Permesso di costruire: se aumenta la volumetria, è necessario

In tema di reati edilizi-urbanistici, occorre il permesso di costruire per un intervento edilizio comportante, oltre che il mutamento della destinazione d’uso, anche un aumento di volumetria e delle superfici utili del manufatto preesistente.

In particolare, è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea. Per converso, il mutamento di destinazione d'uso senza opere è assoggettato a D.I.A. ora SCIA , purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica. Lo ha ribadito, in motivazione, la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1165, depositata l’11 gennaio 2017. La difformità dal permesso di costruire. L’art. 44, lett. c , del Testo Unico dell’Edilizia TUE fissa la pena edittale per gli interventi edilizi eseguiti in totale difformità, in variazione essenziale o in assenza del permesso di costruire, nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico o ambientale. Per l’individuazione del concetto di totale difformità occorre riferirsi all’articolo 31 del TUE, a norma del quale sono interventi eseguiti in totale difformità quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione rispetto a quelle oggetto del permesso stesso. Rispetto al permesso di costruire, dunque, la difformità totale si delinea allorché i lavori riguardino un’opera diversa per conformazione e strutturazione da quella contemplata nel provvedimento in tale ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. b TUE. La difformità parziale si delinea invece allorché i lavori tendano ad apportare variazioni, circoscritte in senso qualitativo e quantitativo, alle opere così come identificate nel provvedimento in siffatta ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. a TUE. La difformità totale, in effetti, si verifica allorché si costruisca aliud pro alio , in una situazione nella quale l’esecuzione dei lavori è assistita da un permesso di costruire meramente apparente o non pertinente. Altra ipotesi è quella in cui i lavori eseguiti esulino radicalmente dal progetto approvato, nel senso che essi tendano a realizzare opere aggiuntive a quelle consentite e che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale come ad esempio allorché venga realizzato un edificio a più piani in aggiunta a quello o a quelli stabiliti dal permesso . Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi residuali, tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza da valutarsi in relazione al progetto approvato , nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. L’attuale assetto dei titoli abilitativi nel Testo Unico dell’Edilizia. Il TUE è stato oggetto di numerose e pregnanti modifiche, attuate con i d.l. n. 69/2013, d.l. n. 133/2014 e – da ultimo – d.lgs. n. 222/2016. Ai sensi del novellato art. 10 lett. c del TUE, sono oggi subordinati al permesso di costruire soltanto gli interventi di ristrutturazione edilizia che 1 portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, mediante modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti 2 nel caso di interventi su immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, soltanto quelli che comportino modificazioni della sagoma. Tale disposizione va letta sinotticamente con il novellato art. 3, lett. d , del TUE, il quale, nel caso di immobili sottoposti a vincoli ex d.lgs. n. 42/2004, fa rientrare, nella definizione di ristrutturazione, anche la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente, fatte salve – in ogni caso – le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Orbene, in caso di demolizione e ricostruzione senza modifica di volumetria e sagoma, il nuovo art. 22, primo comma, lett. c , del TUE stabilisce la necessità della sola SCIA. Dal mutato quadro normativo, si evince che il legislatore ha inteso restringere l’area degli illeciti edilizi penalmente rilevanti. Ed infatti, sono oggi subordinate a permesso di costruire e quindi soggette alle sanzioni penali di cui all’art. 44 del TUE solo le ristrutturazioni che, nel trasformare strutturalmente l’immobile, ne modifichino il volume, la superficie o la sagoma, ovvero comportino un aumento delle unità immobiliari. Viceversa come nel caso in oggetto , le ristrutturazioni mediante demolizione e ricostruzione, effettuate previa SCIA, che non aumentano la superficie o il volume dell’immobile, non danno luogo a responsabilità penale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 novembre 2016 – 11 gennaio 2017, n. 1165 Presidente Cavallo – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, con sentenza del 16/4/2015 dichiarava non luogo a procedere nei confronti di B.L. e M.S. in ordine al reato di cui agli artt. 44, lett. a e b d.P.R. 380/01 capo A della rubrica perché estinto per prescrizione ed in relazione al reato di cui agli artt. 110, 476 cod. pen. capo B della rubrica per insussistenza