Concessioni edilizie: se l’illegittimità del titolo è frutto di falsità del pubblico ufficiale…

In tema di aggravante dell’atto pubblico di fede privilegiata, non è sufficiente verificare la provenienza da parte di un pubblico ufficiale investito di potestà certificativa, occorrendo che l’atto abbia un contenuto particolare concernente l’opera propria del pubblico ufficiale, attestando un fatto, rilevato o avvenuto in sua presenza o che costituisca l’attestazione di contestazioni o accertamenti che era in sua facoltà o nella sua discrezionalità eseguire.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 2714/2017 della Corte di Cassazione, depositata il 20 gennaio. Il caso. La Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale della medesima città, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati per taluni capi di imputazione di abuso d’ufficio, perché estinti per intervenuta prescrizione, concedendo a tutti le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti e, quindi, riducendo la pena inflitta per il reato di falso ideologico. La vicenda che aveva formato oggetto di un procedimento penale si innestava nell’ambito delle pratiche di rilascio di strumenti urbanistici concessione edilizia e riguardava tre soggetti aventi funzioni certificative. Concessioni edilizie in regime di illegittimità amministrativa. In particolare, due concessioni edilizie erano state sottoscritte da due dei tre imputati ed erano state emanate in regime di illegittimità amministrativa rispetto alla variante al piano urbanistico apportata con la deliberazione straordinaria della commissione prefettizia. Il documento relativo alla concessione edilizia era stato confezionato, sottoscritto e consegnato a privati cittadini interessati al rilascio del titolo amministrativo, cittadini che poi lo avevano esibito ai Carabinieri intervenuti per verificare la regolarità dell’attività edificatoria sul fondo di proprietà. Ad essere censurata – tra l’altro – era il riconoscimento dell’aggravante speciale prevista quando la falsità ideologica afferisca ad un atto fidefacente. L’aggravante dell’atto pubblico di fede privilegiata. In tema di falso ideologico in atto pubblico aggravato si intendono documenti dotati di fede privilegiata quelli che, emessi dal pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire pubblica fede all’atto, attestino quanto dal pubblico ufficiale effettuato e rilevato o avvertito in sua presenza. Funzione di precostituire la garanzia della pubblica fede ab initio. Sono atti di fede privilegiata, secondo ius receptum , gli atti di certezza legale che, per espressa previsione legislativa, impongono di assumere per certi i fatti in essi rappresentati. Unico rimedio alla certezza attribuita a tali atti è il procedimento di verificazione costituito dalla querela di falso. Caratteristica dell’atto fidefacente è l’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione. Da ciò consegue che l’atto fidefacente è destinato ab initio alla prova, cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice. Efficacia fidefacente solo per atti tipici. La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’efficacia fidefacente può essere riconosciuta soltanto ad atti tipici, espressamente disciplinati dalla legge come idonei a conferire certezza legale a quanto documentato in essi. La natura di documenti dotati di fede privilegiata può riconoscersi solo a quei contenuti documentati che presentino i requisiti dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu , di fatti giuridicamente vincolanti nella formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione. Affinché un atto faccia fede fino a querela di falso non basta verificare la provenienza da parte di un pubblico ufficiale investito di potestà certificativa occorre che abbia un suo particolare contenuto concernente l’opera propria del pubblico ufficiale che, in altri termini, concerna quanto da lui attestato come fatto, rilevato o avvenuto in sua presenza o che costituisca l’attestazione di contestazioni o accertamenti che era in sua facoltà o nella sua discrezionalità eseguire. Motivazione inadeguata. Censurata la sussistenza dell’aggravante in parola, per la Suprema Corte la motivazione del provvedimento impugnato non appare sufficientemente esplicativa dei presupposti applicativi della circostanza. Al di là della certa riferibilità soggettiva dell’atto ad un pubblico ufficiale autorizzato per legge o per regolamento ad emetterlo, nella motivazione manca, secondo la Corte di legittimità, l’indicazione dell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu , di fatti giuridicamente rilevanti avvenuti in sua presenza. I giudici di merito infatti riportano tutti i passaggi dell’attività di ricognizione degli atti del procedimento compiuta dall’istruttore direttivo e dal