Erroneità della dichiarazione di latitanza: la nullità è a regime intermedio

La natura della nullità derivante da una erronea declaratoria di latitanza non è a regime assoluto ma intermedio. Essa va dedotta entro la pronuncia della sentenza di primo grado.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 8428 depositata il 21 febbraio 2017. Uccel di bosco. Situazione affatto rara nella quotidiana prassi giudiziaria è quella che si presenta non appena un soggetto, indagato o imputato che sia, si dà alla macchia. L’ordinanza cautelare o la sentenza definitiva di condanna ad una pena detentiva non viene eseguita per la semplice ragione che il catturando” se ne sta rintanato in luogo ignoto, ovvero è al sicuro dove nessuno può prelevarlo. Nella sentenza che oggi commentiamo si affronta la vicenda di un condannato per associazione mafiosa che, da latitante, è stato processato per tre gradi di giudizio. Si trovava all’estero, in un paese del quale aveva poi acquisito persino la cittadinanza. Pur essendo noto all’autorità giudiziaria che l’imputato fosse ospite di un altro Paese, ove aveva persino eletto domicilio, egli veniva dichiarato latitante e, con questa qualifica, processato e condannato. Proposto incidente di esecuzione presso la Corte d’appello per sentir dichiarare la non esecutività della sentenza ormai irrevocabile, questo si concludeva con una decisione di rigetto, avverso la quale venivano proposti ben due ricorsi per cassazione. Il tenore delle censure, piuttosto complesso, ruota tutto attorno alla erroneità della declaratoria di latitanza di un soggetto che si sapeva benissimo dove fosse e sui precipitati – in termini di invalidità processuali – che da questa declaratoria ne sarebbero derivati. Latitante o in vacanza”? Il punto di partenza è la norma del codice che stabilisce la modalità con cui si deve procedere alle notificazioni al latitante queste devono essere eseguite presso il difensore di fiducia o, in mancanza, d’ufficio. La regola generale è molto semplice il latitante è rappresentato a ogni effetto” dal difensore. Il concetto di base è semplicissimo, ma il problema che sta a monte è diverso un soggetto, destinatario di un provvedimento custodiale, che si trova in un paese straniero può essere dichiarato latitante? La Corte risponde positivamente al quesito. Richiamando precedente giurisprudenza, gli Ermellini ci dicono che l’accertata assenza del ricercato del territorio dello Stato, unita alla certezza della conoscenza da parte sua di una misura cautelare a suo carico, è, di per sé, circostanza sufficiente per la dichiarazione della latitanza . Insomma, il presupposto che legittima tale declaratoria non è l’ignoranza del luogo in cui il catturando” si trovi, quanto piuttosto l’accertata volontà di costui di non farsi acciuffare. La qualifica del latitante, quindi, non è coincidente con quella dell’irreperibile, che invece – come tutti sanno – richiede proprio la non conoscenza del luogo in cui un certo soggetto effettivamente si trovi. Le Sezioni Unite, con recenti decisioni datate 2014 e 2015, hanno sposato questa tesi, specificando che ai fini della declaratoria di latitanza le ricerche di polizia da eseguirsi non devono estendersi – così come invece richiesto ai fini della irreperibilità – in tutti i luoghi precisati nel codice di rito. In conclusione un soggetto notoriamente residente all’estero può essere dichiarato latitante se risulta provato che si stia sottraendo alla cattura. Poco importa, quindi, che il suo domicilio sia conosciuto. Nullità assoluta o relativa? Altra problematica è quella concernente l’eventuale invalidità della dichiarazione di latitanza emessa in difetto dei presupposti di legge. Quale sanzione processuale ne deriva? Che si tratti di una nullità è scontato, ma la questione affrontata dalla Suprema Corte è diversa nel caso in esame le difese insistevano per la deducibilità di tale vizio anche dopo l’intervenuto giudicato di condanna. I giudici di Piazza Cavour, però, la pensano diversamente la nullità che si genera per effetto della erronea declaratoria di latitanza è a regime intermedio. Ciò significa che il vizio è sanabile se non viene tempestivamente eccepito in ogni caso, esso va dedotto entro la pronuncia della sentenza di primo grado. Ove la relativa eccezione fosse rigettata, quindi, il vizio andrebbe coltivato” nei successivi gradi di giudizio per mezzo degli ordinari mezzi di impugnazione la questione proposta in sede di incidente di esecuzione è, pertanto, fuori tempo massimo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 novembre 2016 – 21 febbraio 2017, n. 8428 Presidente Cortese – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza proposta nell’interesse di P.V.R. di declaratoria di non esecutività della sentenza emessa dalla stessa Corte l’11/7/2007, irrevocabile il 13/3/2009, di condanna dell’imputato alla pena di anni nove di reclusione per la partecipazione ad associazione mafiosa. L’istanza si fondava sulla erroneità della dichiarazione di latitanza effettuata dal Tribunale di Palermo il 14/7/2006. Il Tribunale aveva emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere contestualmente alla pronuncia della sentenza di condanna di P. per concorso esterno ad associazione mafiosa e aveva emesso il decreto di latitanza sulla base delle indagini dello SCO della Squadra Mobile di Palermo. Risultava pacificamente che P. era residente in omissis . La Corte territoriale rimarcava che nei successivi gradi di giudizio non era stata eccepita la regolarità delle notifiche eseguite ex art. 165 cod. proc. pen L’ordinanza osservava che l’accertata assenza del ricercato nel territorio dello Stato è, di per sé, circostanza sufficiente per la dichiarazione di latitanza e che, soprattutto, l’erronea dichiarazione di latitanza non determina una nullità assoluta ex art. 179 cod. proc. pen., ma una nullità a regime intermedio, soggetta alla sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen Di conseguenza, era sanata la eventuale nullità derivante dalla precedente dichiarazione di latitanza emessa dal G.I.P., in quanto non eccepita nei gradi successivi alla sentenza di primo grado, così come quella derivante dalla dichiarazione di latitanza effettuata dal Tribunale, in quanto non eccepita nei gradi successivi di giudizio. La nullità non poteva, quindi, essere fatta valere con l’incidente di esecuzione, ma avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione delle sentenze di cognizione. Per completezza, la Corte territoriale negava che il rito della notifica per i soggetti residente all’estero ai sensi dell’art. 169 cod. proc. pen. fosse applicabile agli imputati latitanti ed affermava che la dichiarazione di latitanza era stata regolarmente emessa, in quanto sussisteva la volontaria sottrazione dell’imputato al provvedimento custodiale dagli atti risultava che P. si era trasferito in omissis , paese del quale aveva acquisito la cittadinanza, non si era presentato alle udienze davanti all’Autorità giudiziaria pur essendo perfettamente a conoscenza del procedimento a suo carico e, quindi, aveva manifestato la sua volontà di sottrarsi alla cattura. Le notifiche successive al decreto di latitanza erano state regolari l’imputato era assistito da due difensori di fiducia . La Corte territoriale negava la sussistenza di una violazione dei principi del giusto processo e ribadiva che la certezza della conoscenza dell’emissione del provvedimento cautelare da parte dell’imputato può essere raggiunta con presunzioni. In ogni caso, tale conoscenza era provata documentalmente quanto a P. , mentre l’impossibilità di ottenere l’estradizione dell’imputato dal omissis era stata verificata in precedenza. La possibilità di eseguire notificazioni all’estero era un dato ininfluente, mentre risultava provato che lo Stato italiano si era attivato per l’estradizione del condannato, ottenendola solo a seguito della cattura in omissis . 2. Ricorre per cassazione il difensore di P.V.R. , deducendo violazione di legge. Il ricorrente ricorda che il decreto di latitanza emesso dal Tribunale di Palermo dava atto della residenza di P. in omissis e che la Squadra Mobile aveva indicato l’indirizzo esatto dove egli dimorava. Il ricorrente censura la considerazione della nullità derivante dall’indebita emissione del decreto di latitanza come a regime intermedio al contrario, tale nullità non può ritenersi coperta dal giudicato intervenuto, pregiudicando significativamente un requisito imprescindibile del giusto processo, con evidente compromissione del diritto di difesa dell’imputato che inficia gravemente e irrimediabilmente la procedura, dando luogo ad una sentenza illegale. Ai sensi dell’art. 4 del Protocollo 7 aggiuntivo della CEDU, deve essere riconosciuta la riapertura del processo quando la sentenza è gravemente inficiata da una violazione grave della procedura l’art. 670 cod. proc. pen. diventa, così, una clausola di chiusura dell’ordinamento processuale idonea al recupero della legalità della sentenza e la norma deve essere interpretata in conformità ai vincoli derivanti dalla CEDU. Lo stato di latitanza era stato illegittimamente dichiarato dal Tribunale di Palermo l’ordinanza confondeva la procedura di estradizione instaurata dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare nel corso delle indagini preliminari e quella successiva, introdotta dopo l’ordinanza di custodia cautelare emessa contestualmente alla sentenza di condanna in primo grado. In quella data, P. era già cittadino del omissis il Tribunale non aveva atteso l’esito della procedura di estradizione avviata nei confronti del omissis , così impedendo all’imputato di difendersi in quel procedimento e violando il diritto del omissis di rifiutare l’estradizione di un suo cittadino, con una lesione della sua sovranità. Tale situazione impediva all’A.G. italiana di procedere alle notifiche secondo il rito del latitante, atteso che la procedura di cui all’art. 165 cod. proc. pen. è ammessa esclusivamente in caso di imputato irreperibile. La conseguente nullità della notifica comportava quella di tutti gli atti successivi. 3. Ricorre per cassazione il secondo difensore di P.V. , sottolineando la non terzietà del Collegio che aveva già affrontato in precedenza altri due incidenti di esecuzione promossi nell’interesse di P. . Il ricorrente ricorda che P. , prima ancora dell’inizio del processo a suo carico, era cittadino di uno Stato estero. Erroneamente si era proceduto, nel corso del procedimento, a redigere verbale di vane ricerche, atteso che era nota la residenza all’estero dell’imputato in questo modo, mediante una fictio iuris, si era processato un cittadino, nei cui confronti era stata avanzata richiesta di estradizione, in absentia. Si osserva che, una volta revocata la prima ordinanza cautelare emessa dal G.I.P., nel corso del giudizio di primo grado, P. - fino a quel momento dichiarato latitante - era stato definito libero contumace , senza che ciò conducesse ad alcuna azione, cosicché il processo era stato celebrato nell’assenza dell’imputato, con conseguente nullità assoluta ex art. 178, comma 1, lett. c cod. proc. pen Ma la sentenza di primo grado non era stata notificata all’imputato contumace si era preferito emettere nuova dichiarazione di latitanza e disporre nuove ricerche nello Stato italiano, nella consapevolezza della residenza all’estero di P. . La Corte territoriale affermava che il cittadino residente all’estero, in presenza di misura cautelare, deve presentarsi all’A.G. pena la dichiarazione di latitanza si tratta di affermazione che non ha base in alcun principio e che contrasta con gli artt. 111 della Costituzione e con l’art. 6 CEDU. Il procedimento non poteva essere celebrato nelle forme adottate non a caso, in altro procedimento, si era regolarmente proceduto con la notificazione al cittadino italiano residente all’estero. Il ricorrente rimarca la contraddittorietà della sottolineatura che, in altro procedimento, P. si era sottoposto ad interrogatorio in un Consolato italiano. In ogni caso, la sentenza di primo grado non era stata notificata all’imputato, ciò producendo una nullità assoluta ex art. 178 comma 1 lett. c cod. proc. pen Poiché la dichiarazione di latitanza era stata erroneamente dichiarata, il procedimento doveva regredire alla fase precedente. 4. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto dei ricorsi. 5. Sono stati depositati motivi nuovi con i quali, in via preliminare, si chiede di disporre la partecipazione alla udienza ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen. per la rilevanza delle questioni poste dal ricorso sull’interpretazione del decreto di latitanza, sull’elezione del domicilio all’estero e sulle norme che regolano la partecipazione dell’imputato al giudizio. Il difensore ricorda che P. , cittadino italiano residente all’estero, aveva eletto domicilio in un indirizzo di Città del Capo di conseguenza l’A.G. non poteva emettere decreto di latitanza, con conseguente nullità ai sensi dell’art. 178 lett. c cod. proc. pen La questione di nullità era già stata sollevata davanti al G.U.P. di Palermo. In conseguenza dell’elezione di domicilio, le notifiche all’imputato avrebbero dovuto essere effettuate al domicilio eletto e, nel contempo, avrebbe dovuto essere avviata la procedura di estradizione ciò era stato fatto - con il successivo rigetto da parte del omissis - ma contestualmente P. era stato dichiarato latitante egli, al contrario, non si era mai sottratto alla cattura, limitandosi ad esercitare il suo diritto come cittadino residente all’estero. Inoltre, successivamente, nessun atto era stato notificato all’imputato e nemmeno lo era stato l’estratto contumaciale, determinando una nullità assoluta e insanabile. 