del fatto, nonché nei confronti di A.M. in ordine al reato di cui agli artt. 110, 481, 483 cod. pen., 19 e 21 l. 241/90 e 61 n. 2 cod. pen. capo D della rubrica perché il fatto non costituisce reato. In particolare, l’imputazione aveva ad oggetto l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di titolo abilitativo cambio di destinazione di una loggia mediante chiusura ed altre opere, rendendola parte integrante di una preesistente abitazione con ampliamento di superficie utile e volume, quest’ultimo realizzato anche mediante la modifica di destinazione di un locale accessorio destinato a magazzino , nonché la falsa attestazione, in un atto di compravendita del fabbricato interessato dai lavori, che le opere realizzate non richiedessero titoli abilitativi, risultando, al contrario, documentalmente dimostrato che le parti ed il notaio erano a conoscenza dell’effettiva situazione. L. , invece, era imputata di aver attestato falsamente, quale tecnico asseverante, la conformità agli strumenti urbanistici e la sanabilità degli interventi. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2. Premesso che l’impugnazione riguarda le sole ipotesi di falso, rileva, con un primo motivo di ricorso la violazione di legge in relazione alla contestazione di cui al capo B della rubrica, osservando che il giudice avrebbe errato nell’ancorare la propria decisione al disposto degli artt. 28 della legge notarile e 46 d.P.R. 380/01, ritenendo sussistente, in capo al notaio, l’obbligo di non rogare solo in presenza di atti espressamente proibiti dalla legge, tra i quali non rientrerebbero quelli oggetto di imputazione, non considerando che l’atto rogato, che la legge riconosce come facente fede fino a querela di falso, non potrebbe contenere od omettere circostanze delle quali tutte le parti hanno piena consapevolezza e che tutte, concordemente, stabiliscono preordinatamene di non menzionare. Osserva, inoltre, che non sarebbe irrilevante, sotto il profilo penalistico, che un atto di compravendita ometta di dar conto di difformità edilizie che possano comportare sanzioni penali o amministrative e che la soluzione interpretativa adottata trasformerebbe il notaio in mero esecutore dell’altrui volontà. 3. Quanto al capo D rileva, con un secondo motivo di ricorso, che il giudice, nell’escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non avrebbe considerato la specifica qualifica professionale rivestita dall’imputata, la quale avrebbe dovuto avere ben presente la disciplina applicata, tanto da essere chiamata ad asseverare la conformità degli interventi edilizi alla normativa urbanistica ed agli strumenti di pianificazione. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. Va premesso che i fatti presi in considerazione dal Giudice dell’udienza preliminare appaiono, nella descrizione offerta nella sentenza impugnata, unico atto al quale, unitamente al ricorso, questa Corte ha accesso, abbastanza complessi. Viene infatti dapprima presa in considerazione la qualificazione e consistenza degli interventi edilizi abusivi e lo svolgimento, invero non lineare, del procedimento amministrativo finalizzato alla loro realizzazione. Sulla base di tali premesse, poi, viene analizzata la posizione degli imputati in relazione alle due ipotesi di falso contestate, sulla cui disamina necessariamente influiscono le precedenti valutazioni. Il tutto viene sviluppato attraverso un percorso argomentativo molto articolato il quale, è il caso di osservarlo, immediatamente manifesta la evidente necessità di un approfondimento dibattimentale, poiché quanto si rileva nella motivazione della sentenza impugnata non pare affatto supportato da un quadro probatorio e valutativo da ritenersi ragionevolmente immutabile. Di ciò, tuttavia, non si duole il Pubblico Ministero ricorrente, il quale, invece, si è limitato a rilevare la erronea lettura delle disposizioni applicate dal Giudice dell’udienza preliminare per pervenire alla pronuncia di non luogo a procedere, sicché le doglianze formulate con l’atto di impugnazione vanno esaminate sotto tale profilo. 2. Ciò posto, la questione prospettata nel primo motivo di ricorso, in relazione alla ipotesi di falso contestata al capo B della rubrica, deve essere presa in considerazione verificando anche la qualificazione degli interventi edilizi oggetto di contestazione al capo A , rispetto ai quali è stata rilevata la prescrizione. Si specifica nell’imputazione che tali interventi hanno ad oggetto, testualmente 1 il cambio di destinazione di una loggia mediante chiusura, realizzazione di impianti di riscaldamento e impianto elettrico, nonché dotazione di finiture pavimento ed infissi, tali da farne parte integrante dell’abitazione e, quindi, con ampliamento di superficie utile e volumetrico 2 cambio di destinazione di un locale accessorio destinato a magazzino mediante realizzazione di