capo area, tuttavia senza spiegare quali siano gli atti visionati e certificati dal pubblico ufficiale come tali attestanti fatti rilevati o avvenuti in sua presenza. Pertanto, fermo restando l’accertamento – e la motivazione – in ordine alla sussistenza del fatto tipico di falso ideologico e l’ascrivibilità colpevole agli imputati – è poco efficace la motivazione in punto aggravante contestata. Annullamento con rinvio in punto aggravante”. In sede di rinvio alla Corte d’appello, disposto dalla Suprema Corte in relazione al provvedimento oggetto di impugnazione, il giudice territoriale dovrà esaminare nuovamente la questione dell’applicabilità dell’aggravante de qua al documento costituito dalla concessione edilizia, attenendosi al principio di diritto affermato dalla Cassazione. L’aggravante in relazione al registro protocollo invece Per la Corte di cassazione, l’aggravante sussiste – e il riconoscimento è adeguatamente giustificato” nella motivazione del provvedimento impugnato – in relazione alla falsità commessa sul registro di protocollo”. La Corte chiarisce che falsità che cade sulle annotazioni del registro di protocollo non può integrare gli estremi del falso innocuo o essere giustificata con la potenziale mancanza di effetti giuridici pregiudizievoli desumibili dal contenuto dell’atto protocollato. Invero il registro di protocollo ex se ha funzione certificativa nel senso di attestare con fede privilegiata la data e la successione nel tempo della ricezione o della spedizione di atti da parte di un ufficio della pubblica amministrazione. Parentesi circa il profilo soggettivo. Il momento di confezionamento del titolo concessorio e l’apposizione di una data falsa sono soggettivamente riconducibili ai due imputati che avevano sottoscritto l’atto. Per completezza, in questa prospettiva va ricordato che il reato di falsità in atto pubblico richiede il solo dolo generico i delitti di falso, per consolidata giurisprudenza, sono integrati dalla consapevolezza della c.d. immutatio veri , senza che sia necessaria la volontà di arrecare pregiudizio o di ingannare. Tuttavia, come noto, deve escludersi che la falsità sia riconducibile ad un comportamento meramente colposo, dovuto a negligenza o ignoranza. Falsificazione per aggiunta”. Il terzo imputato, secondo le ricostruzioni, aveva apposto all’atto una data successiva di un giorno alla deliberazione straordinaria prefettizia di variazione dello strumento urbanistico al fine di evitare la evidente responsabilità degli altri coimputati. In altri termini, dal punto di vista del movente” che aveva mosso ad agire in tal modo, la Corte afferma che il prodigarsi per l’annotazione falsa sul registro protocollo si giustificava con l’assolvimento di un obbligo di riconoscenza nei confronti dei due coimputati che avevano rilasciato una concessione edilizia illegittima favorevole all’altro.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 ottobre 2016 – 20 gennaio 2017, n. 2714 Presidente Lapalorcia – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Palermo in data 3 ottobre 2013, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di D. in ordine al reato ascritto al capo 1 art. 323 cod. pen. , nonché nei confronti di D. e di B. in ordine al reato di cui all’art. 323 cod. pen. di cui al capo 2 della rubrica perché estinti per intervenuta prescrizione e ha concesso a tutti le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle conteste aggravanti, riducendo la pena inflitta agli imputati per i restanti reati di cui agli artt. 479, 476, comma 2, e 61 n. 2, cod. pen., Capo 2 della rubrica per quanto concerne il reato ascritto a D. e B. e di cui agli artt. 479 e 476 comma, 2 in relazione alla vicenda della concessione edilizia n. 29 in favore di M. /D. e Capo 4 della rubrica per il reato di cui agli artt. 110, 61 n. 2 e 476, primo e secondo comma, cod. pen. ascritto al G. per la vicenda relativa all’alterazione del registro di protocollo . Avverso la predetta sentenza ricorrono tutti gli imputati, per mezzo dei loro rispettivi difensori, affidando la loro impugnativa a diversi motivi di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente B.R. , con il primo motivo di doglianza, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e, cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di omessa pronuncia ed omessa motivazione in relazione al primo motivo di gravame avanzato in appello. Deduce l’assenza di motivazione nella parte in cui il giudice di appello non aveva in alcun modo considerato la circostanza secondo cui la modifica allo strumento urbanistico, poi attuata con la deliberazione straordinaria n. 24 del 28.9.2006 da parte della commissione prefettizia, era stata proposta proprio da egli ricorrente e che pertanto risultava contraddittorio che, da un lato, avesse proposto la modifica dello strumento urbanistico e, dall’altro, avesse, poi, commesso la violazione di legge contestata nel reato di cui all’art. 323 cod. pen., autorizzando illegittimamente il 29.9.2006 la concessione urbanistica in contestazione. Denunzia sul punto il ricorrente, pertanto, l’omessa motivazione della Corte territoriale. 