Nonostante l’assoluzione dal reato dell’ultras, il DASPO non si revoca automaticamente

Non è configurabile un’automatica modifica o revoca degli effetti del DASPO per l’intercorsa assoluzione o, nel caso di specie, anche sopravvenuta prescrizione dell’imputato dai reati per i quali il provvedimento è stato adottato.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5623/17 depositata il 7 febbraio. Il caso. Un ultras dell’Atalanta Bergamasca Calcio veniva sottoposto a DASPO per fatti illeciti commessi a Londra, durante una partita amichevole e ricorreva per l’annullamento dell’ordinanza ad opera del GIP del Tribunale di Bergamo. Il tifoso eccepiva l’illegittimità del prolungamento degli effetti del precedente DASPO, di cui quello in esame è un aggravamento , pur essendo stato assolto dai fatti-reato per i quali il primo provvedimento fu emesso. La mancanza di automatismo. Egli, quindi, deduce di esser stato assolto dal Tribunale di Bergamo traendone la conclusione della automatica caducazione degli effetti . La Corte di Cassazione, dopo aver precisato che per alcuni dei reati a cui il ricorrente si riferisce, egli non era stato assolto nel merito, bensì per intervenuta prescrizione, spiega il legame intercorrente tra i fatti-reato e il divieto disposto per i medesimi fatti nel caso in cui vengano meno o siano mutate le condizioni giustificative dell’emissione, è possibile ottenere modifica o revoca del provvedimento, che ben può essere sollecitata dallo stesso interessato, ma mai determinandone l’automatica decadenza . Ma, fino a quando il provvedimento impositivo del divieto non viene revocato, esso esplica interamente i suoi effetti. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 luglio 2016 – 7 febbraio 2017, n. 5623 Presidente Fiale – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il sig. Q.A. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 14/11/2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo che ha convalidato il provvedimento del 05/11/2015 del Questore di quel capoluogo che gli aveva prescritto di presentarsi presso la Stazione Carabinieri di omissis trenta minuti prima dell’inizio e trenta minuti dopo la fine di ogni incontro di calcio a qualsiasi titolo anche amichevole disputato dalla squadra dell’ nell’anno successivo in Italia e nell’Unione Europea. 1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 6, comma 1, legge n. 401 del 1989, e vizio di motivazione carente o comunque illogica in ordine all’eccepita inutilizzabilità dell’annotazione della D.I.G.O.S. del 07/08/2015, atto sul quale si fonda il provvedimento del Questore. 1.2. Con il secondo eccepisce l’illegittimità del prolungamento degli effetti del provvedimento del precedente D.a.spo. del 09/02/2011, di cui quello del 05/11/2015 costituisce un aggravamento, essendo stato assolto dai fatti-reato per i quali il primo provvedimento fu emesso. Considerato in diritto 2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 3. Violando le prescrizioni del precedente analogo provvedimento di divieto quinquennale di accesso agli impianti sportivi del 09/02/2011, il ricorrente assistette all’incontro di calcio amichevole disputato il 02/08/2015 dall’ a contro la locale squadra del omissis . 3.1. Il suo ingresso allo stadio fu fotorilevato dal personale della Polizia di Stato al seguito dei tifosi atalantini. 3.2. Il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilità dell’accertamento perché - deduce - per i reati commessi all’estero il legislatore ha opportunamente previsto che per l’irrogazione legittima del DASPO ci sia un accertamento dell’autorità straniera competente , secondo quanto prevede l’art. 6, comma 1, ultima parte, come modificato dal d.l. 22 agosto 2014, n. 199, convertito con modificazioni dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146, a mente del quale Il divieto per fatti commessi all’estero, accertati dall’autorità straniera competente, è disposto dal questore della provincia del luogo di residenza ovvero del luogo di dimora abituale del destinatario della misura . 3.3.L’interpretazione della norma è del tutto errata. 3.4.La norma invocata dal ricorrente si riferisce alla applicazione del divieto in conseguenza dei fatti richiamati nella prima parte del comma primo dell’art. 6, cit., che siano stati commessi all’estero e tra i quali non è prevista la violazione del d.a.spo., contemplata dal successivo sesto comma come autonoma ipotesi di reato che peraltro si consuma - quando comporta anche la violazione dell’obbligo di presentazione all’autorità di PS - nel luogo stabilito per la presentazione. 3.5. Quel che rileva, nel caso in esame, è la disposizione contenuta nel comma quinto, ultima parte, dell’art. 6, secondo cui Nel caso di violazione del divieto di cui al periodo precedente, la durata dello stesso può essere aumentata fino a otto anni . La violazione può risultare da documentazione videofotografica o da qualunque altro elemento oggettivo, senza ulteriori aggettivazioni, non essendo richiesto che sia accertata in via esclusiva dall’autorità straniera competente. 4. Il secondo motivo è manifestamente infondato. 4.1. Il ricorrente deduce che il 20 aprile 2015 è stato assolto dal Tribunale di Bergamo dai medesimi fatti-reato per i quali era stato emesso il provvedimento del 09/02/2011 traendone la conclusione della automatica caducazione degli effetti. 4.2. L’eccezione è assolutamente priva di fondamento. 4.3. Innanzitutto osserva il Collegio che per alcuni reati l’imputato non è stato assolto nel merito bensì per intervenuta prescrizione in secondo luogo trova applicazione la regola stabilita dall’art. 6, comma 5, legge n. 401 del 1989, secondo cui Il divieto di cui al comma 1 e l’ulteriore prescrizione di cui al comma 2 sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l’emissione . 4.4. La assoluzione dai fatti-reato interagisce sul divieto disposto per i medesimi fatti consentendone la revoca o la modifica che ben può essere sollecitata dallo stesso interessato , ma mai determinandone la automatica decadenza, men che meno la illegittimità sopravvenuta del provvedimento che lo aveva disposto per la cui emissione è sufficiente la denuncia del fatto, non il suo accertamento. 4.5. Un diverso ragionamento porterebbe a concludere che l’efficacia del divieto di accesso agli impianti sportivi è sempre subordinata al mancato accertamento dell’innocenza dell’interessato ma se così fosse non è chiaro perché il legislatore non ha previsto un meccanismo di automatico adeguamento dell’efficacia del divieto alle parallele vicende processuali piuttosto che affidare a un separato e diverso atto amministrativo autonomamente impugnabile la revoca o la modifica le sorti del primo provvedimento. 4.6. Appare inoltre evidente che le cause del proscioglimento diverse da quelle perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso non escludono automaticamente la sussistenza dei fatti e il giudizio di pericolosità del loro autore. 4.7. Ne consegue che fino a quando il provvedimento impositivo del divieto non viene revocato o modificato esso esplica i suoi effetti per intero. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.