La prescrizione sfugge al divieto di reformatio in pejus

In assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, il Giudice d’appello può anche più gravemente qualificare il fatto od applicare una circostanza aggravante prima non riconosciuta, purché non aumenti la pena irrogata. Tuttavia, non può essere escluso l’allungamento dei termini prescrizionali, a sfavore dell’imputato.

Così la Cassazione, sez. IV Penale, n. 1320/2017, depositata il 12 gennaio. La vicenda processuale. Le spericolate manovre del guidatore di un motoscafo avevano messo a repentaglio l’incolumità dell’equipaggio cagionando l’affondamento del natante. Solo il provvidenziale intervento di altro natante aveva evitato il peggio. Il giudice di primo grado condanna il guidatore per il reato di disastro colposo ex art. 449 c.p., escludendo la ricorrenza dell’aggravante del secondo comma – sommersione o naufragio di nave -. La pubblica accusa non impugna l’atto. In appello il giudice del gravame qualifica distintamente il fatto, ai sensi dell’art. 428, terzo comma, c.p. – Naufragio, sommersione o disastro aviatorio -, riconoscendone la fattispecie aggravata in termini che il giudice di primo grado aveva formalmente escluso. Di fatto, però, la pena non muta. Tuttavia il ricorrente in Cassazione contesta la violazione del divieto di reformatio in pejus ex art. 597, terzo comma, c.p. in quanto applicata dal giudice d’appello una fattispecie penale astrattamente meno grave che col concorso dell’aggravante del terzo comma – non riconosciuta dal primo giudice – aveva raggiunto il trattamento sanzionatorio determinato dal primo giudice. In breve, il giudice d’appello avrebbe violato il divieto ex art. 597, terzo comma, cit. siccome avrebbe rinvenuto un’aggravante esclusa in primo grado, nonostante a valle del sillogismo giudiziario la pena non sia stata mutata nella quantità. La Cassazione rigetta. Il divieto di reformatio in pejus osservare solo la pena concretamente applicata. Come noto, il giudice d’appello – in caso di mancata impugnazione della pubblica accusa - non può irrogare una pena più grave per specie o quantità. Tantomeno non applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, revocare benefici già concessi o prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole. Invece può – iura novit curia - dare al fatto una qualificazione giuridica diversa ed anche più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado. Costante o minore la pena irrogata, al giudice non sono posti limiti di qualificazione giuridica del fatto contestato. Impossibile superare il limite sanzionatorio già fissato in primo grado, modificabile solo in melius per l’imputato. In assenza di appello del pubblico ministero, se la soglia sanzionatoria già fissata dal primo giudice non può essere superata - pur qualificato più gravemente il fatto - in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato su circostanze o reati in continuazione, invece, la pena deve essere necessariamente diminuita in corrispondente quantità v. art. 597, comma 4, c.p.p. . Il divieto di reformatio in pejus non concerne la prescrizione del reato, che può divenire più lunga. Nel caso in oggetto la Cassazione deduce anche l’assenza di effetti sui termini prescrizionali del reato, come diversamente qualificato. Va per altro chiarito come il divieto di reformatio in pejus non concerne ogni aspetto del trattamento penale nel suo complesso, dunque non concerne la prescrizione. Dalla diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto non può di certo derivare un trattamento sanzionatorio peggiorativo, può tuttavia dedursi un allungamento dei termini prescrizionali, eventualmente determinando a sfavore dell’imputato la mancata integrazione della causa estintiva del reato del decorso del tempo necessario a prescrivere.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 ottobre 2106 – 12 gennaio 2017, n. 1320 Presidente Blaiotta – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Reggio Calabria con la sentenza impugnata, pronunciata in data 17.11.2015, su appello dell’imputato, confermava integralmente la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria che aveva riconosciuto S.G. colpevole del reato di disastro colposo a seguito di un comportamento imprudente alla guida dell’imbarcazione di diporto nelle acque frontistanti la costa che, anche in ragione delle avverse condizioni del mare, aveva determinato l’affondamento totale della imbarcazione e la messa in pericolo delle persone che si trovavano a bordo le quali, unitamente al proprietario del natante, erano state poste in salvo da altra imbarcazione che era sopraggiunta in loro soccorso. Assumeva il giudice di appello che ricorrevano i presupposti per riconoscere come integrata la fattispecie contestata tenuto conto delle manovre assolutamente imprudenti e gravemente avventate del S. , da cui era derivato un naufragio con sommersione del natante, condotta espressamente prevista dall’articolo 428 III comma cod.pen., come richiamato dall’articolo 449 cod.pen., evento da quale era conseguito pericolo per la pubblica incolumità intesa come messa a repentaglio della vita e della integrità fisica di tutto l’equipaggio del motoscafo, a prescindere dal numero dei passeggeri. In relazione al trattamento sanzionatorio evidenziava come la pena applicata dal primo giudice non era suscettibile di ulteriore riduzione atteso che la stessa era stata determinata in maniera illegale, e pertanto sotto il minimo edittale, trattandosi di fattispecie riconducibile al secondo comma dell’articolo 449 cod.pen. che prevedeva il raddoppio della sanzione indicata dalla ipotesi non aggravata. Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato S. articolando tre motivi di ricorso. Evidenziava preliminarmente violazione di norma processuale determinante la nullità del giudizio e della sentenza di secondo grado laddove il decreto di citazione a giudizio pervenuto allo studio del difensore di fiducia, anche ai sensi dell’articolo 157 comma VIII bis, atteneva a diverso soggetto appellante tale S.D. e in relazione a tutt’altro procedimento penale, così da impedire all’imputato e anche al difensore una partecipazione al giudizio informata ed effettiva, atteso che alla udienza fissata il S. non era presente, mentre la difesa veniva assunta da un sostituto processuale. 3. Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge sostanziale in relazione alla ritenuta integrazione del reato di cui all’articolo 449 cod.pen., con conseguente vizio motivazionale sotto il profilo della illogicità e della insufficienza della motivazione. Assumeva in particolare che mancavano i presupposti per ritenersi realizzato il fatto tipico, richiamando giurisprudenza sul punto ed evidenziando che, tutte le circostanze del caso concreto, rappresentate dallo stesso giudicante, erano inidonee ad integrare il concetto di disastro, e cioè un evento di tale eccezionalità e complessità da porre a repentaglio la vita e la incolumità di un numero indeterminato di persone. Si era invece trattato di avvenimento di modesto allarme, realizzatosi a pochi chilometri dalla costa, che aveva riguardato un natante occupato da solo cinque persone, che i passeggeri avevano indossato i salvagente ed erano stati posti in sicurezza da altro natante ivi presente. Mancavano i caratteri della vastità e diffusività del danno paventato. Con una terza articolazione il ricorrente rappresentava come il giudice di appello, pur non avendo apportato aumenti alla pena edittale applicata dal primo giudice, ma in assenza della impugnazione della Procura aveva in sostanza assegnato ai fatti contestati una diversa qualificazione giuridica in malam partem , laddove il primo giudice aveva sussunto il fatto nell’ambito dell’articolo 449 I cod.pen., escludendo la ricorrenza dell’aggravante di cui al secondo comma naufragio o sommersione di nave tanto che aveva modulato la pena sui minimi edittali previsti dalla ipotesi non aggravata. Il giudice di appello al contrario, sostenendo di dovere integrare la motivazione del primo giudice, aveva di fatto ricondotto la fattispecie, sebbene nel corrispondente profilo colposo, alla ipotesi di cui all’articolo 428 III comma cod.pen. e riconosciuto quantomeno quoad poenam la ricorrenza di una circostanza aggravante che non era dato riscontrare in termini formali nella imputazione e che il giudice di primo grado aveva sostanzialmente escluso. Così facendo il giudice di appello aveva di fatto escluso che il reato potesse prescriversi nel termine di sette anni e mezzo, come sarebbe avvenuto alla stregua della pronuncia di primo grado. Tale apporto motivazionale, del tutto indebito o comunque non richiesto, aveva rappresentato una reformatio in pejus rispetto alla prima pronuncia e come tale risultava inammissibile ai sensi dell’articolo 597 comma III cod.pen Con memoria difensiva depositata in data 7 Ottobre 2016 la difesa del S. , nell’approfondire i tempi sviluppati nei motivi di impugnazione, rappresentava che, sotto il profilo processuale, la nullità derivante dalla mancata citazione a giudizio afferiva non solo alla posizione dell’imputato ma anche a quella del difensore, anch’esso disorientato da un decreto di citazione che si riferiva ad altro processo e ad altro imputato e approfondendo le difese in relazione agli altri due profili di doglianza. Ritenuto in diritto 1. Non sussiste il dedotto vizio di violazione di legge processuale di cui al primo motivo di ricorso. Dall’esame del fascicolo processuale, consentito a fronte di dedotta inosservanza comportante la irrituale costituzione del contraddittorio nel giudizio di appello, emerge che l’originale del decreto di citazione a giudizio, spillato alla scheda riportante l’esito della notifica telematica al difensore dell’imputato, risulta certamente quello relativo all’odierno ricorrente S.G. e il titolo di reato contestato è quello oggetto dell’odierno procedimento. 2. Sotto diverso profilo manca del tutto la prova che l’addetto di cancelleria sia incorso in un errore nella trasmissione telematica, determinato da uno scambio, nella scannerizzazione o nell’invio, del foglio contenente l’avviso della citazione, dovendosi riconoscere, stante il collegamento tra l’originale del decreto di citazione a citazione e il modulo che attesta il regolare inoltro e la ricezione della comunicazione telematica, che il documento sia stato regolarmente inoltrato. 