impianti di riscaldamento e impianto elettrico, nonché dotazione di finiture pavimento ed infissi, tali da farne parte integrante dell’abitazione e quindi con ampliamento di superficie utile e volumetrico. Dall’indicazione della scansione temporale degli eventi fornita in sentenza si ricava anche che gli interventi erano stati eseguiti su immobile avente destinazione agricola e che agli stessi erano seguite plurime richieste di accertamento di conformità, evidentemente al fine di sanare gli abusi. La descrizione della vicenda concernente le pratiche di sanatoria, contenuta nelle pagg. 4 e 5 della sentenza, ai punti da 1 a 5 non consente tuttavia al Collegio, stante l’impossibilità di accedere agli atti, di averne chiaro lo sviluppo, atteso che si fa rifermento, al punto 1, di un incremento volumetrico in contrasto con le norme di attuazione del PRG e la richiesta sembrerebbe riguardare la sola chiusura della loggia ed una recinzione pure menzionata nell’imputazione come intervento in contrasto con la normativa regionale , nel punto 4 si parla nuovamente della loggia riferendosi ad essa come locale soggiorno ripristinato a deposito e richiamando l’esistenza di una concessione edilizia del 1991 con la quale sarebbe stata autorizzata la chiusura della loggia. Non si rinviene, invece, alcun riferimento al locale magazzino pure menzionato nell’imputazione. La sentenza evidenzia, tuttavia, nel successivo punto 6, a pag. 5, che, in ogni caso, in occasione di un successivo sopralluogo, effettuato il 9/1/2014, si era accertato che la loggia ed il locale, che avrebbero dovuto avere destinazione a deposito agricolo, sebbene utilizzati come deposito, non erano impiegati a fini agricoli e che al loro interno vi era materiale attinente all’uso abitativo, e inoltre c’erano i radiatori collegati all’impianto di riscaldamento e in una delle stanze un camino . Viene infine dato atto del successivo sequestro preventivo della loggia e del locale annesso trasformati dall’originario uso agricolo , nonché di una ennesima richiesta di sanatoria presentata il 4/12/2014 ed accolta dal Comune il 27/1/2015. 3. Sulla base di tali dati fattuali riportati in sentenza risulta pacifico che gli interventi edilizi sopra descritti avrebbero richiesto, per essere realizzati, considerate le loro caratteristiche oggettive, il permesso di costruire. Si tratta, infatti, di interventi che hanno determinato un incremento volumetrico ed un aumento delle superfici utili del preesistente manufatto, modificandone anche l’originaria destinazione d’uso. Il giudice dell’udienza preliminare non pone in discussione la abusività degli interventi edilizi, né sembra porne in dubbio la consistenza, criticando tuttavia il riferimento, contenuto nell’imputazione, alla non sanabilità dell’intervento, osservando che lo stesso sarebbe fondato sul fatto che la prima richiesta di sanatoria venne negata dall’amministrazione comunale, ma che tale diniego riguardava la chiusura della loggia, in realtà assentita e la recinzione. Viene poi dato atto del fatto che, in ogni caso, le modifiche di destinazione d’uso sarebbero comunque state sanate. All’esito di tali considerazioni, come si è già detto, viene rilevata la prescrizione dei reati urbanistici. Il G.u.p., nel ritenere insussistente il reato contestato al capo B della rubrica alle parti venditrici, ha considerato la qualificazione degli interventi edilizi ed il contenuto degli artt. 46 d.P.R. 380/01 e 28 della legge notarile, escludendo la nullità e la contrarietà a legge dell’atto notarile, che è stato poi stipulato. Ritiene il Collegio che le conclusioni cui è pervenuto il G.u.p. non siano corrette. 4. Va in primo luogo rilevato che, indipendentemente dalle considerazioni svolte in sentenza, è di tutta evidenza, considerata la formulazione dell’imputazione, che la contestazione contenuta nel capo B della rubrica riguarda un’ipotesi di falso ideologico. La sentenza impugnata, dopo tale premessa, prende in esame il contenuto dell’imputazione, laddove si contesta di aver attestato falsamente nell’atto pubblico che .tutte le opere realizzate in epoca successiva ai titoli legittimanti sull’immobile ubicato sub a non richiedessero provvedimenti abilitativi , osservando come, in realtà, nell’atto, dopo una serie di dichiarazioni concernenti i lavori effettuati in passato fino ad una denuncia per accatastamento risalente al 7/2/2007, sia presente la seguente affermazione dichiara infine che, successivamente, l’immobile non è stato oggetto di interventi che avrebbero richiesto licenza, concessione, autorizzazione, denuncia di inizio attività o richiesta di sanatoria , rilevando come, considerato quanto in precedenza osservato in relazione al capo A della rubrica, dopo il febbraio 2007 non sarebbero stati effettuati interventi che avrebbero richiesto titoli abilitativi o, comunque, tale evenienza non sarebbe stata