Rinnovazione dibattimentale in caso di prove dichiarative fondanti il giudizio di responsabilità

Pur se il perito o il consulente tecnico sentiti in dibattimento hanno la veste di testimoni che esprimono un parere tecnico in giudizio, la loro posizione non è assimilabile al concetto di prova dichiarativa” per la cui assunzione deve procedersi a rinnovazione in appello.

Il caso. La questione affrontata dalla Corte sentenza n. 1691/2017, depositata il 13 gennaio scorso nasce da un caso di reformatio in pejus di una sentenza di primo grado che ha visto assolvere dal reato di omicidio colposo alcuni medici, condannati invece, in appello, sulla scorta di una diversa valutazione delle perizie in atti. Una delle doglianze delle parti ricorrenti si è fondata essenzialmente sulla violazione di legge dell’art. 111 e dell’art. 533 c.p.p., nonché dell’art. 6 CEDU, in ordine al rigetto, da parte del giudice di appello, della richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale proposta dal PM al fine di effettuare una nuova consulenza tecnica senza procedere, altresì, ad una nuova audizione dei consulenti del PM, dalle cui conclusioni, nella propria sentenza, si era invece discostato. Obbligo di motivazione. Come da giurisprudenza consolidata, in caso di riforma totale della sentenza, con conseguente ribaltamento del giudizio di primo grado, da parte del giudice di appello, questi ha l’obbligo di dare conto, in maniera specifica, delle basi del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente gli argomenti rilevanti della motivazione della prima sentenza che hanno portato ad una conclusione diversa. Questi, invero, potendo valutare in maniera completamente diversa le prove documentali e dichiarative in atti, tuttavia, ove si discosti del tutto, deve motivare in maniera puntuale e precisa il proprio contrasto con la decisione di primo grado. Rovesciamento del giudizio assolutorio in pejus e assunzione di prova dichiarativa. Sul punto, la Corte, facendo riferimento alle doglianze di parte, ha analizzato il principio espresso dalla Corte EDU nei casi di ribaltamento del giudizio assolutorio ove tale rovesciamento sia basato su prove dichiarative. In tali casi, ricorda, è necessaria la nuova audizione dei testimoni nel giudizio di impugnazione. Al contrario, infatti, s’incorre nella violazione dell’art. 6, par. 3, lett. d , CEDU, la quale assicura all’imputato di poter esaminare e fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione dei testimoni a discarico. Tale principio, acquisito dalla giurisprudenza di legittimità, comporta che il giudice di appello non possa pervenire ad una condanna basandosi esclusivamente o in modo determinante su una differente valutazione di un prova dichiarativa della quale non abbia proceduto ad una rinnovata assunzione, seppur d’ufficio. Rinnovazione dei testimoni. La necessità di rinnovare la prova dichiarativa in appello riguarda, tuttavia, solamente i testimoni puri” o assistiti” e i coimputati di reato connesso e, seppure si possa prospettare anche nell’ambito di un giudizio abbreviato, deve però trattarsi di apporti dichiarativi assolutamente decisivi. Si deve trattare cioè di quelli il cui valore probatorio, in sé considerato, non possa formare oggetto di valutazioni differenti tra primo e secondo grado e si combini con altre fonti di prova non adeguatamente valorizzate. Riassunzione di periti in secondo grado? Con riguardo, invece, alla riassunzione di prove peritali, la situazione è parzialmente differente. Infatti, in primo luogo, essendo il giudice peritus peritorum , può anche discostarsi dalle conclusioni del tecnico, purché, ovviamente, ne dia adeguata motivazione. Premesso ciò, in appello, quindi, la rinnovazione di una perizia può essere disposta solo laddove il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. In tal caso, l’eventuale rigetto della relativa richiesta, se logicamente e congruamente motivato, non può essere censurato in sede di legittimità. Infatti, tale ultimo giudice non può stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito, ma solo che l’argomentazione dallo stesso prospettata sia logica e razionale. Sulla prova peritale. In definitiva, dice la Corte, la prova peritale, a differenza di quella del mero testimone, non può considerarsi una prova dichiarativa nel senso dato dalla giurisprudenza