1.2 Con il secondo motivo si deduce sempre il vizio argomentativo della motivazione impugnata. Denunzia il ricorrente l’illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte distrettuale aveva ritenuto inverosimile la circostanza, allegata dalla sua difesa, secondo cui aveva firmato gli originali della concessione edilizia in data 21 settembre 2006 allorquando, cioè, nell’esaminare la domanda di rilascio, aveva personalmente comunicato agli interessati che il parere favorevole al rilascio della concessione dipendeva dall’esibizione dell’atto di frazionamento, ponendo così la pratica amministrativa in stato di sospensione . Osserva inoltre l’imputato la mancata considerazione della circostanza, invece ritenuta importante e decisiva come elemento a discarico, che la perizia grafica ammessa ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. nel corso del dibattimento aveva accertato che egli ricorrente era del tutto estraneo alla falsificazione del protocollo generale e che, peraltro, aveva posto in sospensione la pratica per il rilascio della concessione edilizia deduce, inoltre, che, se fosse stato interessato al rilascio della detta concessione, avrebbe avuto un contegno diverso nel corso del procedimento amministrativo diretto al rilascio del titolo concessorio. La Corte territoriale non aveva inoltre considerato - secondo le doglianze del ricorrente - che in realtà la detta concessione non era stata comunque mai rilasciata, non essendo stata registrata e trascritta nei registri immobiliari. 2. Ricorre anche l’imputato D.B. , affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza. 2.1 Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e, cod. proc. pen., il vizio argomentativo in relazione al reato contestato al capo 2 della rubrica, e cioè il reato di cui agli artt. 479 e 476, comma 2, cod. pen Deduce la parte ricorrente l’erroneità giuridica della motivazione impugnata là dove la stessa aveva ritenuto provata la commissione del falso nella mera circostanza che la concessione cd. M. /D. non era stata mai rilasciata formalmente, in quanto atto mai emesso dall’Ufficio tecnico, mai protocollato o pubblicato, ovvero registrato nell’apposito registro e soltanto annotato in modo anomalo mediante falsificazione per aggiunta a quella annotazione riguardante l’altra concessione cd. G. /G. , nel registro messi e nel protocollo e nella ulteriore circostanza secondo cui proprio la coincidenza di data e numero di protocollo tra le due concessioni, aventi le medesime problematiche, era la prova evidente della falsificazione dell’atto deduce, inoltre, la mancata considerazione da parte della Corte territoriale della circostanza che, in realtà, la concessione cd. M. /D. non era stata mai rilasciata, anche perché mancava la produzione dell’atto di frazionamento alla cui esibizione la Commissione edilizia comunale aveva subordinato, pur avendo rilasciato parere favorevole, il rilascio del titolo concessorio. Osserva inoltre sempre il ricorrente che, essendo cambiate le condizioni per il rilascio dei titoli concessori per insediamenti produttivi su verde agricolo in data 28.9.2006 per la nuova previsione secondo cui il richiedente dovesse avere un lotto agricolo di almeno 6000 mq , i funzionari dell’Ufficio tecnico non avrebbero mai rilasciato una concessione in data 29.9.2006, in mancanza delle previste condizioni per il rilascio osserva, peraltro, che anche l’assoluzione ottenuta in relazione al reato originariamente contestato e relativo alla falsificazione del registro protocollo e di quello relativo alle annotazioni della comunicazione della concessione edilizia deponeva per la sua estraneità anche al rilascio della concessione e che la circostanza che la concessione fosse stata ritrovata casualmente sul suo tavolo, in un periodo nel quale peraltro era assente dall’ufficio per essere in stato di custodia cautelare per altra causa, lungi dal dimostrare il suo coinvolgimento nella vicenda, dimostrava invece che altri e cioè quelli effettivamente interessati al rilascio del titolo concessorio avessero artatamente collocato quel provvedimento sul suo tavolo, approfittando della sua assenza. Denunzia inoltre l’imputato che le successive falsificazioni erano state commesse in una fase successiva dell’iter amministrativo e dunque non potevano essere ad egli ricorrente addebitate, e ciò a maggior ragione se si considera che la detta concessione non era stata neanche registrata nel registro concessioni deduce, pertanto, la mera apparenza della motivazione sulla circostanza dell’addebito del reato di falso di cui al capo 2 della rubrica perché la concessione non era stata mai rilasciata dall’ufficio tecnico e perché la prova del suo coinvolgimento era stata dedotta dalla falsa annotazione della comunicazione della concessione e dall’inserimento nel registro di protocollo, falsificazioni commesse da altri. 