2. In relazione alla seconda articolazione con la quale si deduce violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza impugnata in punto di riconoscimento di ipotesi di disastro in presenza di sommersione di natante, le doglianze non risultano cogliere nel segno. 2.1 Va preliminarmente osservato che in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare oltre che la presenza fisica della motivazione la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell’ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento ciò in quanto l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali ex pluribus Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06 pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più corretta valutazione delle risultanze processuali. È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata Cass. SU n. 47289/03 rv 226074 . 1.2 Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad altri atti del processo , ed ha quindi, ampliato il perimetro d’intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto al testo del provvedimento impugnato . La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica e la coerenza strutturale della decisione. 3. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti, sulla base di una lettura delle emergenze processuali priva di contraddizioni enucleando, per quanto attiene la ipotesi di naufragio con sommersione del natante, del tutto coerente con quanto affermato dal costante orientamento del S.C. sez. IV, 27.2.2009, Niccolai Rv. 243214 18.11.2014, Barri, 263491 . 3.1 In particolare il giudice di appello ha posto in rilievo, con argomentazioni assolutamente prive di contraddizioni e pertanto non censurabili in questa sede che, a fronte della sommersione del natante, concreta si realizzò la messa a repentaglio della incolumità personale di tutte le persone che si trovavano sulla imbarcazione, in ragione della repentinità e della avventatezza delle manovre eseguite dal conducente, dalla distanza dalla costa, dalla assenza di mezzi di salvataggio per uno dei trasportati e delle condizioni meteo marine. 5. Neppure appare fondato il terzo motivo di ricorso che si duole di una reformatio in pejus della decisione del primo giudice in assenza della impugnazione del pubblico ministero. Invero il giudice di appello, a fronte di motivo di impugnazione che profilava la eccessività del trattamento sanzionatorio, era a precisare che, concordemente al testo della stessa imputazione, e del fatto riconosciuto nella decisione del primo giudice, si era in presenza di un evento disastroso che aveva comportato la sommersione di una imbarcazione da parte di colui che ne era proprietario e che quindi la pena, pure riconosciuta come non modificabile in eccesso, era stata determinata in misura illegale. Non si è pertanto in presenza di una diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto, atteso che è la stessa disposizione oggetto di imputazione articolo 449 cod.pen. al primo comma a fare rinvio al capo primo, per quanto concerne i fatti disastrosi considerati, e nel capo I compare la ipotesi di naufragio, sommersione e disastro aviatorio articolo 428 cod.pen. , che costituiscono specifiche tipizzazioni di eventi disastrosi i quali, se realizzati con colpa, integrano ipotesi aggravata di disastro colposo, di cui all’articolo 449 II comma cod.pen 5.1 Nessun dubbio può sussistere poi sul fatto che la ipotesi aggravata di cui all’articolo 449 II comma cod.pen. abbia formato oggetto di specifica contestazione e di esame e considerazione da parte del primo giudice, atteso che l’affondamento del natante figura come evento naturalistico contemplato in imputazione e il giudice di primo grado ne ha riconosciuto la sussistenza e ha acclarato che dal suddetto affondamento, o sommersione, era derivato pericolo per la incolumità personale dell’equipaggio. 6. D’altro canto nessuna diversa conseguenza è possibile trarre neppure in relazione al termine prescrizionale, atteso che il reato risulta adeguatamente contestato nella corretta tipizzazione disastrosa sommersione di una nave , con la conseguenza che, pure in mancanza di una completa definizione giuridica della violazione manca il riferimento al secondo comma dell’articolo 449 cod.pen. , la indicazione del fatto delinea coerentemente la fattispecie aggravata, ponendone in luce la peculiare lesività. Né è possibile affermare che il giudice di primo grado abbia inteso escludere la ipotesi di cui all’articolo 449 II comma cod.pen., aggravata in ragione della speciale caratterizzazione del danno navale, dal momento che il fatto dell’affondamento del natante, come contestato, risulta ampiamente riconosciuto in sentenza dal primo giudice, così come la messa in repentaglio della incolumità personale dell’equipaggio. 6.1 Anche ai fini della individuazione del tempo necessario a prescrivere ai sensi dell’articolo 157 II comma cod.pen., la fattispecie aggravata di disastro colposo, consistito della sommersione di natante da cui è derivato pericolo per la pubblica incolumità, risulta pertanto adeguatamente enucleata e riconosciuta in sentenza, così da dovere essere considerata nel computo sez. V, 5.3.2009 n. 4412 Albanese . Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.