dimostrata. Si rileva poi, quale dato fattuale pacifico, che l’immobile compravenduto era stato costruito prima del 1967, con la implicita conseguenza che, ai fini della validità dell’atto di compravendita, era richiesta l’allegazione di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante la costruzione in data antecedente al 1 settembre 1967, escludendosi così l’operatività dell’art. 46 d.RR. 380/01, che riguarda gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’17 marzo 1985. Il giudice dell’udienza preliminare esclude anche l’applicabilità dell’art. 46 citato, considerando la natura degli interventi edilizi ritenuti abusivi, che il capo A dell’imputazione indica come eseguiti il 23/6/2011 data della vendita ed in atto al 24/5/2013 , ciò in quanto non rientrerebbero tra le tipologie di interventi che la disposizione prende in considerazione. In effetti, l’art. 46 d.P.R. 380/01 si riferisce ad edifici ed a loro parti e prevede la nullità ed il divieto di stipula degli atti di disposizione che li riguardano in assenza di dichiarazione dell’alienante indicante gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Il comma 5-bis estende poi l’applicabilità delle precedenti disposizioni agli interventi edilizi realizzati mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22, comma 3, qualora nell’atto non siano indicati gli estremi della stessa. La disposizione ha tuttavia uno scopo evidente, che è quello di impedire la circolazione degli immobili abusivi, ponendo un ulteriore ostacolo al fenomeno dell’abusivismo edilizio, tutelando così l’interesse pubblico all’ordinata trasformazione del territorio, oltre che l’acquirente del bene. Se questo, dunque, è il senso della norma, è chiaro che l’ambito di efficacia della stessa deve ritenersi comprensivo anche di quegli interventi successivi alla realizzazione dell’immobile che ne abbiano determinato la trasformazione in maniera significativa e, segnatamente, quelli che, per la loro esecuzione, richiedano un titolo abilitativo specifico quale, nel caso in esame, il permesso di costruire. Diversamente, accedendo alla lettura della norma fornita dal G.u.p., la semplice regolarità originaria dell’immobile renderebbe irrilevante, per ciò che concerne l’art. 46 d.P.R. 380/01, ogni successivo intervento sull’immobile che ne modifichi l’originaria consistenza diverso dalla ristrutturazione, avendo il giudice richiamato anche il contenuto del comma 5-bis dell’art. 46 ma, così facendo, le finalità della norma potrebbero essere facilmente vanificate. 5. Per ciò che concerne, invece, il secondo motivo di ricorso, va rilevato come la decisione impugnata escluda la responsabilità dell’imputata sotto il profilo della mancanza dell’elemento soggettivo. L’imputata, come contestatole nel capo di imputazione, doveva rispondere di aver attestato falsamente, in una richiesta di sanatoria, la conformità degli interventi eseguiti agli strumenti urbanistici e la loro sanabilità, in quanto uno dei locali era stato ripristinato a deposito e la loggia dotata di titolo abilitativo, circostanze ritenute non vere, per essere la loggia legittimata solo ad uso agricolo, così come l’altro locale ed essendo entrambi rifiniti come civile abitazione e parte integrante della stessa ed avendo, così, destinazione incompatibile con quella agricola, unica legittima. La sentenza impugnata, richiamando vari dati fattuali ritenuti significativi, fa riferimento, spesso in termini meramente ipotetici, a situazioni di confusione in merito alla pratica edilizia e di fraintendimento sulla destinazione dei vani, ritenendo poi infondata la contestazione laddove riferita alla non sanabilità degli interventi perché la sanatoria era stata poi rilasciata ed osservando come l’uso dei vani era comunque di deposito, seppure non agricolo, come attestato dall’imputata. 6. Tali conclusioni non sono condivisibili in primo luogo perché, come correttamente osservato dal Pubblico Ministero ricorrente, si tratta di fatti riferiti a soggetto professionalmente qualificato rispetto al quale non può ipotizzarsi, a fronte di una formale attestazione, la mera possibilità di un equivoco o di un malinteso. Risulta peraltro, dalla descrizione degli interventi contenuta in altra parte della sentenza, che i vani di cui si tratta erano stati attrezzati con impianto di riscaldamento, pavimento e, finanche, un camino, con la conseguenza che l’errore sulla loro effettiva destinazione appare difficilmente ipotizzabile specie con riferimento ad un esercente la professione di architetto. Neppure può condividersi il fatto che la sanabilità delle opere venga dedotta dal giudice sul solo presupposto del rilascio del titolo sanante da parte della competente amministrazione, avendo egli il potere - dovere di verificare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio. 7. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze.