sentenza in data 30 settembre 2014, sussistessero i presupposti per applicare l’art. 625-ter cod. proc. pen c il Tribunale di Monza in data 26 marzo 2014 ha emesso la sentenza di condanna contumaciale n. 1278 nei riguardi della P. , che è divenuta irrevocabile il 30 settembre 2014, in riferimento alla quale sussistono tutte le condizioni per accordare la restituzione nel termine per l’omessa regolare notificazione dell’estratto contumaciale e la mancata conoscenza del processo poiché ella non aveva eletto domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio. d Violazione di legge per non essere stato dimostrato che la condannata aveva avuto sicura conoscenza del processo a suo carico e della sentenza di condanna e che ella avesse volutamente rinunciato a proporre impugnazione. e Violazione di legge in riferimento agli artt. 175 e 625-ter cod. proc. pen. per avere la Corte di appello di Milano rilevato illegittimamente che l’ordinanza era impugnabile mediante ricorso per cassazione, mentre quanto richiestole rientrava nella sfera delle sue competenze. 3. Con requisitoria scritta, il sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Mario Fraticelli, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la fondatezza del primo motivo di ricorso relativo alla tempestiva proposizione dell’istanza di restituzione nel termine per impugnare. Considerato in diritto 1. Va premesso che l’odierna ricorrente con l’originaria istanza depositata presso la cancelleria del Tribunale di Monza in data 31 marzo 2015 ha chiesto l’accertamento della non esecutività della sentenza emessa dallo stesso Tribunale in data 26 marzo 2014, irrevocabile il 30 settembre 2014, e la restituzione nel termine per proporvi impugnazione sul presupposto della nullità degli atti processuali per la mancata rituale citazione a giudizio e comunque per la mancata conoscenza della sua pendenza e della sentenza contumaciale che l’aveva definito. L’incidente di esecuzione così introdotto è stato definito con ordinanza del Tribunale adito in data 2 luglio 2015. Successivamente, in data 13 luglio 2015, la stessa condannata a mezzo del difensore ha rivolto alla Corte di appello di Milano ulteriore istanza ex art. 175 e 625-ter c.p.p. , lamentando l’erroneità della sentenza emessa il 2-7-2015 nel procedimento n. 100/15 e chiedendone l’annullamento, la declaratoria di non esecutività della sentenza del 26 marzo 2014 e la rinnovazione di tutti gli atti e le notificazioni non validamente eseguiti nel procedimento penale già conclusosi. La Corte di appello ha quindi pronunciato l’inammissibilità di tali richieste con ordinanza del 31 luglio 2015. 2. In primo luogo, va rilevato che, in relazione a quest’ultima decisione alcuno specifico motivo è stato articolato con l’impugnazione all’odierno esame, che lamenta violazione di legge, ma in riferimento al mancato accoglimento delle domande rivolte con l’incidente di esecuzione, già indirizzato al Tribunale di Monza, senza censurare in modo specifico ed intelligibile la declaratoria d’inammissibilità di una domanda, che correttamente è stata ritenuta presentare contenuto impugnatorio perché volta a sollecitare il riesame del thema decidendum in funzione dell’annullamento della precedente decisione assunta, ma rivolta con strumento processuale irrituale e non consentito. 3. Va premesso che il secondo motivo di ricorso, avente carattere pregiudiziale rispetto al primo, è destituito di fondamento, in quanto risulta inapplicabile alla fattispecie la nuova disciplina introdotta dalla legge n. 67/2014 per le ragioni già correttamente esposte nel provvedimento impugnato. Né peraltro possono avere ingresso in sede di esecuzione le doglianze relative agli eventuali vizi verificatisi nel corso del procedimento di cognizione. 4. Il primo motivo d’impugnazione proposto avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Monza investe la correttezza giuridica della pronuncia d’inammissibilità per tardiva proposizione dell’istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di condanna della ricorrente. 