della Corte EDU richiamata dal ricorrente, in quanto tale prova consta non solo della deposizione resa in giudizio, ma anche e soprattutto della relazione che ne costituisce parte integrante e che può essere differentemente valutata dal giudice di primo e secondo grado senza comportare una necessaria rinnovazione. In base a ciò, dunque, la Corte perviene a stabilire che la posizione del perito non è del tutto assimilabile a quella del testimone e, pertanto, non viola l’art. 6 della CEDU, tenuto altresì conto che la giurisprudenza di legittimità non lo inserisce tra i soggetti la cui audizione è necessaria in appello in caso di diversa valutazione della prova.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 settembre 2016 – 13 gennaio 2017, numero 1691 Presidente Lapalorcia – Relatore Morelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro del 16.7.14, che aveva condannato alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, A.A. , in quanto colpevole del reato di lesioni gravi in danno di R.C. , così derubricata l’originaria imputazione di omicidio preterintenzionale, ed aveva assolto O.S.L. , C.A. e F.M. dall’addebito di omicidio colposo in danno della stessa R. perché il fatto non sussiste. La Corte d’Assise d’Appello ha invece riconosciuto la responsabilità dell’Abbruzzo per omicidio preterintenzionale e degli altri tre imputati per omicidio colposo. 1.1. Secondo quanto ricostruito dal giudice di primo grado, A. aveva avuto una accesa discussione con S.G. e lo aveva aggredito con pugni e calci era intervenuta la moglie dello S. , R.C. , e l’imputato aveva colpito anche lei con un pugno facendola rovinare a terra. La donna era stata ricoverata al Pronto Soccorso dell’Ospedale omissis , ove era stata visitata dalla dr.ssa O.S. ed era stata sottoposta ad accertamenti radiografici refertati dalla dr.ssa C. . Entrambi i coniugi, rimasti feriti dopo l’aggressione da parte dell’A. , erano stati dimessi il giorno stesso, il , ma la R. era rientrata presso la propria abitazione con una ambulanza privata, visti i forti dolori che permanevano e, fino al omissis , era rimasta a letto, finché era stata nuovamente ricoverata in Ospedale ove le era stata diagnosticata la frattura del femore, non rilevata in occasione del primo ricovero la paziente, sottoposta ad intervento chirurgico, era morta il omissis . 1.2. La Corte d’Assise, pur ammettendo l’esistenza di un errore diagnostico da parte delle dr.sse O.S. e C. , che non si avvidero della rottura del femore, ben evidente nelle lastre, esclude vi sia prova certa dell’esistenza del nesso causale fra tale condotta colposa e il decesso della paziente, facendo proprie le conclusioni dei consulenti del PM secondo cui il decorso delle condizioni della R. non era quello tipico della diagnosi tardiva della frattura del femore in altre parole, le complicanze a seguito delle quali era intervenuto il decesso non sarebbero state chiaramente riconducibili alla tardività della diagnosi, peraltro imputata a titolo di colpa anche al dr. F. , il medico di base che seguì la R. durante la permanenza a casa. Così concluso rispetto al reato di omicidio colposo, il giudice di primo grado esclude l’ipotesi di omicidio preterintenzionale, in quanto la condotta dell’A. avrebbe rappresentato una mera occasione rispetto agli eventi che condussero alla morte la parte offesa, e pronuncia condanna soltanto con riguardo al diverso reato di lesioni gravi. 2. Adita su appello del Procuratore generale e del difensore dell’imputato condannato, la Corte d’Assise d’Appello ha, invece, ritenuto fondata l’accusa nei termini originariamente contestati, sulla base del medesimo compendio probatorio. In estrema sintesi, questi i dati su cui si fonda la sentenza impugnata - le radiografie effettuate sulla R. in occasione del ricovero presso il Pronto Soccorso evidenziavano chiaramente la rottura del femore - vi fu quindi un colpevole errore diagnostico da parte del radiologo dr.ssa C. che redasse il referto e del medico di Pronto Soccorso, dr.ssa O.S. , che si accontentò di tale risultato nonostante fosse in netto contrasto con le condizioni della paziente, la quale lamentava forte dolore e non era in grado di muoversi - analogamente versava in una situazione di colpa il medico di base, dr.F. , il quale non tentò un diverso inquadramento diagnostico e non sollecitò ulteriori