L’omessa corresponsione dell’assegno divorzile non riguarda le coppie di fatto

Non rientra nella fattispecie penale di omesso versamento dell’assegno di mantenimento la condotta di chi, non unito da vincolo matrimoniale, sia inadempiente nei confronti dell’ex-convivente. In tale ipotesi può semmai applicarsi la più generale disciplina contenuta nel codice penale che incrimina la violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con la sentenza n. 2666 depositata il 19 gennaio 2017. Quando la coppia scoppia”. Ci vuole poco per ritrovarsi catapultati dall’idillio di una appassionata unione sentimentale nelle limacciose e torbide acque di un oceano di guai. Basta lasciarsi. Non importa quanto pacati siano gli animi l’esperienza ci insegna che non lo sono quasi mai , né il pronunciamento dell’ipocrita frase restiamo amici”, dietro la quale spesso si nascondono muti insulti reciproci e rancori destinati ad un radioso futuro di reciproche diffamazioni. Non importa nemmeno che la coppia sia o meno unita da sacro? vincolo matrimoniale. Da quel momento in poi le mani dei rispettivi ex” non si intrecceranno più fra di loro ma saranno impegnate a pigiare i tasti delle calcolatrici. Per bisogno o per vendetta inizierà una schermaglia di cifre, conti, richieste di contributi, corresponsioni e chi più ne ha ne metta. Il tutto sotto la spada di Damocle della denuncia. La disciplina per gli ex-coniugi è chiarissima, ed è contenuta in parte nel codice penale ed in parte nella legge sul divorzio. E per gli ex” non sposati? Questo è proprio il caso analizzato nella sentenza che commentiamo. Un’estensione analogica non consentita. Un poveruomo – mi scuseranno i lettori, e specialmente le lettrici, se lo chiamerò così per solidarietà di genere – viene tratto a giudizio e due volte condannato per non aver integralmente corrisposto quanto dovuto alla propria ex-compagna per il mantenimento del figlio minorenne, e per non aver contribuito a tutta una serie di spese mediche e straordinarie. La norma incriminatrice di riferimento è contenuta nella legge del 2006 in tema di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli, che a sua volta rimanda – per quanto riguarda i profili penali – al reato di omesso versamento dell’assegno divorzile. L’ultima spiaggia è il ricorso per cassazione. Vengono qui attaccati diversi punti della sentenza d’appello si contesta la ricorrenza dell’elemento oggettivo, del dolo, si critica la valutazione di attendibilità della persona offesa, si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva. Insomma, si confuta a trecentosessanta gradi la decisione della corte territoriale. Alla fine, con sintetica motivazione, gli Ermellini pongono nel nulla quest’ultima per tutt’altra ragione il fatto non è previsto dalla legge come reato. Il principio di tassatività va difeso. La legge del 2006 in materia di affidamento condiviso contiene una previsione dedicata alla violazione degli obblighi economici e contiene un inciso che ha evidentemente tratto in inganno i giudici di merito. E’ opportuno trascrivere testualmente la frase incriminata” le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. Quest’ultima espressione, secondo la Suprema Corte, deve essere intesa nel senso che la legge del 2006 si applica ai procedimenti civili riguardanti i figli delle coppie di fatto, ma non significa che essa estende a queste ultime le norme penali sostanziali poste a tutela degli obblighi economici di chi era unito dal vincolo matrimoniale. La decisione della Corte, che ha una portata molto meno dirompente di quanto sembri, pone le sue basi sul principio di stretta legalità, e sui suoi arcinoti corollari tassatività della fattispecie e divieto di analogia in malam partem . A scongiurare facili critiche è il prosieguo il mancato rispetto degli obblighi economici da parte dell’ex-convivente non sfugge affatto all’ombrello protettivo del diritto penale. Occorreva contestare la norma generale del codice penale. Ecco la conclusione della Corte di legittimità i fatti andavano qualificati alla luce della generale norma del codice posta a tutela della violazione degli obblighi di assistenza familiare. Gli Ermellini potrebbero procedere in questo senso? Sì, ma, scrivono loro che farlo sarebbe altamente opinabile”. In effetti, aggiungiamo noi, ben potrebbero ridefinire il fatto, ma anche e soprattutto per rispettare i noti principi espressi dalla Corte EDU in tema di diritto ad essere preventivamente informati sulla qualificazione giuridica del fatto, tale operazione presupporrebbe l’annullamento della decisione impugnata e l’inizio di un nuovo processo. Soltanto così l’imputato potrebbe compiutamente difendersi. Ne vale la pena? Non nel caso di specie il povero imputato era reo di ritardi parziali nell’adempimento”, oltre che del mancato versamento di poche centinaia di euro. Alla fine, l’ultima spiaggia – cioè la Cassazione – si è rivelata un’isola sicura!