4.1 In punto di fatto emerge dagli atti del fascicolo processuale, ai quali questa Corte può avere accesso diretto per la natura processuale della questione sollevata, che la P. , ricevuta in data 22 febbraio 2015 la notificazione dell’ordine di esecuzione con contestuale sospensione relativo alla sanzione detentiva, inflittale con la sentenza del Tribunale di Monza del 26 marzo 2014, ha spedito l’atto, contenente la domanda di restituzione nel termine per impugnare tardivamente la sentenza stessa, con plico raccomandato con avviso di ricevimento in data 20 marzo 2015. Il giudice dell’esecuzione ha indicato nel 22 febbraio 2014 la data di notificazione del provvedimento che ha offerto alla P. la certa conoscenza della sentenza di condanna, ma è incorso in un mero errore materiale, desumibile dalla collocazione nell’anno 2014 e non nel 2015, come in realtà avvenuto, anche del deposito dell’istanza, errore che non ha inciso sul rilievo della sua tardività, collegato piuttosto alla constatazione dell’avvenuto superamento del termine di trenta giorni stabilito dall’art. 175 cod. proc. pen., comma 2-bis al momento della ricezione dell’atto nella cancelleria dello stesso giudice. 4.2 L’ordinanza in verifica ha dunque aderito alla linea interpretativa, secondo la quale la disposizione dettata dall’art. 175 citato, laddove nella sua prima proposizione stabilisce che la domanda di restituzione nel termine per impugnare deve essere presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni dal momento in cui l’imputato ha avuto piena ed effettiva conoscenza della sentenza, implica che, ai fini della verifica della tempestività della richiesta, la stessa debba pervenire al giudice che ne è investito entro il predetto termine e che, se spedita a mezzo del servizio postale, si debba considerare la data di ricezione della stessa da parte dell’ufficio. Tale opinione, largamente maggioritaria nella giurisprudenza di questa Corte e di questa prima sezione penale Cass. Sez. 5, n. 32148 del 15/01/2016 - dep. 25/07/2016, Raviola, Rv. 267493 Sez. 1, n. 6726 del 20/01/2014 - dep. 12/02/2014, Grembi, Rv. 259416 Sez. 1, n. 25185 del 17/02/2009 - dep. 17/06/2009, Ben Kassi, Rv. 243808 Sez. 2, n. 35339 del 13/06/2007 - dep. 21/09/2007, Bari, Rv. 237759 Sez. 6, n. 2100 del 5/05/2000 - dep. 5/09/2000, Mounir, rv. 218341 riceve giustificazione dalla ritenuta inapplicabilità all’istituto della restituzione nel termine della disciplina dettata per la proposizione dell’impugnazione dall’art. 583 cod. proc. pen., comma 2, che, in caso di inoltro dell’atto a mezzo del servizio postale, individua il momento di presentazione nella data di spedizione della raccomandata. In particolare, si è osservato che, secondo un principio da ritenere generale nel sistema processuale, la nozione di presentazione dell’atto, come rivelato dall’esame comparativo dei testi dell’art. 582 e dell’art. 583 cod. proc. pen., differisce da quella di spedizione , implicando la prima soltanto la modalità della consegna personale o mediante incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato con conseguente apposizione da parte del funzionario di attestazione del giorno in cui tale attività si sia compiuta, la seconda la possibilità di trasmissione a distanza mediante il servizio postale nella forma del telegramma, oppure della lettera raccomandata. Si è quindi aggiunto che, anche qualora si ammettesse come idonea forma l’inoltro per spedizione, la tempestività della proposizione dell’atto richiede che entro il termine perentorio l’atto spedito giunga alla cancelleria del giudice né sarebbe consentita un’applicazione estensiva della disciplina di favore prevista per le impugnazioni dall’art. 583 citato. Invero, non soltanto, l’art. 175 cod. proc. pen., comma 2 bis, indica esplicitamente che l’istanza debba essere presentata all’ufficio giudiziario competente nel termine di trenta giorni senza contemplare in via alternativa o concorrente la facoltà di spedizione dell’atto a mezzo di raccomandata, ma quando l’ordinamento processuale ha consentito tale forma di inoltro l’ha fatto con esplicite disposizioni in tal senso, come nel caso dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 4, per la richiesta di riesame contro le misure cautelari personali e dell’art. 324 cod. proc. pen., comma 2, per il riesame avverso misure cautelari reali. Né soluzione diversa è consentita in relazione alla natura giuridica della richiesta di restituzione nel termine, rimedio processuale privo della connotazione propria dell’impugnazione, che devolve ad un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento impugnato la richiesta della sua riforma o modifica. 4.3 In tempi più recenti a tale orientamento si è contrapposta la decisione assunta da Cass., sez. 5, n. n. 12529 del 14/01/2016 - dep. 24/03/2016, Vrenozi, Rv. 266316, la quale, richiamandosi a quanto espresso da Sez. 2, n. 19542 del 17/05/2006, Ismalaj, Rv. 234208, ha ritenuto che l’accezione del termine presentazione , di cui all’art. 175 cod. proc. pen., non giustifichi, né sotto il profilo logico, né sotto quello letterale, un’interpretazione tale da escludere che l’istanza di rimessione in termini per l’impugnazione possa ritenersi presentata tempestivamente nel momento in cui viene affidata, per la spedizione, al servizio postale. In nome del canone della ragionevolezza, che deve presiedere all’interpretazione delle norme giuridiche, e della constatazione dell’assenza di differenziazione tra consegna alla cancelleria del giudice ed all’ufficio postale per l’identità degli effetti che ne discendono, si è richiamata l’esigenza di consentire alla parte proponente di fruire dell’intero termine previsto dalla legge per esercitare facoltà, sia d’impugnazione, sia di restituzione nel termine per impugnare, che è strumentale alla prima e quindi deve con essa condividere lo stesso regime di requisiti di proposizione, mentre la pretesa che entro lo stesso termine l’atto pervenga all’ufficio giudiziario, anche se inoltrato con raccomandata, sottrae il tempo necessario al recapito e pregiudica la parte stessa ed in tal modo viene a frustrare le finalità perseguite con la modifica dell’art. 175 stesso apportata dal d.l. 21 febbraio 2005, convertito con modifiche nella legge 22 aprile 2005, n. 60, che, in coerenza con le pronunce di condanna emesse dalla Corte EDU a carico dell’Italia, ha inteso porre rimedio ai casi in cui il processo sia celebrato a carico del contumace senza la garanzia del suo volontario disinteresse. Sulla scorta del richiamo anche della giurisprudenza costituzionale, si è concluso che l’attuale rimedio della restituzione nel termine, interpretato come richiedente che nel rispetto dei trenta giorni avvenga la consegna della domanda nella cancelleria del giudice, apparirebbe quindi in contrasto con le chiare finalità dell’istituto, come rimodulato in base a quanto indicato dalla Corte Europea, ed altresì in contrasto con il principio del giusto processo, una interpretazione del comma 2 bis dell’art. 175 cod. proc. pen., che oggettivamente limitasse sia le modalità che i tempi per la presentazione della relativa istanza, in tal modo determinando un ulteriore, concreto ostacolo alla realizzazione, per il condannato assente e non rinunciante, del diritto alla celebrazione di un nuovo giudizio in sua presenza . 4.4 Poiché le posizioni così riassunte sono antitetiche e danno luogo ad un contrasto di giurisprudenza su un tema effettivamente di grande rilievo e delicatezza per le ricadute sull’esercizio della facoltà d’impugnazione e sull’effettività delle garanzie accordate dall’ordinamento in caso di processo celebrato in contumacia, si ritiene di dover rimettere il ricorso alla decisione delle Sezioni Unite. P.Q.M. rimette il ricorso alle Sezioni Unite.