2.2 Con il secondo motivo si denunzia la violazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 479 e 476, comma, 2, cod. pen Evidenzia il ricorrente che la fattispecie concreta descritta nel capo 2 della rubrica doveva essere inquadrata unicamente nell’ipotesi di abuso d’ufficio e comunque nella categoria del falso inutile, in quanto si tratta di documento, quello oggetto di falsificazione, privo di efficacia giuridica, perché mai rilasciato né registrato. Si deduce infine la non sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 476 cod. pen., che prevede l’aggravamento di pena per la falsità di un atto fidefacente si evidenzia che per identificare tale categoria di documenti occorre far riferimento ai requisiti previsti dagli artt. 2699 e 2700 cod. civ 3. Propone ricorso anche l’imputato G. , deducendo tre motivi di doglianza. 3.1 Con il primo denunzia la manifesta illogicità della motivazione e la violazione di norma extrapenale di cui la Corte d’appello ha tenuto conto nell’applicazione della norma incriminatrice. Denunzia l’illogicità delle argomentazioni di fondo della motivazione impugnata là dove aveva ritenuto provata la sua responsabilità penale per la commissione del falso materiale diretto ad occultare le condotte di abuso d’ufficio e di falso attribuite al D. e al B. , e ciò per un debito di riconoscenza nei confronti di quest’ultimi che avevano rilasciato in suo favore altra concessione edilizia illegittima, perché sprovvista dei requisiti richiesti dal nuovo strumento urbanistico approvato il 28.9.2006 e dunque per ciò interessato alla falsificazione per aggiunta della concessione cd. M. /D. che presentava la medesima illegittimità della sua concessione. Deduce, tuttavia, il ricorrente l’erroneità dell’assunto di partenza del ragionamento, giacché, al momento della presentazione della istanza di rilascio della concessione, la sua richiesta presentava tutti i requisiti richiesti per il suo rilascio e che, comunque, la sua richiesta doveva considerarsi approvata per silenzio-assenso e che, infine, erroneamente la Corte territoriale aveva considerato immediatamente applicabili le misure di cd. salvaguardia di cui alla legge regionale siciliana n. 71/1978 e 12 D.p.r. n. 380/2001. Evidenzia, inoltre, il ricorrente che il momento terminale per il rilascio della concessione edilizia è quello della determinazione del contributo e che, pertanto, la procedura si era conclusa prima della variante urbanistica che imponeva nuovi requisiti dimensionali del lotto per ottenere il titolo edificatorio. Denunzia pertanto che il sillogismo - in base al quale era stato condannato e per il quale egli ricorrente avrebbe commesso il reato di falso per favorire altri - non era logico e che inoltre non era logica neanche l’assoluzione degli altri due coimputati dal reato di falso per il quale quest’ultimi avevano invece un concreto interesse. 3.2 Con il secondo motivo si censura di nullità la sentenza impugnata per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e per il travisamento del fatto e della prova in relazione alla chiamata in reità della coimputata Mi. . Si denunzia la illogicità della motivazione in ordine alla chiamata in correità impropria che, provenendo da coimputata assolta in primo grado ai sensi dell’art. 48 cod. pen. - per essere stata indotta in errore proprio da egli ricorrente - avrebbe dovuto essere valutata con maggiore attenzione e prudenza da parte della Corte territoriale. Denunzia il ricorrente la non spontaneità e genuinità delle dichiarazioni rese dalla Mi. là dove non aveva rivelato subito il suo nominativo alla P.g., ma solo in un secondo momento e che la motivazione fornita dalla Corte - secondo cui la propalante aveva assunto all’inizio un atteggiamento prudente per non coinvolgerlo in ragione del rapporto di amicizia che li legava - non era convincente né logica denunzia, comunque, anche il profilo della ritenuta attendibilità intrinseca della dichiarazione, giacché la versione finale delle sue dichiarazioni, rese poi in sede dibattimentale, era stata il frutto di continui aggiustamenti e ripensamenti che evidenziavano la non attendibilità e spontaneità delle dichiarazioni rese in sede di chiamata in reità osserva che la circostanza secondo cui egli ricorrente avrebbe tratto in inganno la Mi. - mostrandole un foglio contenente i nomi dei quattro beneficiari della concessione edilizia per convincerla del precedente