Le brutte frequentazioni portano sulla “cattiva strada” del rigetto dell’istanza riparativa

Un soggetto, indagato per il reato di detenzione e porto abusivo di armi, era stato incarcerato e poi assolto per insussistenza del fatto. Quando avanzava proposta di riconoscimento del diritto al risarcimento per ingiusta detenzione, però, la sua richiesta si scontrava con le frequentazioni non propriamente raccomandabili che egli intratteneva da tempo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4723/17 depositata il 31 gennaio. Il caso. Un ex indagato per il reato di detenzione e porto abusivo di pistola promuoveva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, essendo stato poi assolto per insussistenza del fatto. Cattive frequentazioni ed esclusione dall’indennizzo. L’istanza veniva rigettata e il soggetto proponeva ricorso in Cassazione, lamentando l’erronea valutazione del giudice a proposito della colpa grave ostativa al riconoscimento della riparazione. Il giudice di merito, infatti, aveva ritenuto gravemente colposo il mantenimento del rapporto d’amicizia tra il ricorrente e un soggetto affiliato ad un clan mafioso. Ciò era bastato per far decidere nel senso dell’esclusione dell’indennizzo. Secondo la difesa del ricorrente, il giudice dovrebbe fornire adeguata motivazione circa l’idoneità delle cattive” frequentazioni ad esser considerate come indizi di complicità. Vanno valutate, insomma, la durata e l’intensità del rapporto interpersonale, che, nel caso di specie sarebbero quasi obbligate” perché il ricorrente viene da un piccolissimo paese della Sicilia ove vuoi o non vuoi” tutti si conoscono e sono amici . Si valutano i fatti, non le supposizioni. La Corte di Cassazione, però, ricorda che il giudice di merito, nel valutare l’esistenza del diritto all’equa riparazione, deve prendere in considerazione le risultanze processuali e considerare se vi è un certo grado di partecipazione del detenuto nel dar causa all’incarcerazione . E ciò va fatto basandosi su fatti, non su mere supposizioni. Nel caso di specie vi sono stati comportamenti del ricorrente che, pur non idonei di per se stessi a configurare il reato summenzionato, ben possono essere inquadrati in termini di condotta gravemente colposa tale da ingenerare nell’autorità procedente l’erroneo convincimento circa il coinvolgimento del soggetto nell’attività criminale. A tal proposito, dice la Cassazione, non rilevano convincimenti o valutazioni soggettive ad opera del giudice di merito, bensì l’analisi di fatti concreti, quali il contenuto delle intercettazioni telefoniche tra l’indagato e il mafioso. Il principio giurisprudenziale sulle frequentazioni ambigue. In conclusione la Suprema Corte ribadisce il principio per cui la condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo può essere integrata anche da comportamenti extraprocessuali gravemente colposi , quali, ad esempio, frequentazioni ambigue con soggetti con precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti . Il giudice dovrà in ogni caso fornire adeguata motivazione circa la loro idoneità ad essere interpretate nel senso della complicità, oppure come concause del provvedimento restrittivo adottato. Per questo motivo il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 dicembre 2016 – 31 gennaio 2017, n. 4723 Presidente Blaiotta – Relatore Savino Ritenuto in fatto C.M. , per il tramite del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione dal predetto subita in relazione a procedimento a suo carico per il reato di detenzione e porto abusivo di una pistola. Reato per il quale è stato assolto con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste divenuta irrevocabile in data 6 dicembre 2013. A sostegno del ricorso il difensore ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa grave ostativa al riconoscimento della riparazione. Secondo la difesa la Corte di appello ha errato nel ritenere gravemente colposo e, quindi, idoneo ad escludere l’indennizzo il comportamento del C. consistito nell’aver mantenuto un rapporto di amicizia con V.G. , persona pregiudicata e coinvolta nel traffico di stupefacenti e affiliato al clan mafioso di omissis . Il difensore - pur dando conto del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale le frequentazioni ambigue con pregiudicati o, comunque, con soggetti appartenenti al mondo della criminalità costituisce comportamento gravemente colposo tale da escludere l’indennizzo - osserva che il giudice della riparazione deve altresì fornire adeguata motivazione circa l’oggettiva idoneità delle predette frequentazioni ad essere valutate quali indizi di complicità a carico dell’indagato. Ciò facendo riferimento al tipo di rapporto con i malavitosi, alla durata ed intensità dello stesso. Si deve trattare di relazioni che consentano di ravvisare un nesso di causalità rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo. Tanto