accertamenti pur essendo stato chiamato a visitare la parte offesa, sempre allettata e sempre sofferente nell’arco di quasi un mese - il omissis , dopo il secondo ricovero e dopo che l’intervento di riduzione della frattura era stato eseguito il giorno , la paziente era stata ricoverata in rianimazione e posta in condizioni di corna farmacologico in quanto erano subentrate disartria e insufficienza respiratoria, successivamente era stato evidenziato un quadro di atelettasia cioè il collasso degli alveoli polmonari bilaterale e le condizioni della donna erano peggiorate inesorabilmente sino al decesso - la atelettasia dei lobi polmonari, che viene individuata come causa del decesso, in assenza di altri fatti morbosi idonei a cagionarlo, è ricollegata alla immobilizzazione da allettamento e rappresenta una delle complicanze tipicamente associate al ritardo nella esecuzione del trattamento chirurgico delle fratture del femore - di qui il giudizio di colpevolezza dei tre medici, per avere colposamente determinato la morte della paziente, costituendo i presupposti per il ritardo nell’effettuazione dell’intervento chirurgico - quanto all’A. , non è vero che fra la sua condotta e la morte della donna si siano inseriti fattori potenzialmente idonei ad esplicare efficacia causale esclusiva rispetto ad essa, sicché egli deve essere condannato per omicidio preterintenzionale. Propongono tempestivo ricorso i difensori dei quattro imputati. 3. Il ricorso presentato nell’interesse di A. si articola su quattro motivi. Con il primo motivo si deducono vizi motivazionali con riferimento al ribaltamento del giudizio di primo grado sulla base di dati travisati e, comunque, contraddittori, posto che, si sostiene, l’atelettasia non poteva essere conseguenza del prolungato allettamento, dal momento che la paziente non presentava piaghe da decubito all’atto del secondo ricovero. Si nega, quindi, che la prolungata permanenza a letto, dovuta all’errore diagnostico, costituisca la causa del decesso. 3.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in quanto la Corte d’Appello avrebbe ingiustificatamente riconosciuto l’esistenza del nesso di causa fra la condotta del ricorrente e il decesso, essendo stato comunque interrotto dalle condotte colpose in capo ai sanitari. 3.2. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 584 c.p. in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato tale norma. 3.3. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’articolo 69 c.p. per il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 4. I ricorsi proposto nell’interesse di C. e di O.S. hanno contenuto analogo. Si deduce la violazione dell’articolo 111 Cost. e dell’articolo 533 c.p.p. nonché dell’articolo 6 CEDU in quanto la Corte d’Assise d’Appello avrebbe modificato la sentenza di assoluzione pronunciata in esito al giudizio di primo grado dopo avere rigettato la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale proposta dal PM e volta all’effettuazione di una nuova consulenza tecnica senza procedere, inoltre, ad una nuova audizione dei consulenti del PM, dalle cui conclusioni si era discostata ritenendole edulcorate in vantaggio degli imputati. 4.1. Si deduce, altresì, violazione di legge, manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova laddove i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la causa del decesso fosse la atelettasia dovuta al prolungato allettamento e non piuttosto a complicanze neurologiche insorte dopo il secondo ricovero. Tale seconda interpretazione, esplicitamente menzionata dai consulenti tecnici, sarebbe più consona rispetto alla riscontrata assenza di problematiche respiratorie al momento del secondo ricovero. Il percorso logico del giudice di appello non apparirebbe, quindi, dotato di una maggiore forza persuasiva tale da superare le conclusioni del giudice di primo grado, essendo fondato su dati contrastanti e neppure approfonditi in fase dibattimentale. 5. Il ricorso nell’interesse di F. evidenzia la perdurante incertezza circa il nesso di causa fra le condotte dei medici che ebbero in cura la R. ed il decesso ed, altresì, l’erronea disapplicazione del principio dell’affidamento, che avrebbe dovuto indurre i giudici di secondo grado ad escludere la responsabilità del medico di base, il quale nulla avrebbe potuto e dovuto fare per disattendere la diagnosi dei medici specialisti. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali, avendo la Corte condannato l’imputato senza prova di colpa grave, anche con riferimento ai principi enunciati nella legge Balduzzi . Con il quarto motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali quanto al trattamento sanzionatorio. 5. La difesa O.S. ha depositato, in data 11.8.16, una memoria difensiva in cui chiede l’annullamento della sentenza per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio , richiamandosi alla motivazione della sentenza delle Sezioni Unite numero 27620 del 28.4.16. 5.1. È stato depositato, da parte del rappresentante della associazione Codici Salute, un atto denominato atto di costituzione , con cui si eccepisce l’inammissibilità ed l’infondatezza dei ricorsi e se ne chiede il rigetto, di nessun valore processuale in quanto l’associazione era stata estromessa, quale parte civile, dal giudizio d’appello. Considerato in diritto 1. Prioritario appare l’esame del tema proposto nei ricorsi di O.S. e C. relativo alla asserita violazione degli artt. 111 Cost. e 6 CEDU. In proposito, val la pena di prendere le mosse dalla sentenza delle Sezioni Unite del 28.4.16 numero 27620, Dasgupta, che ha posto alcuni punti fermi sull’argomento ed è stata ampiamente citata anche nella memoria depositata dalla difesa O.S. . 1.1. A partire dalla sentenza Dan c. Moldavia, la Corte EDU ha affermato che il rovesciamento del giudizio assolutorio basato sulla valutazione di prove dichiarative postula necessariamente la nuova assunzione diretta dei testimoni nel giudizio di impugnazione, si incorre, altrimenti, nella violazione dell’articolo 6 par. 3 lett. d CEDU, che assicura il diritto dell’imputato ad esaminare e a far esaminare i testimoni a carico e ad ottenere la convocazione dei testimoni a discarico. 1.2. Basandosi su tale principio, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che il giudice d’appello non può pervenire a condanna in riforma della sentenza assolutoria di primo grado basandosi esclusivamente o in modo determinante su una diversa valutazione delle fonti dichiarative delle quali non abbia proceduto, anche d’ufficio, ad una rinnovata assunzione. 1.3. Nella sentenza delle Sezioni Unite sopra richiamata, si è affermato che - il mancato rispetto da parte del giudice dell’appello del dovere di procedere alla rinnovazione delle fonti dichiarative in vista di una reformatio in pejus va inquadrato non nell’ambito di una violazione di legge ma in quello di un vizio di motivazione - l’esigenza di rinnovazione della prova dichiarativa riguarda i testimoni puri , i testimoni assistiti , i coimputati di reato connesso e si può prospettare anche nell’ambito di un giudizio abbreviato o in caso di impugnazione ai soli effetti civili - il dovere di rinnovare gli apporti dichiarativi si configura con riguardo a quelli decisivi, non potendosi ritenere tali quelli il cui valore probatorio, in sé considerato, non possa formare oggetto di diversificate valutazioni fra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste ultime, nella valutazione del giudice d’appello, un significato risolutivo ai fini dell’affermazione di responsabilità. 2. I principi esposti debbono essere adattati al caso concreto, in cui si verte in tema di mancata riassunzione dei consulenti tecnici sentiti in primo grado e di mancato espletamento di una perizia medico legale, ed andranno quindi letti in unione a quelli espressi dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla valutazione, da parte del giudice, di perizie e consulenze. Il principio di libera valutazione della prova concerne anche la prova tecnica e, pertanto, il giudice, quale peritus peritorum , può esprimere il proprio giudizio in motivato contrario avviso rispetto a quello del perito Sez. 2, numero 12991 del 19/02/2013 Rv. 255196. In tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità Sez. 4, Sentenza numero 8527 del 13/02/2015 Rv. 263435. Nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti La S.C. ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto . Sez. 2, numero 36630 del 15/05/2013 Rv. 257062. In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato Sez. 5, Sentenza numero 6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722. 