errore e della necessità di una rettificazione dell’annotazione, aggiungendo i nominativi di M. /D. - era stato il frutto di ulteriore ripensamento dopo la contestazione dibattimentale delle sue precedenti dichiarazioni e che l’affermazione secondo cui verosimilmente tale documento era stato composto artificiosamente da egli ricorrente per tale finalità ingannatoria era una mera congettura formulata dalla Corte d’Appello, come tale sprovvista di qualsiasi appiglio probatorio denunzia, infine, la mancanza di elementi di riscontro esterno alle dichiarazioni della Mi. evidenzia che gli elementi di riscontro rintracciati dal giudice d’appello erano privi di significato probatorio, atteso che non era dimostrato che egli conoscesse le problematiche attinenti alla richiesta di concessione M. /D. e che anzi la sua pratica era stata esitata il 3 agosto 2006 con il pagamento degli oneri concessori e che, peraltro, era plausibile che la concessione M. /D. fosse stata creata molto tempo dopo la sua concessione. 3.3 Con il terzo motivo si evidenzia violazione di legge in relazione agli artt. 48 e 476 cod. pen. e l’illogicità della motivazione. Si deduce che l’art. 48 predetto è applicabile allorquando il determinatore dell’altrui inganno interviene per lo stesso titolo di reato per il quale avrebbe invece risposto il deceptus e che dunque era applicabile al più l’art. 482 cod. pen., perché la Mi. non era qualificabile come pubblico ufficiale. Considerato in diritto 4. I ricorsi sono solo parzialmente fondati quanto alle posizioni di D. e B. , in relazione al secondo motivo di doglianza sollevato dal D. . 4.1 In realtà, le doglianze del predetto imputato in ordine alla motivazione resa dalla Corte distrettuale - così come anche peraltro integrata dalla motivazione resa dal giudice di prime cure, in ordine alla ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 476, comma, 2, cod. pen., in relazione al capo di imputazione di cui al n. 2 della rubrica e dunque in relazione alla natura di documento fidefacente riferito alla concessione edilizia cd. M. /D. - sono fondate e richiedono pertanto un annullamento con rinvio della sentenza impugnata per un nuovo esame da parte della Corte di merito. 4.1.1 Sul punto, giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’affermare che - in tema di falso ideologico in atto pubblico aggravato ex art. 476, secondo comma, cod. pen. - sono documenti dotati di fede privilegiata quelli che, emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede, attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza Cass., Sez. 6, n. 25258 del 12/03/2015 - dep. 16/06/2015, Guidi e altro, Rv. 263806 Sez. 5, n. 15951 del 16/01/2015 - dep. 16/04/2015, Bandettini e altri, Rv. 263265 . 4.1.2 Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, invero, si è stabilito il principio secondo cui sono atti di fede privilegiata gli atti di certezza legale, che, per espressa previsione di legge, impongono di assumere per certi, già nell’ordinaria circolazione regolata dal diritto sostanziale, i fatti in essi rappresentati, salva l’introduzione di quel particolare procedimento di verificazione che è la querela di falso v., in motivazione, Sez. 5, n. 17425 del 13/03/2007, dep. 08/05/2007, Rv. 236639 . Ed invero, ciò che caratterizza l’atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui all’art. 2699 cod. civ., è dunque - oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice Sez. 5, n. 7921 del 16/01/2007, dep. 26/02/2007, Rv. 236518 Sez. 5^, n. 12213 del 13/02/2014, dep. 13/03/2014, Rv. 260208 . Peraltro, costituisce un principio consolidato quello secondo cui Sez. 1, n. 37097 del 21/09/2011, dep. 14/10/2011, Rv. 250832 Sez. 5, n. 17425 del 13/03/2007, dep. 08/05/2007, Rv. 236639 l’efficacia fidefacente può essere riconosciuta soltanto ad atti tipici, espressamente disciplinati dalla legge come idonei a conferire certezza legale a quanto in essi documentato, anche se non può confondersi codesta tipicità con le categorie cui si riferiscono gli artt. 2699 e 2700 c.c., che non esauriscono gli atti fidefacenti perché si riferiscono solo alle rogazioni e alle verbalizzazioni v., inoltre, Sez. 6, 07/10/1969, Doddi, Rv. 113391 Sez. 5, 30/06/1971, Paolini, Rv. 119096 . Dal collegamento tra la veste di pubblico ufficiale del rogante e la fede privilegiata dell’atto discende direttamente, invece, che la natura di documenti dotati di fede privilegiata può riconoscersi soltanto a quei documenti, o meglio a quei contenuti documentati, che - in quanto emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire all’atto medesimo pubblica fede presentino i requisiti dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu, di fatti giuridicamente rilevanti e della formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione . Secondo tale linea interpretativa, dunque, non basta a rendere l’atto facente fede fino a querela di falso la circostanza che lo stesso provenga da un pubblico ufficiale investito di potestà certificatrice, ma occorre anche che esso abbia un suo particolare contenuto concernente l’opera propria del Pubblico ufficiale , ovverosia quanto da lui attestato come fatto, rilevato od avvenuto in sua presenza Sez. 5, n. 4568 del 24/03/1972, dep. 24/06/1972, Rv. 121451 o, al più, quanto da lui attestato in relazione a constatazioni o accertamenti che era in sua facoltà e nella sua discrezionalità eseguire Sez. 3, n. 5471 del 17/03/1987, dep. 02/05/1987, Rv. 175868 . 