premesso - continua la difesa - la Corte di appello ha posto a fondamento del rigetto dell’istanza di riparazione una motivazione del tutto illogica introducendo elementi di fatto che nulla hanno a che vedere con la posizione del C. . In particolare, a detta del ricorrente, la Corte di appello si è soffermata unicamente sul contenuto dell’ordinanza cautelare omettendo di dare adeguato rilievo a tutti gli elementi di fatto e diritto favorevoli al C. come, ad esempio, quanto emerso dall’interrogatorio del predetto. Soprattutto, evidenzia la difesa, la Corte territoriale ha travisato la natura della frequentazione tra il C. ed il V. arrivando a ravvisare una collaborazione a pieno titolo del primo nell’ambito dell’attività criminale del secondo. Invero, però, secondo la difesa non è stata assolutamente provata tale collaborazione la stessa, infatti, è stata forzatamente ricavata dal contenuto di alcune intercettazioni telefoniche suscettibili di varie e diverse interpretazioni. La colpa del C. sarebbe soltanto quella di aver trascorso parte del suo tempo con il V. pur essendo a conoscenza della sua appartenenza alla criminalità organizzata locale. La Corte di appello, però, non ha considerato che il ricorrente viene da un piccolissimo paese della Sicilia ove vuoi o non vuoi tutti si conoscono e sono amici. Ancora, secondo la difesa, sono state valorizzate delle intercettazioni che invero non possono considerarsi affatto sintomatiche di una qualche complicità tra i due predetti soggetti intercettazioni che la difesa riporta proponendo per ciascuna una diversa interpretazione . Ritenuto in diritto Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato. Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la cognizione della Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato - sotto il profilo della congruità e logicità della motivazione - e non estesa al merito. Quanto alla verifica dei presupposti del diritto all’equa riparazione - assenza di dolo/colpa grave dell’istante nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale - le Sezioni Unite hanno più volte precisato che la Corte territoriale deve procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale. Dunque il giudice di merito, per valutare se chi ha patito la detenzione ingiusta vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità SU 26.6.2002, De Benedictis, RV 222263 . In particolare, la Corte di appello deve fondare la propria delibazione su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima, sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto, dell’inizio dell’attività di indagine. Ciò al fine di stabilire, con valutazione ex ante , non se tale condotta integri gli estremi del reato contestato, ma solo che abbia ingenerato - ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente - la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa-effetto. Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello di Ancona ha motivato il proprio convincimento in maniera del tutto congrua e condivisibile. La Corte territoriale, infatti, ha correttamente ritenuto integrati gli estremi della colpa grave ravvisandola in alcuni comportamenti del C. accertati anche nella sentenza di assoluzione. Comportamenti che. anche se ritenuti non sufficienti a dimostrare la responsabilità in merito al reato di indebita detenzione di armi, ben possono essere inquadrati in termini di condotta gravemente colposa tale da ingenerare nell’autorità procedente l’erroneo convincimento circa il coinvolgimento del C. nell’attività criminale in questione. Trattasi infatti di incontri ed intercettazioni di conversazioni tra il C. ed il V. - notoriamente vicino se non proprio affiliato al clan mafioso di OMISSIS dedito al traffico di stupefacenti ed alla commissione di reati inerenti le armi - tra le quali, in particolare una, concerne proprio la pistola per la quale il ricorrente è stato inquisito. Peraltro, la Corte di appello ha giustamente evidenziato come da tali intercettazioni emerga chiaramente anche la consapevolezza in capo al C. dell’appartenenza della persona con la quale interloquiva assiduamente ad un contesto criminale di non poco conto. Per tali ragioni si deve ritenere l’ordinanza impugnata del tutto aderente al principio più volte espresso da questa Corte di legittimità per cui la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo. rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti extraprocessuali gravemente colposi quali le frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato Cass. Sez. IV n. 39199/2014 Rv. 260397 . Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla refusione delle spese sostenute dal Ministero resistente liquidate in Euro 1.000,00. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla refusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, liquidate in 1.000,00 Euro.