Gestisce la fidanzata ‘lucciola’: condannato

Evidente il ruolo centrale svolto dal giovane, che si occupava, tra l’altro, della fissazione dei prezzi, della pubblicità on line e dei rapporti con i clienti. Irrilevante il fatto che la donna abbia scelto autonomamente di cominciare a prostituirsi.

Lei fa la prostituta. Il compagno ne è pienamente consapevole, la accompagna sul luogo di lavoro, e anzi svolge il ruolo di ‘protettore’, arrivando a fissare i prezzi dei rapporti sessuali e interagendo coi clienti. Logica la condanna per l’uomo. Irrilevante il legame sentimentale con la donna. Cassazione, sentenza n. 54507, sezione Terza Penale, depositata il 22 dicembre 2016 Ruolo. Prima il gip in Tribunale e poi i giudici di Corte d’appello non mostrano alcun tentennamento l’uomo, un rumeno di neanche 30 anni, va condannato per avere favorito e sfruttato l’attività di prostituzione della sua fidanzata . Questa visione viene però contestata dal difensore del presunto ‘protettore’. A suo dire non può essere trascurato il fatto che la ragazza liberamente ha deciso di praticare la prostituzione, gestendone autonomamente i profitti inviati al suo Paese d’origine, la Romania, per il mantenimento della figlia e l’acquisto di beni . Solo successivamente, quindi, secondo il legale, è entrato in azione il fidanzato della donna. Ma questa obiezione viene ritenuta irrilevante dai magistrati della Cassazione, che evidenziano, alla luce del quadro probatorio tracciato tra primo e secondo grado, il ruolo fondamentale svolto dall’uomo. Egli si occupava, spiegano i giudici, della fissazione dei prezzi dei rapporti sessuali del ritiro dei proventi dell’aiuto nella predisposizione della pubblicità personale su internet della gestione dell’appartamento utilizzato dalla donna, e, infine, della interlocuzione diretta con alcuni clienti . Impossibile, quindi, per i magistrati, ritenere secondarie i compiti dell’uomo. Ciò comporta, ovviamente, la conferma della condanna per favoreggiamento e sfruttamento della fidanzata prostituta.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 settembre – 22 dicembre 2016, n. 54507 Presidente Carcano – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza dell'11 dicembre 2015, la Corte d'appello di Catania ha confermato la sentenza dei Gip dei Tribunale di Ragusa dei 3 giugno 2015, resa all'esito di giudizio abbreviato, con la quale l'imputato era stato condannato, per i reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 582, cod. pen., 3, n. 8 , 4, n. 7 , della legge n. 75 del 1958, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, favorito e sfruttato l'attività di prostituzione della sua fidanzata convivente, nonché di un'altra donna, e per avere cagionato alla prima lesioni personali con l'aggravante dell'avere favorito e sfruttato la prostituzione di più persone. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo 1 vizi della motivazione in relazione alla mancata considerazione dei fatto che la fidanzata dell'imputato aveva cominciato autonomamente a praticare la prostituzione gestendone autonomamente i profitti che inviava in Romania per il mantenimento della figlia e l'acquisto di beni , nonché dei fatto che l'imputato l'aveva accompagnata insieme ad almeno un'altra prostituta solo poche volte sul luogo di esercizio del meretricio 2 vizi della motivazione per l'omessa considerazione - ai fini della credibilità della versione accusatoria - dei fatto che la seconda persona offesa aveva denunciato l'imputato perché questo aveva troncato la relazione sentimentale che aveva intrapreso con lei. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è inammissibile per genericità. La difesa basa le sue censure - riferite alla responsabilità penale per i soli fatti relativi alla prostituzione e non anche al reato di lesioni - su mere indimostrate asserzioni, che non tengono conto, neanche a fini di critica, della motivazione della sentenza impugnata. Quest'ultima si pone, del resto, in totale continuità con la sentenza di primo grado ed è - come la prima - logicamente e adeguatamente argomentata, perché ritiene sussistente la responsabilità penale sulla base delle convergenti risultanze di numerose intercettazioni telefoniche - neanche citate dalla difesa - nonché sulle circostanziate e precise dichiarazioni accusatorie della seconda persona offesa. Ne emerge che l'imputato si occupava della fissazione dei prezzi dei rapporti sessuali, dei ritiro dei proventi, della gestione dell'appartamento a tal fine predisposto, dell'aiuto nella predisposizione della pubblicità personale su Internet, dell'interiocuzione diretta con alcuni clienti. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.