6. Sono state, altresì, depositate due memorie dai difensori di fiducia del ricorrente, nelle quali si richiama una pronuncia di questa Corte in punto di deduzione in sede esecutiva della nullità del decreto di latitanza e si sottolinea che l’acquisita cittadinanza omissis di P. rendeva nulle le notifiche effettuate con il rito dei latitanti in effetti, la dichiarazione di latitanza era stata emessa sul presupposto della irreperibilità dell’imputato, ma la richiesta di estradizione avanzata al omissis dimostrava che il soggetto non era affatto irreperibile. P. non intendeva sottrarsi alla cattura, ma solo difendersi nel procedimento di estradizione e la facoltà riconosciuta al omissis di rifiutare l’estradizione faceva perdere cogenza all’ordinanza di custodia cautelare. In definitiva, P. aveva il diritto di ricevere le notifiche con il rito di cui all’art. 169 cod. proc. pen., nell’ambito della procedura di estradizione. Considerato in diritto 1. La richiesta dei difensori del ricorrente di procedere ad udienza in camera di consiglio partecipata ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen. non può essere accolta. L’istanza è proposta per motivi palesemente inammissibili, essendo fondata sull’importanza delle questioni trattate ma è sufficiente osservare che il codice di rito non attribuisce alcuna discrezionalità a questa Corte nella scelta del rito sulla base della rilevanza della decisione adottata con riferimento alle domande proposte. Deve essere sottolineato che il procedimento in camera di consiglio disegnato dall’art. 611 cod. proc. pen. garantisce pienamente il contraddittorio come dimostrano, del resto, le memorie difensive depositate dopo il deposito della requisitoria del Procuratore Generale . Questa Corte ha ritenuto inammissibile in sede di legittimità l’istanza di trattazione in pubblica udienza dei ricorsi in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, per i quali è prevista la forma della camera di consiglio non partecipata, affermandone la compatibilità con il principio dettato dall’art. 6 CEDU Sez. 4, n. 10547 del 13/02/2014 - dep. 05/03/2014, Troci, Rv. 25921801 le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto che il procedimento della camera di consiglio non partecipata non trova ostacolo nella sentenza 10 aprile 2012 della Corte Europea per i diritti dell’uomo, nel caso Lorenzetti c. Italia, in quanto tale pronuncia, nell’affermare la necessità che al soggetto interessato possa quanto meno essere offerta la possibilità di richiedere una trattazione in pubblica udienza, non si riferisce al giudizio innanzi alla Corte di cassazione Sez. U, n. 41694 del 18/10/2012 - dep. 25/10/2012, Nicosia, Rv. 25328901 . 2. I riferimenti contenuti in uno dei due ricorsi alla non terzietà e non imparzialità del Collegio della Corte di Appello di Palermo non possono essere presi in considerazione. In effetti, il ricorrente non ne fa oggetto di motivo di ricorso né fa discendere da tale asserita condizione alcuna conseguenza giuridica. 3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Il ricorrente era stato dichiarato latitante a seguito della prima ordinanza di custodia cautelare emesso dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, successivamente revocata nella pendenza del dibattimento di primo grado era stato, poi, nuovamente dichiarato latitante a seguito dell’emissione di ordinanza cautelare da parte del Tribunale di Palermo contestualmente alla sentenza di condanna. La notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado era stata, quindi, effettuata con la consegna ai difensori ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen. l’esistenza di tale notifica è espressamente menzionata nell’ordinanza impugnata, cosicché la perentoria affermazione contenuta in un ricorso secondo cui la sentenza emessa nei confronti del libero contumace non è mai stata notificata ai sensi di legge è imprecisa l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado è stato notificato con il rito dei latitanti . Avverso la sentenza di primo grado era stato proposto appello e avverso la sentenza di appello ricorso per cassazione l’imputato risultava assistito da due difensori di fiducia. In sede di appello e di ricorso per cassazione non erano state eccepite né la nullità del primo decreto di latitanza emesso dal G.I.P. oggetto di eccezione davanti al Giudice di primo grado, dallo stesso respinta , né quella del secondo decreto di latitanza emessa dal Tribunale e delle conseguenti notifiche eseguite ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen La decisione in questa sede impugnata si fonda su due passaggi in primo luogo si afferma che una eventuale nullità del decreto di latitanza non avrebbe determinato una nullità assoluta delle successive notifiche, con conseguente sanatoria in secondo luogo si conferma la corretta emissione del decreto di latitanza da parte del Tribunale di Palermo. Entrambe le affermazioni sono corrette. 