2.1. Naturalmente, resta ferma la regola di giudizio secondo cui il giudice d’appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente gli argomenti rilevanti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni dell’incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento Sez. U. numero 33748 del 12.7.05 Rv. 231679 . In tal senso tutta la giurisprudenza successiva, fra cui, da ultimo Sez. 6, numero 8705 del 24/01/2013 Rv. 254113 Nel giudizio di appello, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito al processo, la riforma della sentenza assolutoria di primo grado, una volta compiuto il confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, impone al giudice di argomentare circa la configurabilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano minato la permanente sostenibilità del primo giudizio vedi anche Rv. 233083 Rv. 262524 Rv.256869 . 3. Così ripercorsi i principi di diritto che debbono trovare applicazione nel caso in esame, si deve ritenere che, pur se il perito ed i consulenti tecnici sentiti in dibattimento hanno la veste di testimoni Sez. 1, numero 26845 del 16/05/2002 Rv. 221737 , la loro relazione forma parte integrante della deposizione ed inoltre essi sono chiamati a formulare un parere tecnico rispetto al quale il giudice può discostarsi purché argomenti congruamente la propria diversa opinione. La loro posizione non è, quindi, totalmente assimilabile al concetto di prova dichiarativa espresso nella sentenza Dasgupta, tanto è vero che nella motivazione delle Sezioni Unite, laddove si elencano i casi in cui è necessaria la rinnovazione della prova dichiarativa, non si menzionano periti e consulenti. 3.1. Nel merito, va evidenziato come vi sia piena concordanza fra le due sentenze di merito circa il fatto che vi fu un errore di diagnosi da parte delle dottoresse O.S. e C. , le quali non si avvidero della frattura del femore ben evidente nelle radiografie, e che si trattò di un errore dipeso da colpa. Parimenti condivisa dai giudici di merito l’affermazione per cui vi fu una sofferenza polmonare atelettasia che portò la R. alla morte. Il punto su cui divergono le valutazioni dei giudici di merito è rappresentato dalla sussistenza del nesso causale fra l’errore diagnostico e il decesso, in quanto la Corte d’Assise ritiene che soltanto astrattamente la sofferenza polmonare, causa del decesso, possa essere ricondotta al prolungato allettamento, dal momento che la paziente, all’atto del secondo ricovero, versava in buone condizioni e la radiografia al torace non dava indicazioni di segno contrario. Vi sarebbe, quindi, una soluzione di continuità fra l’allettamento e, a monte, l’omessa diagnosi, rispetto alla sofferenza polmonare che portò al decesso. La Corte d’Assise d’Appello ribalta il ragionamento sulla scorta di elementi fattuali e di considerazioni logiche tratte dalle consulenze scritte e dalle deposizioni rese dai consulenti nel giudizio di primo grado sono stati sentiti il consulente del PM, il consulente della parte civile e il consulente della difesa . Si afferma che - il ritardo nell’effettuazione dell’intervento chirurgico aumenta le complicanze associate all’allettamento, fra le quali le atelettasie polmonari - la letteratura scientifica attesta uniformemente che la chirurgia precoce è associata ad un più basso tasso sia di mortalità che di complicanze dopo 24 ore la mortalità aumenta del 30%, dopo 48 ore raddoppia mentre per ritardi ulteriori non esiste una casistica, trattandosi di eventi assai rari - il ritardo nell’intervento praticato alla R. , dovuto all’errore diagnostico, è stato ben superiore alla soglia di tre giorni indicata dalla letteratura. Alla affermazione fatta del giudice di primo grado secondo cui non sono stati rilevati nel decorso clinico della R. dati oggettivi idonei a dimostrare l’effettiva verificazione, in concreto, delle ipotesi patologiche astrattamente formulabili come complicanze indotte dalla frattura non diagnosticata , la Corte d’Assise d’Appello replica che nella relazione del consulente del PM si legge che la atelettesia riscontrata nella TAC eseguita il 1°dicembre in occasione del secondo ricovero quella che portò alla morte la paziente , era, per le sue caratteristiche, non certo recente ma dovuta alla prolungata immobilizzazione e tale quadro patologico non poteva essere evidenziato semplicemente da un RX toracico pag.18 . Risulta così ampiamente superato l’argomento utilizzato dai primi giudici e dalla difesa per sostenere che la sofferenza polmonare più scientificamente atelettasia non potesse essere dipesa dal prolungato allettamento viste le buone condizioni generali della paziente all’atto del secondo ricovero e la negatività dell’RX toracico. I contrari argomenti sostenuti a pag.13 del ricorso C. difettano di specificità, laddove si contesta, in termini generici e non documentati, l’affermazione per cui non sarebbe dimostrato che una sofferenza polmonare di quel tipo non avrebbe potuto essere evidenziata da una semplice radiografia toracica. Il ricorso è parimenti generico laddove afferma che l’assenza di dispnea, tosse o piaghe da decubito queste ultime genericamente evocate nel ricorso A. contrasti con l’ipotesi di una sofferenza polomonare dovuta al prolungato allettamento. Evidenzia, altresì, la Corte d’Assise d’Appello che la diversa ipotesi prospettata dai giudici di primo grado, come idonea a giustificare l’insorgenza dell’atelettasia in alternativa al prolungato allettamento, vale a dire quella di un danno neurologico non meglio precisato, sia stata svalutata dallo stesso consulente del PM, che l’ha definita, nel corso della deposizione dibattimentale, suggestiva e priva di riscontri strumentali o anatomopatologici pag. 18 . La Corte di secondo grado ritiene, conclusivamente, che le approfondite valutazioni scientifiche contenute negli elaborati scritti dei consulenti del PM siano suffragate da coerenti ed univoci accertamenti di carattere strumentale e anatomopatologico e siano state ingiustificatamente svalutate dal primo giudice in ragione di alcune valutazioni dubitative espresse nel corso dell’esame. Tali valutazioni sono tuttavia specificamente esaminate e superate a pag.20 della sentenza impugnata. 3.2. Si può, allora, concludere che l’avvenuta reformatio in pejus della sentenza di primo grado, in assenza di una rinnovazione dell’istruttoria con la nuova escussione dei consulenti o l’effettuazione di una perizia medico legale, non viola l’articolo 6 CEDU data la peculiarità della prova testimoniale rappresentata dalle deposizioni di periti e consulenti. La Corte di secondo grado ha fondato il proprio giudizio su elementi e circostanze la ricostruzione degli avvenimenti, l’individuazione della causa della morte, le teorie scientifiche esposte, i riscontri strumentali ed anatomopatologici già valutati dal primo giudice, discostandosi, in forma argomentata, dal giudizio espresso dalla Corte d’Assise soltanto con riferimento a talune osservazioni dei consulenti in dibattimento. In altre parole, il dubbio circa la sussistenza del nesso causale è sorto sulla base di alcune precisazioni fornite dai consulenti in dibattimento che, tuttavia, la sentenza impugnata ha smentito alla luce delle stesse affermazioni contenute nelle relazioni, oltre che dei principi scientifici enunciati e dei riscontri ottenuti in sede di indagine medico legale. Non si tratta, quindi, di un caso in cui la riforma della sentenza si è fondata esclusivamente o in modo determinante sulla rilettura della prova dichiarativa. 3.3. Quanto esposto, consente di ritenere, inoltre, che la Corte d’Assise di Appello si sia attenuta alla regola di giudizio di cui al punto 2.1. proponendo una adeguata motivazione anche confrontandosi con i principi in tema di nesso di causalità nei reati omissivi pagg. 21-22-23 . Debbono essere, quindi, rigettati i ricorsi presentati nell’interesse delle dottoresse O.S. e C. . 4. Diversa appare la posizione del terzo imputato medico, il dr. F. , medico curante della signora R. , al quale si addebita di non avere prescritto una visita specialistica al fine di pervenire ad una esatta diagnosi, pur avendo seguito la paziente nei 18 giorni di degenza a casa ed avendone ben presenti le condizioni di sofferenza. Pur ammessa la sussistenza del nesso di causa fra il ritardo nell’effettuazione dell’intervento chirurgico, il prolungato allettamento e la morte, la sentenza impugnata non chiarisce il giudizio controfattuale in base al quale ritenere che se il medico di base avesse prescritto la visita specialistica in un momento precedente rispetto al giorno 25 novembre, giorno in cui la paziente venne visitata da uno specialista che prescrisse l’effettuazione di una TAC all’anca e al bacino, l’evento morte non si sarebbe verificato. Non è chiaro, infatti, in quali e quante occasioni la R. venne visitata dal dr.F. e se le visite fossero apprezzabilmente precedenti il secondo ricovero, così da poter sostenere che una tempestiva iniziativa del medico di base avrebbe scongiurato l’evento. 