4.1.3 Ciò posto, osserva la Corte che la motivazione resa dai giudici di merito, sul punto qui da ultimo in discussione, non risulta sufficientemente esplicativa dei presupposti applicativi dell’aggravante prevista dal secondo comma dell’art. 476 cod. pen. per come sopra ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte , atteso che, al di là della sicura riferibilità soggettiva dell’atto in questione a un pubblico ufficiale autorizzato per legge o per regolamento ad emetterlo, ciò che è manchevole nella motivazione impugnata è la indicazione dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu , di fatti giuridicamente rilevanti avvenuti alla sua presenza. Ed invero, si dà atto, nella argomentazione qui censurata, che la concessione riporta verbatim tutti passaggi dell’attività di ricognizione degli atti del procedimento, compiuta dall’istruttore direttivo e dal capo area cfr. pag. 23 della motivazione di primo grado che, sul punto, risulta essere più esaustiva , senza tuttavia spiegare quali siano quegli atti visionati e certificati dal pubblico ufficiale come tali attestanti fatti rilevati o avvenuti in sua presenza. 4.1.4 Si impone pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata affinché la Corte palermitana esamini di nuovo la questione dell’applicabilità dell’aggravante in parola al documento costituito dalla concessione edilizia, applicando il principio di diritto sopra riaffermato. 4.1.5 Nessun dubbio può invece sorgere in ordine all’applicabilità dell’aggravante in esame al cd. registro di protocollo di cui al capo 4 della rubrica . Ebbene, la Corte di legittimità ha precisato, in subiecta materia , che la falsità che ricade sulle annotazioni del registro di protocollo, essendo intrinsecamente attinente alla sua funzione certificativa, che è quella di attestare con fede privilegiata la data e la successione nel tempo della ricezione o della spedizione di atti da parte di un ufficio della P.A., non può integrare gli estremi del falso innocuo o essere giustificata con la potenziale mancanza di effetti giuridici pregiudizievoli desumibili dal contenuto dell’atto protocollato Cass., Sez. 3, n. 30265 del 02/04/2014 - dep. 10/07/2014, Lupi e altro, Rv. 260237 . 4.2 I restanti motivi di doglianza avanzati da B. e D. sono invece infondati. 5. Del pari, va integralmente rigettato il ricorso presentato dal G. . 5.1 Seguendo l’ordine di presentazione delle doglianze, occorre subito precisate come il primo motivo di censura sollevato dalla difesa del B. sia del tutto infondato. Ed invero, si deduce l’assenza di motivazione nella parte in cui il giudice di appello non aveva in alcun modo considerato la circostanza secondo cui la modifica allo strumento urbanistico, poi attuata con la deliberazione straordinaria n. 24 del 28.9.2006 da parte della commissione prefettizia, era stata il frutto di una iniziativa dell’imputato. 5.1.1 Sul punto, è facile replicare che la circostanza risulta, sul piano logico-giuridico, del tutto ininfluente ai fini della ricostruzione complessiva della dinamica dei fatti, atteso che il giudizio di penale responsabilità dell’imputato si fonda, dal punto di vista argomentativo, su solide motivazioni di matrice documentale, testimoniale e logica che tolgono rilevanza alla diversa questione di quale fosse la paternità della deliberazione straordinaria della commissione prefettizia n. 24 del 28.9.2006 che, comunque, formalmente è sempre riconducibile a quest’ultimo organo straordinario di gestione. 5.1.2 Ciò che invece rileva è che le due concessioni - oggetto dell’originaria contestazione di abuso d’ufficio e di falso - erano state sottoscritte da entrambi gli imputati D. e B. e che le stesse riportino la data del 29.9.2016, e dunque emanate in regime di sicura illegittimità amministrativa rispetto alla variante al piano urbanistico apportata con la predetta deliberazione straordinaria della commissione prefettizia. 5.2 Ma anche l’ulteriore vizio argomentativo denunziato dal B. nel secondo motivo di doglianza non coglie nel segno. 5.2.1 Ed invero, anche in questo caso la Corte panormita argomenta in modo adeguato e scevro da aporie e contraddizioni logiche. Il ricorrente utilizza argomenti suggestivi cui tuttavia il giudice di appello, come detto, contrappone argomenti logici ineccepibili. 