4. La natura della nullità derivante dalla erronea dichiarazione di latitanza dell’imputato è stata ripetutamente affermata da questa Corte si è statuito che l’eventuale erronea dichiarazione di latitanza non determina una nullità assoluta per omessa citazione dell’imputato, bensì una nullità a regime intermedio da dedurre prima della pronuncia della sentenza di primo grado Sez. 6, n. 10957 del 24/02/2015 - dep. 13/03/2015, Benmimoun Hicham, Rv. 26263401 Sez. 6, n. 53599 del 10/12/2014 - dep. 23/12/2014, Hrustic e altri, Rv. 26187201 più in generale, la nullità della notificazione eseguita all’imputato all’estero, erroneamente ritenuto latitante, è a carattere generale, ma non è assoluta e quindi resta sanata se non tempestivamente eccepita Sez. 1, n. 41305 del 07/10/2009 - dep. 27/10/2009, Gjoka e altro, Rv. 24503701 . Ciò in quanto la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen. Sez. U, n. 119 del 27/10/2004 - dep. 07/01/2005, Palumbo, Rv. 22953901 . I ricorsi richiamano la pronuncia di questa Corte, Sez. 1, n. 17703 del 04/03/2010 - dep. 10/05/2010, Rozsaffy e altri, Rv. 24706101, ma senza cogliere l’elemento che differenziava la situazione giudicata in quella sentenza da quelle che hanno dato origine a quelle appena menzionate in effetti, nell’affermare che l’erronea dichiarazione di latitanza dell’imputato, siccome fondata su decreto invalido per assenza di ricerche, pur risultando dagli atti la stabile dimora all’estero dell’imputato medesimo, inficia la validità della citazione a giudizio che è da considerare tamquam non esset e travolge ogni atto successivo, imponendo la regressione del procedimento dinanzi al giudice dell’udienza preliminare , la Corte valutava un caso in cui era stato dichiarato latitante e contumace un soggetto senza alcuna seria ricerca e del quale non può affermarsi che abbia mai avuto conoscenza del processo e ad esso si sia volontariamente inteso sottrarre, nessun serio accertamento essendo stato effettuato in tal senso . La Corte concludeva Ciò posto, nel caso in esame la citazione a giudizio dell’imputato è stata eseguita in forme diverse da quelle dovute in quanto non è stata preceduta da ricerche effettive dell’imputato e non può in alcun modo presumersi che la sua notificazione fosse comunque idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato. Deve concludersi perciò che il vizio equivale ad omissione della citazione S.U. 27/10/2004, Palumbo, m. 229539 e che l’erronea dichiarazione di latitanza ha fatto sì che si procedesse sin dal primo grado in contumacia senza che ne sussistessero le condizioni. Ricorre perciò la nullità della vocatio in iudicium prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. . Anche recentemente questa Corte ha affermato il medesimo principio, statuendo che l’erronea dichiarazione di latitanza intervenuta antecedentemente all’esercizio dell’azione penale determina la nullità assoluta ed insanabile di tutti gli atti successivi, con conseguente regressione del procedimento e restituzione degli atti al pubblico ministero ove l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo. Sez. 3, n. 1621 del 30/09/2015 - dep. 18/01/2016, Deninski, Rv. 26668701 . Il riferimento resta, quindi, l’insegnamento delle S.U., Palumbo sopra ricordato deve essere equiparata all’omessa citazione dell’imputato, determinante una nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., solo una notificazione la cui nullità impedisca la effettiva conoscenza del processo. Nel caso in esame tale evenienza è da escludere, sia con riferimento alla prima dichiarazione di latitanza che a quella successiva P. era pienamente a conoscenza del processo a suo carico ed era adeguatamente difeso da due difensori di fiducia inoltre si era opposto alla richiesta di estradizione avanzata nei confronti dello Stato del omissis dove egli viveva e di cui era successivamente divenuto cittadino. In definitiva, una eventuale nullità derivante dalle due dichiarazioni di latitanza avrebbe dovuto essere eccepita tempestivamente ed essere fatta oggetto dei motivi di impugnazione l’intervenuto giudicato copre, pertanto, il vizio. 