4.1. Il tema andrà approfondito nel corso del giudizio di rinvio ed appare assorbente rispetto alle altre censure dedotte nel ricorso. 5. Il ricorso presentato nell’interesse di A. è infondato, da un lato in quanto ripropone, in parte, le medesime censure già analizzate circa l’esistenza e la prova del nesso causale, dall’altro in quanto si richiama a principi, in materia di interruzione del nesso causale, contrari a quelli costantemente enunciati da questa Corte. 5.1. Ai fini dell’integrazione del reato di omicidio preterintenzionale è necessario che l’autore dell’aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o a ledere e che esista un rapporto di causa ed effetto fra tali atti e l’evento letale, senza necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dell’evento di percosse o lesioni voluto dall’agente Sez. 5, numero 41017 del 12/07/2012 Rv. 253744 . È ormai superata, nella giurisprudenza di legittimità, la teoria per la quale in passato si riteneva che l’omicidio preterintenzionale fosse punibile a titolo di dolo misto a colpa. Si è infatti pervenuti, da ultimo, all’approdo interpretativo secondo cui l’elemento psicologico del reato in questione è costituito soltanto dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni In tema di omicidio preterintenzionale articolo 584 cod. penumero , l’elemento soggettivo è costituito, non già da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’articolo 43 cod. penumero assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato Sez. 5, numero 13673 del 08/03/2006, Haile, Rv. 234552 . In quest’ambito va accertato se e in che misura influisca l’eventuale operato negligente dei sanitari ai fini di escludere il nesso causale. In tema di omicidio preterintenzionale, l’omesso rispetto da parte della vittima delle cure e delle terapie prescritte dai sanitari non elide il nesso di causalità tra la condotta di percosse o di lesioni personali posta in essere dall’agente e l’evento morte, non integrando detta omissione un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale Sez. 5, numero 35709 del 02/07/2014 Rv. 260315 . In tema di omicidio preterintenzionale, le eventuali negligenze dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta di percosse o di lesioni personali posta in essere dall’agente e l’evento morte, non costituendo un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale Sez. 5, Sentenza numero 39389 del 03/07/2012 Rv. 254320 . In tema di omicidio doloso, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta lesiva posta in essere dall’agente e l’evento morte Sez. 1, numero 36724 del 18/06/2015 dep. 10/09/2015, Rv. 264534 . 5.2. La difesa A. si duole altresì del mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante, sostenendo che non sarebbe stato adeguatamente valorizzata la giovane età dell’imputato e l’assenza di qualsiasi collegamento con persone o reati di particolare allarme sociale. Si sostiene che vi sarebbe stata, da parte della Corte d’Assise d’Appello, una errata applicazione dell’articolo 69 c.p Da un lato, va osservato che nella sentenza impugnata vi è specifica motivazione sul punto il giudizio di equivalenza è dettato dalla particolare carica aggressiva che l’imputato rivolse contro i coniugi S. - R. , molto più anziani e deboli fisicamente, e dal completo disinteresse che dimostrò nei loro confronti dopo averli spinti a terra. D’altro canto, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello per cui Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto Cass. Sez. U, numero 10713 del 25/02/2010 Rv. 245931. 6. Va infine osservato che il reato di omicidio colposo non è, allo stato, prescritto, in quanto al termine ordinario, scaduto il 28.6.16, debbono essere aggiunti ulteriori 228 giorni di sospensione, dovuta ad astensione dei difensori dalle udienze nei due gradi di giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.M. con rinvio ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro per nuovo esame. Rigetta i ricorsi di A.A. , O.S.L. e C.A.M. , che condanna singolarmente al pagamento delle spese processuali.