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 dicembre 2016 – 19 gennaio 2017, n. 2666 Presidente Carcano – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 3 giugno 2014, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Trieste, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di B.I. per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, commesso dal marzo 2010 al dicembre 2011 per aver versato alla ex-compagna la sola somma di 150 Euro mensili, salvo conguagli parziali successivi, per il mantenimento del figlio minorenne, a fronte dell’obbligo di corrispondere l’importo di 350 Euro mensili fissata dal Tribunale per i Minorenni, e per aver omesso di versare la quota del 50 % delle spese mediche e straordinarie, anch’essa stabilita dal precisato giudice, nonché la condanna alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa ha poi ridotto l’importo liquidato a titolo di danno non patrimoniale ed ha subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento di questa sola somma in favore della parte civile. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, personalmente il B. , articolando due motivi. 2.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all’affermata sussistenza del reato per il quale è stata pronunciata condanna, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto il profilo soggettivo. Si deduce che la sentenza impugnata assume la responsabilità del B. , senza aver considerato l’intera evoluzione del rapporto dell’imputato con la convivente L.E. , escludendo erroneamente la necessità del consenso preventivo del ricorrente all’effettuazione delle spese mediche e scolastiche, e ritenendo attendibili le dichiarazioni della persona offesa, in assenza di riscontri. In particolare, non si è tenuto conto né della necessità per il ricorrente di versare oltre 2.100 Euro mensili a titolo di rate per due mutui ipotecari, né della circostanza che, con riferimento ad uno dei due rapporti debitori, pari a 1.500 Euro mensili, 750 Euro erano a carico della L. , essendo la donna cointestataria del contratto e dell’immobile per una modestissima quota ciò, tanto più che la stessa si è sempre rifiutata sia di conferire incarico ad una agenzia immobiliare per la vendita dell’immobile su cui grava il mutuo cointestato, sia di prestare il consenso per la rinegoziazione del mutuo stesso. 2.2. Nel secondo motivo, si lamenta mancata assunzione di prova decisiva, in riferimento all’affermata sussistenza del reato, sotto il profilo del dolo. Si deduce che i giudici di merito non hanno ammesso la testimonianza dell’agente della banca Bo.An. in ordine al rifiuto della L. di prestare il consenso per la rinegoziazione del mutuo, il cui pagamento è necessario per il mantenimento della proprietà. 3. In data 28 luglio 2016, l’avvocato Marco Marocco, nominato difensore di fiducia dell’imputato dopo la fissazione dell’udienza per il giudizio di legittimità, ha depositato atto contente quattro motivi nuovi. 3.1. Nel primo motivo nuovo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., in ordine al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa. Si deduce, innanzitutto, che l’affermazione della L. , secondo cui le spese ricreative erano state oggetto di richieste scritte cui l’imputato si era opposto, ed erano state consigliate dal pediatra, è del tutto priva di riscontri documentali. Si rileva, poi, che l’esame complessivo del contenuto della deposizione dibattimentale della donna aveva evidenziato un atteggiamento ostile ed ostruzionistico della stessa, che la quantificazione dell’importo delle spese straordinarie non corrisposte, indicato in circa 3.000 Euro, era avvenuto in termini del tutto approssimativi, e che la dichiarazione circa la disponibilità a vendere l’immobile su cui gravava il mutuo cointestato è stata smentita dalle parole del teste I.C. , agente immobiliare. 3.2. Nel secondo motivo nuovo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., in ordine alla valutazione complessiva degli elementi istruttori. Si deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto né della necessità per il B. , come da lui affermato, di rivolgersi ai genitori, nel corso del 2011, al fine di fronteggiare le proprie difficoltà economiche, né del costante scoperto di conto corrente dello stesso per un importo superiore a 15.000 Euro, né dell’assenza di accertamenti sui redditi da lui percepiti nel corso del 2011, né della richiesta della L. di ottenere 4.000 Euro per cedere la quota di sua pertinenza dell’immobile su cui gravava il mutuo cointestato. 