5. La dichiarazione di latitanza emessa dal Tribunale di Palermo fu correttamente adottata. I ricorsi insistono su due aspetti l’incompatibilità della dichiarazione dello stato di latitanza con la conoscenza certa del luogo di residenza di P. in omissis , che rendeva possibili le notifiche allo stesso con il rito di cui all’art. 169 cod. proc. pen. la violazione del diritto di P. ad opporsi all’estradizione in quanto cittadino del omissis . Sotto il primo profilo, i ricorrenti non tengono conto che la notifica mediante consegna di copia al difensore del latitante è solo l’effetto della dichiarazione di latitanza, il cui presupposto non è l’impossibilità di notificare gli atti all’imputato, ma la sottrazione volontaria da parte sua alla misura cautelare art. 296 cod. proc. pen. . Cosicché, l’accertata assenza del ricercato del territorio dello Stato, unita alla certezza della conoscenza da parte sua di una misura cautelare a suo carico, è, di per sé, circostanza sufficiente per la dichiarazione della latitanza, che cessa soltanto con l’arresto e non anche con la giuridica possibilità di eseguire notificazioni all’estero in base a indicazioni circa il luogo di residenza del destinatario latitante Sez. 1, n. 15410 del 25/03/2010 - dep. 22/04/2010, Arizzi e altri, Rv. 24675101 Sez. 6, n. 29702 del 10/04/2003 - dep. 16/07/2003, Dattilo e altri, Rv. 22548401 . La diversità degli ambiti in cui agiscono la latitanza e la dichiarazione di irreperibilità è stata definitivamente affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno stabilito il principio per cui, ai fini della dichiarazione di latitanza le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. pen. - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma quarto, dello stesso codice Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014 - dep. 07/05/2014, Avram, Rv. 25879201 conforme Sez. 5, n. 5583 del 28/10/2014 - dep. 05/02/2015, T, Rv. 26222701 . Nel caso in esame, la residenza all’estero di P. era stata resa nota dallo stesso imputato la conoscenza da parte sua dell’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Palermo era pacifica e la sua volontà di sottrarsi alla sua esecuzione era stata manifestata con l’opposizione alla estradizione promossa dall’Italia sia in occasione del primo che del secondo provvedimento cautelare. 6. Proprio su questo ultimo punto i ricorrenti deducono un ulteriore motivo di nullità del decreto di latitanza. Poiché P. era divenuto cittadino del omissis , tale Stato aveva la facoltà di rifiutare l’estradizione del suo cittadino, così come egli aveva il diritto di difendersi nell’ambito della procedura di estradizione. L’adozione del rito dei latitanti, con l’esecuzione delle notifiche ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen., avrebbe violato sia la sovranità dello Stato del omissis , sia il diritto a difendersi di P. . Entrambe le prospettazioni sono infondate. Anche prescindendo dalla questione della legittimazione del singolo cittadino a denunciare la violazione di sovranità che uno Stato avrebbe compiuto nei confronti di un altro Stato, è evidente che l’Italia rispettò integralmente la sovranità dello Stato del omissis , avanzando rituale richiesta di estradizione e in nessun modo forzando la procedura estradizionale o almeno niente viene dedotto . La cattura di P. avvenne quando egli si trovava in altro Paese, quindi nel pieno rispetto delle prerogative del omissis . D’altro canto, è certamente inesatta la prospettazione - per la verità appena accennata in uno dei ricorsi - secondo cui la facoltà del omissis di rifiutare l’estradizione dei suoi cittadini rendeva inefficace l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Palermo e, quindi, impediva la dichiarazione di latitanza dell’imputato fino alla decisione al contrario, il provvedimento cautelare restava valido ed efficace, pur non potendo essere eseguito coattivamente in quello Stato estero fino alla decisione sulla estradizione. 7. Il diritto di P. di difendersi nella procedura estradizionale, poi, non fu in alcun modo limitato dall’esecuzione delle notifiche presso il difensore ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen A ben vedere, il ricorrente sostiene che le notifiche avrebbero dovuto essere eseguite così come avveniva per diverso procedimento nell’ambito del quale non era stata emessa ordinanza cautelare presso la sua residenza in omissis ma risulta evidente che né l’una né l’altra modalità di notifica potevano incidere sulla difesa nel procedimento estradizionale che fu pienamente esercitato dall’interessato d’altro canto, l’Autorità giudiziaria italiana aveva il diritto e l’obbligo di applicare le norme del codice in materia di latitanza norme che - si deve ribadire - non impedivano all’imputato la piena conoscenza delle vicende processuali né limitavano l’esercizio del diritto di difesa nell’ambito del processo, con l’opera dei due difensori di fiducia. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.