5.2.2 Sostiene, infatti, il ricorrente di aver firmato la concessione edilizia prima del 29 settembre 2006, e dunque prima della sua formale adozione. Ma, anche in questo caso, la Corte territoriale spiega adeguatamente la intrinseca non credibilità di questa alternativa ricostruzione della vicenda, e ciò sulla base della non contestata evidenza probatoria secondo cui era stato lo stesso imputato B. che aveva messo in sofferenza la pratica amministrativa, comunicando che occorreva la integrazione della documentazione già presentata con l’atto di frazionamento, con la ulteriore conseguenza logica che appariva non comprensibile, secondo l’ id quod plermque accidit , che l’imputato avesse firmato l’atto concessorio prima della richiesta integrazione documentale. Ma anche l’ulteriore contestazione, sempre avanzata nel secondo motivo di impugnazione, relativa all’accertata estraneità all’attività di falsificazione del registro di protocollo da parte del B. in quanto riferibile ad altri e per la quale l’imputato era stato conseguentemente assolto non è in realtà rilevante, atteso che era stato lo stesso B. a confessare unitamente al D. , e ciò anche nel corso del dibattimento, che le sottoscrizioni apposte per il rilascio della concessione edilizia erano a lui stesso riconducibili, con la ulteriore ed inevitabile conseguenza che la falsificazione della concessione cd. M. /D. e della data di rilascio della stessa sono con tutta certezza riconducibili all’odierno ricorrente. 6. Anche il ricorso D. , come sopra accennato, è infondato. 6.1 Già il primo motivo di doglianza non è condivisibile. Non è rintracciabile alcun vizio argomentativo nel tessuto motivatorio della sentenza impugnata sul punto oggetto di denunzia da parte del ricorrente. Anche in questo caso il ricorrente utilizza argomenti suggestivi, ma infondati sia in fatto che in diritto. 6.1.1. Osserva la Corte che la circostanza, assai enfatizzata nel ricorso dell’imputato, secondo cui la concessione cd. M. /D. non era stata mai rilasciata formalmente e dunque non poteva costituire l’oggetto del contestato reato di falso, non risponde al vero e comunque non è rilevante dal punto vista giuridico, giacché, come ben argomentato dalla Corte di merito, il documento relativo alla concessione edilizia in questione era stato confezionato, sottoscritto e consegnato ai privati cittadini interessati al rilascio del titolo amministrativo, tanto ciò è vero che quest’ultimi lo avevano, poi, esibito ai carabinieri intervenuti per verificare la regolarità dell’attività edificatoria sul fondo di proprietà dei coniugi M. e D. . Ma anche la ulteriore lagnanza in relazione alla ritenuta rilevanza dell’assoluzione ottenuta dall’imputato per il reato di falso per le annotazioni successive al rilascio del titolo concessorio non è in alcun modo accoglibile e condivisibile, atteso che la detta circostanza non rileva ai fini della ricostruzione delle vicende che qui ci occupano. Come ben spiegato dal giudice d’appello e come ritiene anche questa Corte, le condotte di falsificazione dell’annotazione del registro comunicazioni delle concessioni edilizie e del registro protocollo, pur commesse da terzi, nulla tolgono in punto di accertamento della penale responsabilità dell’imputato, accertamento fondato sulla inoppugnabile ed anche confessata circostanza che la sottoscrizione e dunque la formazione del documento contenente il titolo concessorio è sicuramente riconducibile soggettivamente alla persona dell’odierno ricorrente, con la conseguente addebitabilità della condotta di falsificazione del documento stesso e della sua data. 6.2 n secondo motivo di doglianza avanzato dal D. è invece, per quanto sopra detto, fondato ed è stato trattato, per ragioni di ordine logico e per la connessione del motivo anche con la posizione dell’altro coimputato B. , nell’incipit della motivazione, alla quale pertanto si rimanda. 7. Il ricorso avanzato dal G. è infondato. 7.1 Già il primo motivo è non condivisibile. Ebbene, osserva la Corte come, anche in questo caso, la motivazione resa dalla Corte distrettuale è convincente ed esente da censure di illogicità manifesta e da contraddittorietà, come invece denunziato dal ricorrente. 