3.3 Nel terzo motivo nuovo, si lamenta mancata assunzione di prova decisiva, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d , c.p.p., in ordine alla denegata audizione del teste Bo.An. . Si deduce che la deposizione del Bo. sarebbe stata decisiva perché avrebbe evidenziato sia la situazione di difficoltà economica in cui versava il B. , sia l’atteggiamento ostruzionistico della L. nella pratica di rinegoziazione del mutuo cointestato. 3.4. Nel quarto motivo nuovo, si lamenta violazione di legge, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p., in ordine alla sussistenza del dolo del reato addebitato. Si deduce che agli atti non risulta alcun elemento da quale ritenere la volontà del B. di non adempiere, e che, anzi, il ricorrente ha fatto tutti gli sforzi possibili, tanto che, alla fine, e dopo i conguagli effettuati, il debito residuo, secondo la stessa parte lesa, ammonterebbe a circa 200 Euro l’omissione nei versamenti è stata limitata nel tempo, e solo per le difficoltà economiche sopraggiunte. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto oggetto di contestazione e di condanna nei giudizi di merito non è previsto dalla legge come reato. 2. Al B. è stato contestato il reato di cui all’art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, sin dalla fase dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Anche le successive sentenze di condanna emesse nei confronti del medesimo da parte del Tribunale e della Corte d’appello di Trieste hanno qualificato il fatto a norma dell’art. 3 della legge n. 54 del 2006. Dagli atti emerge con chiarezza che il B. era legato alla denunciante L.E. non da rapporto di coniugio, bensì da rapporto di convivenza. Deve escludersi, però, che l’art. 3 della legge n. 54 del 2006 si riferisca anche alla violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza. Invero, la disposizione in esame, in forza della quale in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, n. 898 , deve essere letta nel contesto della disciplina dettata dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, e, in particolare, dell’art. 4, comma 2, che recita Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati . L’enunciato linguistico dell’art. 4, comma 2, cit. risulta introdurre una distinzione tra le diverse classi di ipotesi precisamente, da un punto di vista sintattico, le disposizioni della legge n. 54 del 2006 sono indicate come da applicare non in caso di figli di genitori non coniugati - come, invece, in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio - ma ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati . Tale precisazione non risulta essere una formula verbale priva di possibili significati rilevanti, poiché la disciplina dettata dalla legge n. 54 del 2006 - oltre a prevedere le disposizioni penali di cui all’art. 3 e le disposizioni finali di cui all’art. 4 - regola, all’art. 1, i provvedimenti che il giudice deve adottare in relazione ai figli allorché interviene la separazione tra i genitori, modificando l’art. 155 cod. civ. e introducendo gli artt. 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies, e 155-sexies cod. civ., nonché, all’art. 2, profili processuali relativi alle controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento, modificando l’art. 708 cod. proc. civ., e introducendo l’art. 709-ter cod. proc. civ. Può allora concludersi che, mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla legge n. 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai procedimenti relativi agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla legge n. 54 del 2006, e che sono quelli civili di cui all’art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale. La soluzione appena indicata, oltre ad essere attenta al dato testuale delle disposizioni di legge, risponde anche al principio del cd. diritto penale minimo e non lede la posizione sostanziale dei figli di genitori non coniugati, per la cui tutela è possibile il ricorso a tutte le azioni civili, e ferma restando, inoltre, l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 570, secondo, comma, n. 2, c.p. 3. Deve escludersi, poi, che, nel caso in esame, il fatto possa essere riqualificato a norma dell’art. 570, secondo comma, n. 2, c.p Da un lato, infatti, è altamente opinabile procedere ad una riqualificazione del fatto di reato direttamente con la sentenza della Corte di cassazione, ed avendo riguardo ad una fattispecie più grave di quella contestata nel corso di tutto il processo. Dall’altro, poi, in ogni caso, nella sentenza impugnata sono evidenziati solo ritardi parziali nell’adempimento, e, alla fine del periodo, un inadempimento complessivo pari a 200 Euro, ovvero a 270,35 Euro considerando anche gli incrementi ISTAT. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.