7.1.1 Non vi è dubbio, e ciò anche leggendo la ricostruzione fattuale operata dal giudice ricorso, che il momento di confezionamento del titolo concessorio cd. M. /D. e l’apposizione sullo stesso di una data falsa è riconducibile soggettivamente, per quanto già sopra illustrato, agli altri due imputati che hanno, peraltro, sottoscritto l’atto. Ciò detto, la spiegazione fornita nella sentenza impugnata del movente qui contestato che aveva indotto il G. alla successiva falsificazione per aggiunta risulta essere convincente e compatibile con l’intera ricostruzione fattuale della vicenda in esame, atteso che, da un lato, l’apposizione della data del 29 settembre 2006 e dunque, successiva di un giorno alla deliberazione straordinaria prefettizia di variazione dello strumento urbanistico risulta strumentale ad evitare responsabilità evidenti del D. e del B. con la sempre possibile argomentazione che uno iato temporale così esiguo poteva giustificare la emissione della concessione edilizia - pur viziata - dalla mancanza dei nuovi presupposti regolamentari e che, dall’altro, il prodigarsi del G. per l’annotazione falsa sul registro protocollo nella stessa data e protocollo dell’altra concessione cd. G. /G. si giustificava con l’assolvimento di un obbligo di riconoscenza del G. nei confronti degli altri due coimputati che gli avevano pur sempre rilasciato una concessione edilizia illegittima, per le ragioni già sopra più volte evidenziate. 7.1.2 Nessun pregio giuridico rivestono, poi, le ulteriori contestazioni in ordine all’allegata regolarità amministrativa del procedimento che aveva portato al rilascio della concessione, e ciò in ragione della considerazione - secondo la tesi del ricorrente - che la richiesta di concessione doveva considerarsi approvata per silenzio-assenso e che pertanto erroneamente la Corte territoriale aveva considerato invece applicabili le misure di salvaguardia di cui alla legge regionale siciliana n. 71/1978 e 12 D.p.r. n. 380/2001. Sul punto, è solo il caso di ricordare che la pratica per il rilascio della concessione era stata sospesa dalla commissione edilizia in attesa della produzione dell’interessato dell’atto di frazionamento del fondo, di talché il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo autorizzatorio doveva considerarsi ancora non completato alla data del 28.9.2006, momento in cui, com’è noto, entrarono in vigore i nuovi requisiti dimensionali per l’ottenimento della concessione edificatoria su terreno a vocazione agricola. 7.2 Anche il secondo motivo di censura è infondato. 7.2.1 Le censure sollevate in ordine alla motivazione resa dalla Corte di merito sulla cd. chiamata in reità della Mi. non sono meritevoli di accoglimento, e ciò proprio in ragione dell’esauistività e completezza della motivazione resa sul punto dai giudici di appello. Qui la motivazione impugnata spiega, in modo logico e condivisibile, il profilo di credibilità intrinseca della dichiarante, evidenziando che l’iniziale reticenza della Mi. nel fare il nome del G. - come colui il quale l’aveva indotta a porre in essere la materiale condotta di falsificazione del registro annotazioni - era spiegabile in ragione del rapporto di amicizia che la legava alla famiglia del G. stesso e dunque il maturarsi della convinzione della condotta illecita dell’odierno ricorrente era avvenuta dopo aver ricostruito compiutamente l’intera vicenda fattuale e dopo aver riflettuto sulle pressioni ricevute per la falsificazione del registro. 7.2.2 Peraltro, è stato ben evidenziato nella motivazione impugnata che lo stesso G. aveva un concreto e diretto interesse alla falsificazione nelle ragioni di riconoscenza già sopra evidenziate e che ulteriori riscontri esterni , come tali corroboranti la credibilità delle dichiarazioni della Mi. , erano rintracciabili nella conoscenza diretta da parte del G. delle problematiche ostative al rilascio della concessione cd. M. /D. , problematiche che erano le medesime, dal punto di vista del mancato rispetto dei requisiti dimensionali del fondo per ottenere l’autorizzazione ad edificare, che riguardavano anche il rilascio della sua concessione. Peraltro, è anche condivisibile la motivazione impugnata là dove evidenziava che, a differenza del G. , la Mi. non aveva alcun interesse ad operare la falsificazione per aggiunta più volte descritta. 8. Il terzo motivo è invece inammissibile in ragione della sua genericità. Sul punto, va ricordato che tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c c.p.p. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato. 8.1 Orbene, dalla ricostruzione della vicenda emerge che in realtà la Mi. rivestiva la qualifica soggettiva qui contestata e, nello stesso tempo, la parte ricorrente non ha fornito alcun elemento di segno contrario per far esercitare a questo giudice di legittimità il richiesto sindacato sulla contestazione così avanzata. 9. In ragione dell’esito del giudizio, il solo imputato G. deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.B. e B.R. limitatamente alla sussistenza all’aggravante di cui all’art. 476, comma 2, cod.pen. con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo per nuovo esame. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Rigetta il ricorso di G.F. che condanna al pagamento delle spese processuali.